Stavolta le ali della farfalla prendono le sembianze di una importante banca californiana, la Silicon Valley Bank, e l’uragano si scatena sulle nostre coste. O meglio, sulle nostre piazze finanziarie. Il fallimento della SVB ha spaventato molto gli investitori. E le conseguenze sono state tanto immediate quanto pesanti. In una sola giornata Milano ha perso oltre il 4% e bruciato 24 miliardi di capitalizzazione.
Maglia nera in Europa, peggio di Madrid (-3,55%), Francoforte (-3,04%), Parigi (-2,90%) e Londra (-2,58%). Motivo semplice: nell’indice di Borsa italiano i titoli bancari hanno un peso relativo più alto rispetto agli altri indici europei. Ragione per la quale sin ora Milano era stata la migliore piazza europea nel 2023, grazie proprio all’ottima performance delle azioni del settore bancario e finanziario. Fino alla scorsa settimana, per l’appunto. E poi, cosa è successo?
Prestiti a start-up e società hi-tech
La SVB è una banca specializzata in prestiti a start-up innovative e società hi-tech. Fin quando queste macinavano affari e utili tutto procedeva tranquillo. Poi sono finiti i lockdown e con questi anche il boom del commercio elettronico e delle piattaforme digitali. Ed è arrivata la guerra, l’inflazione alta e la risposta decisa delle banche centrali. È finito il tempo dei tassi minimi e dei soldi a pioggia sui mercati. Una vera e propria valanga si è abbattuta sul settore tecnologico, il peggiore in termini di performance sui mercati azionari nel 2022.
La SVB si è ritrovata quindi tra le mani investimenti fallimentari, il cui valore di mercato è crollato nel giro di pochi mesi. E poiché l’attivo di una banca (ovvero i prestiti) rappresenta la principale garanzia per il proprio passivo (i depositi dei clienti), si è scatenato un bank-run, ovvero una corsa agli sportelli per ritirare i soldi dai conti corrente. La SVB ha dovuto quindi repentinamente vendere parte dei propri titoli finanziari per restituire liquidità ai propri correntisti. Attenzione, la SVB non è la Lehmann Brothers, non aveva titoli “tossici” in portafoglio, anzi. Ma vendere oggi titoli di Stato americani che sono stati comprati negli anni in cui i tassi erano prossimi allo zero (e quindi avevano prezzi decisamente più alti) comporta una perdita sostanziale.
Fire-sales, l'innesco della paura
Questa operazione, ossia vendere perché costretti anche a costo di subire una perdita, si chiama fire-sales. E contribuisce a generare paura, perché sintomo di grande difficoltà. Non bastasse, la SVB ha provato a chiedere aiuto agli investitori con un aumento di capitale (in pratica, emettendo e vendendo nuove azioni). Ma è apparsa l’ultima disperata richiesta di aiuto di una nave che sta affondando. E, come purtroppo a volte succede, il soccorso non è arrivato in tempo.
Siamo quindi alla viglia di una nuova grande crisi finanziaria? No, assolutamente. Per diverse ragioni. Primo, la SVB era un’importante banca, con circa 200 miliardi di dollari di attivo patrimoniale, ma pur sempre la sedicesima in classifica. E le banche davvero contagiate dal suo collasso, che stanno accusando colpi pesantissimi in Borsa, sono comunque banche regionali di modesta rilevanza. Insomma, la SVB non aveva la stessa importanza “sistemica” di Lehmann. Inoltre, stavolta, il famoso “ombrello” della Fed (la Banca Centrale Usa) si è aperto subito, garantendo l’acquisto dei titoli in pancia alle banche in caso di necessità, evitando quindi ulteriori fire-sales. Tanto che le borse americane nella giornata di lunedì hanno addirittura chiuso con il segno positivo! C’è chi comincia infatti a fiutare l’affare. La crisi della banca californiana potrebbe indurre i banchieri centrali a rallentare, se non addirittura ad arrestare, il percorso di rialzo dei tassi d’interesse, il quale sembrava dovesse procedere ancora per un po' a ritmi sostenuti.
Una buona lezione per il futuro
In Europa, poi, possiamo dormire sonni ancor più tranquilli. Gli stringenti requisiti patrimoniali imposti dagli accordi di Basilea, spesso criticati per essere sin troppo rigorosi, non avrebbero con tutta probabilità mai permesso ad una banca europea di comportarsi come si è fatto a San Francisco. Le vendite sui titoli bancari del vecchio continente sono state frutto di un irrazionale panico diffuso tra gli investitori più che di un reale timore di conseguenze sostanziali. Abbiamo assistito, come spesso succede in questi casi, ad un cosiddetto fly-to-quality. Letteralmente, volo verso la qualità. Significa che gli investitori preferiscono vendere titoli azionari (considerati più rischiosi) e comparare titoli sicuri, in primis titoli di Stato. Tanto che ieri il prezzo dei titoli di Stato italiani, e ancor di più quelli tedeschi considerati un vero porto sicuro, sono rapidamente schizzati in alto.
All’indomani, la quiete sembra essere già tornata dopo la tempesta. Il giorno dopo, i mercati sono molto più tranquilli. A conferma, appunto, che forse è stato solamente un grande spavento. Da cui magari trarre anche qualche buona lezione per il futuro.
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