Tutto è iniziato l’8 agosto del 1991 a Bari, quando una vecchia nave proveniente da Valona, la Vlora, scaricò nel porto della città pugliese in un colpo solo, circa 20 mila cittadini albanesi. Fu il finimondo e l’Italia scoprì in poche ore la vastità, la complessità e l’imprevedibilità delle migrazioni umane. Trentadue anni dopo siamo ancora lì, di fronte a 72 bare a discutere del nulla.
Di ciò che è successo davanti alle coste di Cutro, 10 mila abitanti in provincia di Crotone, se ne scriverà a lungo. La Magistratura farà il suo percorso, la politica non credo.
Nord e sud del mondo
Mi sono occupato per oltre vent’anni, come documentarista, dei rapporti tra nord e sud del mondo. L’ultimo viaggio in Africa, quello con il quale ho appeso la telecamera al chiodo, era del gennaio 2019, in Niger. Il Niger è l’imbuto del flusso migratorio, che poi spinge migliaia di persone, ogni giorno, attraverso il deserto del Sahara verso la Libia o l’Algeria. La capitale Niamey era una pentola a pressione che ribolliva di uomini, donne e bambini provenienti da mezzo continente. OMI e UNHCR, le due agenzie che si occupano di migranti e rifugiati, cercavano inutilmente di dare ordine al caos. Non ne ero certo sorpreso.
Da quando ho iniziato a visitare quelli che genericamente venivano definiti “Paesi in via di sviluppo” tutto era già evidente: il fenomeno davanti ai miei occhi non lasciava spazio a dubbi. Moltitudini di africani, asiatici, latinoamericani poveri si sarebbero presto mossi verso i luoghi ricchi del pianeta.
La politica italiana invece di prenderne coscienza e agire (ed era facile), ha preferito lucrare in termini elettorali. I problemi complessi necessitano di decisori all’altezza del compito.
«L’orda, quando gli albanesi eravamo noi» è un libro di Gian Antonio Stella, uscito nel 2003. Ebbe notevole eco, ma ancora vent’anni fa, dodici anni dopo i fatti di Bari, eravamo solo e semplicemente prigionerei delle nostre paure. E la politica continuava a farne puro argomento elettorale.
L’attore e scrittore Alessandro Bergonzoni giovedì 9 marzo si è recato alla camera ardente dove erano state trasportate sette delle salme recuperate a Cutro. «Sono qui per chiedere scusa», ha detto.
L'obbligo morale
Ecco, il punto è tutto qui: noi abbiamo l’obbligo morale di chiedere scusa almeno a queste 72 persone (tra le quali 29 minori e bambini) e alle loro famiglie distrutte. La politica avrebbe il dovere imperativo non solo di chiedere scusa, ma di smetterla di fingere di occuparsi del tema.
Organizzare il Consiglio dei Ministri a Cutro avrebbe avuto valore solo e se i ministri avessero dato segno di avere compreso finalmente la gravità del fenomeno. Invece no, figurarsi.
Inasprire le pene agli scafisti è una roba che non si può sentire, insistere nel ritenere l’immigrazione un reato, in quanto clandestina, è fuori dal mondo. La logica è sempre la stessa: difendiamo il nostro fortino. Pensano che sia Fort Knox, ma è Fort Alamo.
Tant’è, la politica italiana non sa fare di meglio da molti anni a questa parte, ma nessuno si illuda che la strage calabrese sia la cima del Golgota, perchè questa è una Via Crucis che di tappe non ne ha solo 15.
Una nota a margine
A Cutro alcuni contestatori del Governo al passaggio dell’auto della Presidente del Consiglio hanno lanciato dei peluche. Un gesto non violento, ma forte, dal valore evocativo più che evidente. Rabbia pubblica che andava resa evidente, più che legittimata dai fatti, ma manifestata senza una goccia di livore.
Il pensiero, da cittadino pur tenendo il senso della profonda diversità dei casi, corre veloce ai lanci di sanpietrini che hanno accompagnato le manifestazioni anarchiche a sostegno di Alfredo Cospito a Torino, che hanno vandalizzato un pezzo di centro città.
Del lancio dei peluche serberò l’alto valore etico di un gesto necessario, dei sanpietrini cercherò di dimenticare tutto al più presto.
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