Non sappiamo ancora se Mario Draghi riuscirà a insediarsi a Palazzo Chigi. Questione di numeri, certo, ma non solo. Ripercorrendo la sua biografia, ci siamo imbattuti nella lectio magistralis che tenne il 18 dicembre 2009 all’Università di Padova, in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Statistica. Il titolo scelto dall’allora Governatore della Banca d’Italia ha per noi un retrogusto importante: «Conoscere per deliberare». Predica inutile di Luigi Einaudi, si sa, ma buon viatico da riprendere anche oggi.

Proprio sui numeri Mario Draghi argomentava così nell’aula magna di Palazzo del Bo: «La statistica ufficiale, pur faticando in una cultura più incline ad apprezzare i grandi affreschi emotivi che la nudità e la realtà del dato, si confronta oggi in Italia con una domanda statistica sempre più ampia e allo stesso tempo più specifica, che riflette il moltiplicarsi dei bisogni informativi della società in tutti i suoi aspetti. L’Istat continua a fornire un apporto insostituibile non solo nell’azione di coordinamento del sistema, ma anche nello sviluppo di nuove essenziali informazioni». Era esplosa la bolla dei subprime americani e iniziavamo a sentirne la terribile onda d’urto sull’economia reale.

Economia e felicità

Il professore ricordava come i dati raccolti da Bankitalia costituiscano «un servizio pubblico reso al Paese e alla ricerca». Come dire: elaborazioni serie, non abborracciate. Ovvero: numeri in colonna, non a vanvera. C’è poi un passaggio che merita attenzione: «Dopo un periodo sabbatico trascorso da Amartya Sen presso il Servizio Studi della Banca nel 1996 – raccontava l’allora Governatore – l’indagine sui bilanci delle famiglie è stata utilizzata anche in questa prospettiva, sviluppando metodologie statistiche apposite per rendere operativo l’approccio teorico di Sen fondato sulle capabilities (capacitazioni), inserendo domande specifiche sul grado di soddisfazione sul lavoro e, successivamente, sul livello di “felicità” percepita; le informazioni sono state incrociate con le condizioni economiche e con le caratteristiche delle famiglie». E ancora: «La ricerca applicata in questo ambito è ancora relativamente recente, ma emerge già con chiarezza l’influenza positiva sul livello di benessere, a parità di reddito, di variabili come la condizione occupazionale, i rapporti familiari, la salute, il grado di partecipazione alla vita sociale».

È un punto che deve starci a cuore il tema della felicità. E così altri indicatori, come il grado di soddisfazione sul lavoro. Perché è qui – nel sistema delle relazioni – che si giocherà molto la sostenibilità dell’economia, non soltanto nell’attenzione all’ambiente e alla circolarità, per quanto ugualmente importanti.

Statistica ed eccesso di informazioni

E dunque? Il professor Draghi concludeva così: «L’educazione all’informazione, a un sano scetticismo nella sua selezione e nel suo utilizzo, è importante. In breve, bisogna che si formi una cultura statistica adeguata a questi tempi di eccesso di informazioni. Non è impresa facile, come mostrano evidenze secondo le quali la maggioranza dei cittadini negli Usa non formerebbe le proprie opinioni sui temi di politica economica in base alla conoscenza fattuale».

Ma non basta: «La statistica – sono ancora parole dell’allora Governatore di Bankitalia –  è essenziale per la politica economica: rivelando la realtà scuote le persone dall’ignoranza, comoda per giustificare l’inerzia dei loro comportamenti, prepara e informa il consenso politico necessario per l’azione conseguente, a cui dà il sostegno essenziale per misurarne l’intensità e la precisione. Perciò la discussione della politica economica deve ancorarsi a informazioni quantitative da tutti ritenute affidabili, più che a sondaggi spesso espressione di un’opinione pubblica largamente disinformata. È quindi fondamentale il ruolo della statistica ufficiale: la sua qualità soddisfa standard internazionali, è sottoposta allo scrutinio oculato della comunità scientifica. Per questo la sua indipendenza è essenziale e va tutelata in ogni suo aspetto».

Qualche proposta in punta di piedi

I numeri hanno sempre molto da dire. Ebbene, forse sarebbe utile – in questo periodo d’isterica emotività – chiedere una moratoria di sondaggi e statistiche sugli organi di informazione. Utilizzando soltanto quelli più utili a capire, citando correttamente la fonte, cercando sempre qualcuno che sia in grado di interpretarli con equilibrio e saggezza. Pura utopia? Ci proviamo lo stesso, giusto per evitare quei minestroni d’inesattezze con cui si alimenta l’inquinamento del pianeta grazie alle inutili discussioni sui social e – spesso e volentieri – anche sui giornali.

Ci sentiamo di chiedere, inoltre, una maggior responsabilità civica nella diffusione dei dati sulla pandemia, visto l’esercizio quotidiano che compiamo ormai da alcuni mesi per elaborare l’indice Rt del contagio da Covid aggiornato alle 24 ore precedenti. E saremmo anche curiosi di sapere che ne pensa l’ISS, l’Istituto superiore di sanità, visto che non ha mai risposto alle nostre numerose sollecitazioni sui numeri, ma tant’è.

Infine, e presto, bisognerebbe introdurre nelle scuole, nelle imprese e nella amministrazione pubblica, corsi obbligatori per imparare a leggere le statistiche ufficiali, sapendo distinguere il buon grano dalla zizzania.

L’Italia ha i numeri, ma li spreca nell’ignoranza, nella mediocrità, nella supponenza politica.

Mario Draghi ha ottimi numeri (ci ha fatto una «ottima impressione», direbbe meglio qualche erudito ministro) e vanno usati in fretta per deliberare.

Postilla cinematografica

Aggiungo un desiderio: che il suo arrivo sulla tolda di comando possa interrompere la “solitudine dei numeri primi”, cioè di quei numeri divisibili solo per se stessi o per uno, incapaci di dialogare, ovvero la grande parte dei nostri politici. Il professore, invece, per il “governo ampio” può diventare l’allenatore di forze che dialogano cercando di entrare nel merito dei problemi: senza pensare di screditare l’interlocutore per accreditarsi insieme a ego smisurati e portavoce, coltivando (ricordate il Candide di Voltaire?) i numeri della politica, proprio in quanto rappresentanti di noi tutti.

Insomma, l’ex Governatore della Bce, potrebbe diventare uno straordinario maestro di recupero della democrazia, che non è contrasto di parti, ma di idee, con persone di buona volontà che concorrono a una sintesi utile per il Paese. E ci piace immaginare il professore nei panni dell’inflessibile sergente Emil Foley (ricordate Ufficiale gentiluomo?). Duro e severissimo con segretari di partito, ministri e sottosegretari: sulla netiquette dei social, su come si deve parlare in pubblico e mai a sproposito, ripassando tabelline, fondamentali di economia, statistica, diritto costituzionale, sintassi, congiuntivi e consecutio. Perché solo conoscendo si può deliberare con intelligenza e onestà.