Dal primo gennaio un “italiano” è il nuovo presidente della Svizzera. È Ignazio Cassis, titolare del ministero degli Esteri, medico, madre di Bergamo, padre di Luino emigrati in Svizzera subito dopo la guerra. Fino alla nomina governativa, cinque anni fa, Cassis aveva mantenuto la doppia cittadinanza. 

La sua elezione da parte dell’Assemblea federale (Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati insieme) è avvenuta senza problemi, trattative o franchi tiratori. La carica, che peraltro dura solamente un anno, è infatti assegnata a rotazione tra i sette componenti del Governo (Consiglio federale) e il voto dei parlamentari costituisce solo una ratifica formale, e senza sorprese, di una prassi ormai consolidata. 

Un presidente primus inter pares

Il presidente della Confederazione non ha particolari poteri al di là di quelli di rappresentanza, mantiene la responsabilità del proprio ministero e i suoi uffici rimangono nel Palazzo federale, dove si riuniscono anche le due Camere. E peraltro non esiste la figura del presidente del Consiglio: il Governo lavora su base collegiale, le decisioni sono prese a maggioranza, ma ogni consigliere-ministro ha un’ampia autonomia nel gestire il proprio dipartimento.

Una “formula magica” che evita i conflitti

Il sistema politico ha molte particolarità. Innanzitutto i Consiglieri federali non vengono scelti o designati, ma vengono eletti dal Parlamento che rinnova ogni quattro anni il loro mandato fino a che non danno volontariamente le dimissioni.

La loro nomina rispetta normalmente la prassi per cui vengono eletti i candidati proposti dai rispettivi partiti secondo una “formula magica” che rispecchia proporzionalmente le forze politiche.

Al Governo ora ci sono due socialisti, due dell’Unione democratica di centro (un partito di destra alleato con la Lega ticinese), due liberal-radicali, un democristiano (partito che da poco ha assunto il nome di Alleanza di centro).

La notte dei “piccoli cucchiai”

Talvolta l’elezione riserva delle sorprese, ma non fino al punto da sconvolgere la prassi che vede praticamente tutte le maggiori forze politiche rappresentate al Governo. Può succedere, ed è successo, che il Parlamento non voti per il candidato “ufficiale”, ma per un altro esponente di quel partito. Tutto questo sulla base di accordi più o meno segreti nelle ore precedenti il voto tanto che qualcuno ha parlato di “notte dei lunghi coltelli” per indicare queste trattative; ma forse ha più ragione chi ha risposto ridimensionando gli intrighi e parlando di “notte dei piccoli cucchiai”.

E peraltro solo dieci volte dal 1848 ad oggi a un Consigliere federale non è stato rinnovato il mandato (ma sempre eleggendo un esponente di quello stesso partito).

Una netta separazione dei poteri

Una particolarità è data dal fatto che chi viene eletto Consigliere federale lascia immediatamente, se l’aveva, la carica di parlamentare; c’è una netta e chiara divisione dei poteri tra esecutivo e legislativo. Il Governo è esecutore della volontà del Parlamento, una volontà che peraltro non è assoluta perché sottoposta costantemente alla verifica del voto popolare con i referendum che almeno quattro volte all’anno chiamano i cittadini ad esprimersi sulle leggi più importanti. Referendum obbligatori per le modifiche costituzionali, ma è del tutto rituale che vengano raccolte le firme necessarie per passare al vaglio del popolo gli argomenti più rilevanti o controversi.    

Una democrazia con 700 anni di storia

In questo modo il sistema politico svizzero appare il regno della stabilità. Il metodo di governo è quello della concordanza e non del conflitto tra i partiti. Il popolo ha sempre l’ultima parola e non c’è nessun dramma se viene bocciata una decisione del Parlamento. E non ci sono limiti al voto popolare che, al contrario di quanto avviene in Italia, può riguardare, e spesso riguarda, anche i temi fiscali e i trattati internazionali.

Una stabilità determinata anche dal fatto che la Svizzera è una delle più antiche democrazie del mondo. L’origine viene fatta risalire alla leggenda di Guglielmo Tell e al giuramento del Gruetli, il primo agosto 1291 con l’alleanza tra i tre Cantoni di Uri, Svitto e Unterwalden, attorno ai quali si sono poi aggregati nel corso dei secoli tutti gli altri. Guglielmo Tell resta un eroe leggendario, simbolo dello spirito combattivo e della lotta contro i soprusi dei principi. Uno spirito che si ritrova tutto nelle note dell’opera che gli ha dedicato Gioacchino Rossini. 

Un federalismo che nasce dal basso

Proprio questa lunga storia spiega anche le fondamenta del federalismo elvetico, un federalismo che non nasce dalla concessione di una certa autonomia da parte di uno Stato sovrano, come è avvenuto (malamente) per le regioni italiane, ma si sviluppa dal basso perché la sovranità appartiene ad ognuno dei 26 Cantoni che hanno accettato di affidare i compiti più vasti alla Confederazione. Non per nulla la definizione ufficiale del Cantone di lingua italiana è “Stato e Repubblica del Canton Ticino”.

Una storia, peraltro, che ha visto progressivamente affermata la neutralità elvetica, riconosciuta a livello internazionale nel Trattato di Parigi del 1815. Una neutralità fondata anche su di un esercito altamente professionale con la leva obbligatoria e frequenti richiami fino a 42 anni. E un’aviazione chiamata a difendere le frontiere, ma le cui esercitazioni devono essere ospitate nei ben più ampi cieli della Svezia. Un legame che viene da lontano: secondo la tradizione proprio un gruppo di svedesi attorno all’anno mille trovò accoglienza in quello che si è poi chiamato Canton Svitto, come ricordato, uno dei Cantoni che hanno dato origine alla Confederazione.

Molte diversità, ma un forte spirito nazionale

Una democrazia quindi, quella svizzera, che viene da lontano. Una democrazia fondata sul rispetto e sulla valorizzazione delle diversità. Senza queste qualità non si spiegherebbero i 700 anni di storia di un paese con quattro lingue ufficiali, cinque religioni, 26 Cantoni e soprattutto due modi diversi di cuocere le patate (tanto che la linea di separazione sociale e culturale tra Svizzera di lingua francese e quella di lingua tedesca viene chiamata “roestigraben”, dal “roesti” sformato di patate in padella che è il piatto tipico dei germanici).