L’idea del tetto ai prezzi di petrolio e gas importati dalla Russia gira da un bel po’ tra le cancellerie europee. Non ne siamo mai stati molto convinti. Come se il problema del gas fosse «solo» un problema di prezzi. Non c’è forse un problema di quantità non sufficienti?

Del nostro parere erano diversi paesi europei, ma recentemente c’è stata un’accelerazione opposta, che ha visto il G7 accordarsi sul tetto al prezzo del petrolio russo e Ursula Von Der Leyen rilanciare che «sia tempo di imporlo anche sul gas». A stretto giro, la risposta di Mosca. I flussi di gas da Nord Stream 1 non ripartiranno a causa di un ennesimo «guasto», i cui tempi di rimedio non sono prevedibili.

Il funzionamento del cap

Imporre un cap, ossia un tetto a un prezzo di un bene necessario per tutti (famiglie, imprese e pubblica amministrazione) e fornito in regime di monopolio è faccenda che, al di là del beneficio che intende riversare sugli utenti, deve essere considerata nei meccanismi economici sottesi. Può funzionare (non senza conseguenze e costi, più o meno fiscalizzabili) a condizione che il monopolista sia soggetto alla stessa giurisdizione legale dei paesi che impongono il tetto, il che evidentemente non è il nostro caso.

Oppure, ancora, può funzionare nei confronti di un’offerta monopolista esterna (Gazprom), a condizione che i compratori si riuniscano in un cartello e che possano determinare oscillazioni del prezzo verso il basso, ossia mettere il fornitore in condizioni di eccesso di offerta, riducendo la domanda.

L’Europa e Gazprom

Ora, nessuno dei due casi si può applicare all’Unione europea, perché Gazprom è soggetto alla legge russa, e non a quella europea. Perché i paesi europei hanno acquistato il gas in concorrenza tra di loro sul mercato, tutti correndo agli stoccaggi per l’inverno. E il loro agitarsi non unitario è una causa del prezzo superiore a settembre 2022 del 420% rispetto a quello del settembre 2021.

Inoltre, l’Europa è sistematicamente in una condizione di eccesso di domanda sull’offerta, che il monopolista russo ha piuttosto ridotto progressivamente, avvalendosi delle proprie ragioni giuridiche, ma sostanzialmente giocando al rialzo del prezzo, spostando unilateralmente verso sinistra la curva di offerta.

Il monopolio

Tale è una prerogativa di qualsiasi monopolista, perché è impossibile sostituire a sufficienza l’offerta di gas russo all’Europa in un sol colpo, mentre la domanda energetica è rigida. Per cambiare fornitori e fonti energetiche primarie, ci vorranno anni.

A questo punto la domanda legittima è: perché l’Europa (e il G7) hanno compiuto un passo simile?

La proposta di un tetto al prezzo del gas russo è una provocazione del tutto inutile, forse perfino dannosa, se il fermo a Nord Stream 1 non verrà risolto. Minacciare l’imposizione di un prezzo massimo a un fornitore extra giurisdizione, che tra l’altro ha aumentato del 60% la vendita del suo gas alla Cina, senza essere nella condizione di agire la politica né con un enforcing giudiziario, né mettendo il fornitore in condizioni di eccesso di offerta contraendo la propria domanda (perché in realtà essa è già di molto superiore all’offerta), oltre a essere inutilmente provocatorio, istiga la risposta razionale del monopolista a ridurre le quantità ulteriormente.

La qual cosa è successa nel giro di poche dall’annuncio europeo, che ha affondato le Borse che cercavano di ritrovare un pizzico di ottimismo.

Populismo?

A questo punto, il passo degli europei non può ascriversi a una strategia di politica economica o energetica razionale. Se si considera la cosa nel suo impatto interno all’Ue, è populismo europeo: si fa vedere che l’Europa batte un colpo per salvaguardare i propri cittadini. Vista come mossa con ambizioni esterne, può essere una mossa per infliggere una perdita alla Russia, esponendo nello stesso tempo però i cittadini europei a una perdita peggiore di rappresaglia.

Tecnicamente è un autogol in termini di teoria dei giochi.

Se a concepirla fossero stati politici e partiti populisti e sovranisti europei, non ci saremmo tanto meravigliati. Ma l’hanno concepita con la Commissione europea, Von der Leyen in testa, e questo stupisce di più.

Il pasticciaccio energetico è essenzialmente colpa della nostra fiducia (soprattutto italiana e tedesca) nelle forniture di uno stato non democratico e monopolista. Con il quale, se ci si mette in una condizione di dipendenza energetica, si devono fare i conti senza essere nei panni di chi detta le condizioni delle forniture. Ben più importanti dei tetti che gli stessi mercati sbriciolano (basta vedere i prezzi europei del gas, sia a pronti che future) sono i compiti di casa da fare per slegarci dalle manette con cui ci siamo incatenati da soli, appena possibile.

Nel frattempo, non resta che pagare.

Fissato il tetto in queste condizioni, chi ha il rubinetto del tubo lo chiude. Ovvio, logico, ma anche pessimo. Ma se questa volta la Commissione europea è scivolata, non sono andati molto meglio i politici italiani. Fissandosi sul «tetto» non hanno centrato il vero cuore del problema. E cioè, che se le quantità non le hai, devi fare qualcosa di più per procurartele. Invece moltissimi reclamano il tetto, che con il prezzo del gas in mano al monopolista, può avvenire solo fiscalizzando le bollette. Bene ha fatto Draghi, fino ad ora, a resistere all’ennesima richiesta di scostamento di bilancio.

Il deficit di futuro

Non ci risulta un solo politico che abbia detto che fiscalizzare le bollette quando il bilancio è in deficit significa aumentare il deficit (e il debito), ossia significa mettere a carico dei figli gli errori plateali dei genitori e dei nonni. 

Si può al massimo fiscalizzare l’investimento in capacità energetica aggiuntiva e nel nuovo risparmio energetico, perché questi sono asset trasmissibili ai posteri. In generale, pessima prova la nostra.

Ma questa volta, e ci spiace davvero, pessima prova anche dell’Europa, perché la voce grossa con la Russia si poteva fare solo dopo l’arrivo dei due rigassificatori di Piombino e Ravenna, che avrebbero ridotto il potere di monopolio della Russa. Non prima. L’errore di timing è grave, inoltre, per il momento nel quale arriva, in pieno phasing out della politica monetaria espansiva.

In questo periodo occorreva mantenere alto il clima di fiducia nella stabilità delle principali variabili economiche. La semplice possibilità che il gas non basti a soddisfare la domanda invernale determina aspettative di inflazione e di recessione, che a questo punto diventa più probabile.

Non una buona mossa, per l’economia. Piuttosto, un vero autogol.