Ho seguito con interesse su Mondo economico la prosecuzione del dibattito che ha accompagnato la proposta “innovativa e provocatoria” (Un milione di nuovi assunti nelle PA italiane) discussa il 27 febbraio scorso al Centro Einaudi, con i contributi dei colleghi ed amici Pietro Terna con Beppe Russo e Guido Ortona.
Riprendo qui il succo del mio intervento, accolto favorevolmente nel dibattito al Centro, per meglio precisarne i contorni e proporne uno sviluppo sperimentale locale, nella speranza esso possa ricevere sostegno e realizzarsi.

Inizio con due considerazioni fattuali.

Prima considerazione: mi sembra dimostrato che le pubbliche amministrazioni italiane soffrano di eclatanti deficit quantitativi di personale a confronto con altri Paesi, che non si limita certo alle sole incresciose situazioni in ambito sanitario. Anche le difficoltà a realizzare opere finanziate con i fondi PNRR ne sono un ulteriore esempio, in una pluralità di settori specifici. Queste vicende segnalano che ai deficit quantitativi fanno riscontro deficit qualitativi, non meno preoccupanti: età media avanzata degli occupati, possesso di titoli di studio mediamente bassi, insufficiente e minore ricorso alla formazione continua. E, più in generale, diffuse carenze organizzative (pur con alcune lodevoli eccezioni) in molti comparti pubblici, ancora non sanate dopo decenni di apparente impegno.

Seconda considerazione: anche se il possesso di titoli di studio elevati (dalla laurea in su) nella popolazione italiana è inferiore a quella dei paesi di riferimento, l’Italia stenta a offrire occasioni di impiego coerente con la formazione posseduta a una quota significativa di giovani, inducendoli a cercare impiego fuori dai confini nazionali. Il fenomeno si riproduce anche alla scala locale (Torino e città metropolitana, regione Piemonte), con un grave depauperamento del suo capitale umano.

Da ciò l’idea che sia utile e non rinviabile una robusta immissione di giovani qualificati nella PA, a livello sia nazionale sia locale, che offra nuove opportunità di lavoro ma anche accresca e migliori il funzionamento della macchina pubblica che non può essere garantito solo razionalizzando l’uso delle risorse umane disponibili.
Tuttavia, affinché la proposta migliori l’offerta di servizi pubblici e rappresenti una politica occupazionale non assistenziale, occorre che il progetto abbia un’attuazione “alta”. Ciò mi pare sia possibile facendo tesoro delle molte buone (a volte eccellenti) pratiche che costellano la vita civile del Paese, da almeno trent’anni, senza sostituire, purtroppo, la prassi ancora dominante del business as usual.

La carta del rafforzamento delle pubbliche amministrazioni è troppo preziosa per essere male utilizzata. Realizzare quest’ obiettivo non è automatico, né semplice, ma è tuttavia possibile, anche se le prassi correnti non sono nel complesso particolarmente incoraggianti (v. Formez, 2022). In Italia, Paese da sempre con prassi amministrative qualitativamente assai diversificate, per l’influenza di fattori legati sia al diverso colore politico delle amministrazioni in carica sia alle profonde differenze di senso civico che innervano localmente il rapporto tra cittadini e istituzioni pubbliche, è tuttavia possibile individuare alcune buone pratiche e tentare di definire modelli sistemici di “regole” virtuose.
Un’operazione siffatta è stata compiuta da tre istituzioni indipendenti (v. Forum DD, Movimenta, FPA Digital 360, 2021) che ne hanno messo i risultati a disposizione di tutti. Domande, tanto legittime quanto impegnative, quali “esistono percorsi efficaci per assumere i nuovi dipendenti pubblici e modalità di immissione nel lavoro tali da garantirci che i nuovi assunti cambino in meglio la funzionalità delle nostre PA?” trovano in questo documento suggestive tracce di risposta affermativa, a comporre un percorso persuasivo.

L’approccio privilegiato è induttivo (si fa riferimento a casi concreti di specifici enti pubblici, proponendone il trasferimento adattivo ad altri) e analitico (il percorso si sviluppa passo per passo, dall’individuazione e specificazione del fabbisogno, alla scelta e scrittura del bando, all’ esecuzione del concorso stesso, all’immissione nel lavoro dei neo assunti).
Per brevità richiamo di seguito le sei tappe tipiche del percorso-tipo, ben più riccamente illustrate nel Vademecum:

  1. analisi puntuale sia delle effettive capacità di assumere dell’amministrazione (disponibilità delle risorse), sia dei risultati di una necessaria indagine che, partendo dalle missioni dell’ente, dal censimento dei suoi processi e da un’oggettiva valutazione delle conoscenze, delle competenze e delle capacità possedute dalle figure già disponibili, evidenzi le esigenze qualitative e quantitative di ulteriore personale
  2. nomina, con criteri innovativi, della Commissione, da coinvolgere nella scelta del tipo di concorso e nella scrittura del bando e che, per tutti i profili direttivi e dirigenziali, è opportuno sia multidisciplinare avvalendosi anche di un esperto in grado di valutare competenze psico-attitudinali e capacità organizzative
  3. scelta della tipologia di concorso da usare, scegliendo accortamente tra le molteplici modalità disponibili (per soli titoli, per esami, per titoli ed esami, corso-concorso, prove tecniche specifiche, …)
  4. stesura di un buon bando di concorso e sua efficace comunicazione. Il bando conterrà: la descrizione di competenze e conoscenze tecniche e attitudinali (esplicitando il modo e i criteri di valutazione); i titoli per l’ammissione; la descrizione delle prove e dei criteri di valutazione. Per la sua comunicazione e divulgazione non è certo sufficiente la Gazzetta Ufficiale né la sola pubblicazione sul sito dell’ente ma è opportuno, ad esempio, il ricorso ai social più frequentati dai giovani
  5. individuazione e redazione delle prove e valutazione dei titoli, evitando gli esempi negativi, spesso perché troppo nozionistici, e privilegiando quelli innovativi, da tempo in uso nel privato, come le valutazioni attitudinali e situazionali
  6. pubblicazione delle graduatorie, assunzione e immissione nel lavoro. Inizia un periodo particolarmente delicato per le persone che entrano nell’organizzazione, ma anche per quelle in essa già presenti. Sono suggerite azioni di accompagnamento, anche in forme particolari come l’ombreggiamento (job shadowing) o il mentoring, puntando sul mantenimento delle motivazioni dei nuovi assunti e tentando di scongiurare le tentazioni all’ appiattimento.

Attenzione: è dimostrato che la qualità del processo non è in conflitto con la necessità che esso si svolga celermente. Per i concorsi di media grandezza sono segnalati tempi complessivi (dalla decisione di effettuare un concorso all’assunzione) di meno di 20 settimane (di 15 dalla pubblicazione del bando). Per concorsi più limitati tempi non superiore ai 70 giorni.

Per concludere, sono convinto che se un’idea progettuale come quella qui tratteggiate fosse fatta propria, elaborata e realizzata sperimentalmente da alcune amministrazioni locali piemontesi, sulla scala, non irrealistica ma significativa, ad esempio di un migliaio di assunzioni nell’arco di un triennio, i suoi benefici sul loro funzionamento non tarderebbero a manifestarsi, con soddisfazione dei cittadini-elettori. E che percettibile sarebbe il segnale verso giovani dell’esistenza di un nuovo spazio per il loro buon operare in loco, riducendo la deplezione del capitale umano dei nostri territori.

*Piervincenzo Bondonio, economista, è stato professore ordinario di scienza delle finanze presso l’Università di Torino. La proposta qui presentata fa parte del progetto più ampio “Lavorare a Torino e città metropolitana” dell’Associazione di cultura politica PartecipaTO.

 

Riferimenti bibliografici: