Trump archiviato da Biden? Non sappiamo ancora e a che prezzo. Per gli americani, ma anche per noi. Certo, alla Casa Bianca dovrebbero ritrovare cittadinanza valori democratici e costituzionali, decenza e garbo. Mettendo al bando quella cafoneria spavalda da cui sarebbe bene si liberassero presto anche i Repubblicani d’oltre Oceano. Magari, com’è stato suggerito, riascoltando i discorsi della sconfitta di George Bush senior nel 1992 e, soprattutto, di John McCain nel 2008, quando con grande dignità si pronunciarono sui vincitori di allora, Bill Clinton e Barack Obama.

E in Europa? E in Italia? Cambieremo registro? L’insostenibile leggerezza della politica si nutre ormai d’improvvisazione, cialtroneria, incompetenza, furbizia, fake news, arroganza. Alcune lande sovraniste, popolate da zelanti cheerleader, si sentiranno certamente orfane di The Donald, anche se il trumpismo, con i suoi 70 milioni di voti, non è di sicuro esaurito. Non si può fare di tutta un’erba un fascio, lo sappiamo. Tuttavia: come ricostruire per i Palazzi Romani una classe dirigente che sembra non esistere più, nonostante l’Italia sia popolata di gente seria e perbene, tra famiglie, giovani, imprenditori, artigiani, professionisti, dirigenti pubblici e amministratori locali? È come se esistesse un tappo per impedire ai meritevoli l’accesso sulla tolda di comando, indipendentemente – beninteso – dall’orientamento politico. Cosicché, alla fine, addio corresponsabilità e addio decisioni.

Coltivo da tempo un ragionamento. Un limite della politica, nell’accezione d’impegno alto per il bene comune, viene dal fatto che siamo un Paese dove c’è troppo volontariato. Non sembri una bestemmia. Di estrazione laica o cristiano-cattolica, è una esperienza fondamentale ed esemplare, che negli anni ha sempre più coperto le falle del nostro Welfare; e che – per proseguire – avrà vieppiù necessità di una circolarità progettuale ed economica tra società civile, Pubblica amministrazione e business community.

Lo scollamento tra sociale e politica

Tuttavia – e lo scrive un baby boomer formato negli anni giovanili in ambito cattolico – si è creato a partire dagli anni 70 del secolo scorso un pericoloso iato proprio tra questi mondi e la sfera politica.  La fine del collateralismo con la Democrazia Cristiana, con le novità del Concilio Vaticano II, avevano portato a una radicalizzazione delle posizioni a metà negli anni 80, con l’ingresso nell’agone di un giovane Camillo Ruini, futuro cardinale dei “valori non negoziabili”. I cattolici erano spaccati in due, tra la “scelta religiosa” cara a Giuseppe Lazzati e Vittorio Bachelet (e alla sua allieva prediletta Rosy Bindi) e i movimentisti di Comunione e Liberazione di don Giussani. Da un lato esplodevano fenomeni come Roberto Formigoni e la Compagnia delle opere (e sappiamo com’è poi andata a finire per il Celeste ex governatore della Lombardia). Dall’altro, veniva raccomandato a tutti – e io me lo ricordo molto bene – di rimanere nel “pre-politico”, per non sporcarsi nella politica, aiutando meglio «gli ultimi». Una gravissima miopia, che ci ha fatto perdere generazioni di politici. Per certi aspetti – e anche per colpa di una terribile autoreferenzialità del linguaggio (talvolta non si capisce niente di quello che sostiene chi è impegnato nel sociale) – questo è accaduto anche sul fronte laico. Complice lo sgretolarsi dell’associazionismo, va da sé, ma chi non è approdato nell’allora Psi rampante di Craxi o nel Pci già divorato dalla frammentazione, è rimasto a navigare nel mondo cooperativo o in quelli che adesso si chiamano enti del terzo settore.

Intendiamoci: servirebbero dotte analisi sociologiche, storiche e politiche sul punto. E magari le affronteremo su Mondo Economico. L’ho messa giù un po’ spartanamente.  Ma l’urgenza resta. Oggi – con la svolta della sostenibilità a 360 gradi, nonché con il Green New Deal di Ursula von der Leyen – c’è un fermento esponenziale, fin modaiolo, di social impact bond, impact economy e B-Corporation, con molta gente in gamba e alcuni furboni. Sono realtà che portano con loro, opportunamente, il tema della “misurazione” dell’impatto. Dal loro modo di fare impresa, associazione, servizi finanziari, quale ricaduta c’è (meno tasse, meno spesa pubblica, più iniziative per gli stakeholder) sui territori?

Una proposta per misurare l'impatto sociale

Ebbene, ritengo che potrebbe risultare molto interessante introdurre per tutte queste esperienze – sotto la Mole, per esempio, c’è il lab ecosistemico di Torino Social Impact – anche la capacità di creare dei civil servant disposti a impegnarsi in politica tra i criteri di misurazione dell’impatto. Ovvero di preparare e poi prestare alla politica (per poco tempo, uno, massimo due mandati) professionisti o dirigenti. Da mettere in aspettativa a tempo, non per sbarcare il lunario o trovare un impiego di risulta a spese dei contribuenti, ma affinché possano con competenza andare a occuparsi di settori diversi. In sede locale, per esempio, potrà emergere un valido sindaco, ma anche un buon assessore all’Industria o alla Sanità e, perché no, fino a Roma un serio deputato o senatore.

I fondi della finanza, da parte loro, potrebbero sostenere con percentuali da definire alte scuole (a-partitiche, s’intende, magari controllate da enti terzi come le Università, in chiave multidisciplinare) che contribuiscano alla formazione di queste persone. O a coprire le loro sostituzioni in azienda o negli enti del terzo settore nel periodo in cui saranno impegnati per la collettività. In attesa di poter creare, in una fase successiva, strutturate accademie sul modello francese per creare manager pubblici di alto profilo.

Qualcuno ci proverà?

Un’utopia? Una predica inutile? Io, sinceramente, credo di no. Anche se i primi a opporsi potrebbero essere proprio i litigiosi partiti e partitelli di scarso spessore che navigano a vista nel Belpaese. C’è una questione di stile in tutto questo. Sono ridicoli coloro che inneggiano a un Piazzale Loreto per Donald Trump, che resta il personaggio che è. Eppure – e questo è il bel segnale del presidente eletto John Biden – bisogna ricostruire ponti, alleanze per il bene comune, togliere dai social media (e non solo) la violenza delle parole violente e ostili condite dall’ignoranza. E ricostruire.

Ne abbiamo bisogno come il pane in Italia. Diamo ai neoassunti una copia della Costituzione, insieme a pc e telefonino aziendale. Iniziamo da questi piccoli gesti che creano senso di appartenenza a uno Stato. Ma iniziamo a ripensare alla politica seria. Qualcuno ci proverà?