Guerra o pace? Resistenza o resa? È difficile trovare parole adatte in un venerdì di passione per la tradizione cristiana. È meglio il silenzio, almeno per qualche ora, anche se mai deve morire la speranza, a maggior ragione al culmine di mesi in cui abbiamo inanellato eventi inattesi quanto tragici. La pandemia, la crisi economica, l’orrore dell’Ucraina, senza scordare le molte altre guerre che insanguinano il pianeta. Molte, troppe, una sessantina secondo l’ong Acled.

Silenzio

È meglio il silenzio. Almeno per qualche ora. Le urla e gli schiamazzi di coloro che berciano dal sofà, dai talk televisivi e sui social, sono paragonabili alla ferocia tagliente dell’indifferenza. Spesso agitano fake news o comunque argomentazioni da bettola terrapiattista. Senza alcun fondamento. Come sostenere che alcuni giornalisti – uomini e donne veramente dedicati alla informazione – sono asserviti alle logiche mainstream.

Dovrebbero tacere la politica e il pacifismo dolciastro. Bisogna chiedersi che cosa è verità e che cosa è menzogna. La fragile democrazia dell'Ucraina, prima dell'invasione, non era abitata da santi. È insopportabile l’equidistanza, quando – tra Russia e Ucraina – c’è chi è aggressore e chi è aggredito, benché le vittime siano poi entrambi i popoli. È meglio il silenzio, quando c'è sconfitta ovunque.

Silenzio e vergogna

È meglio il silenzio, intriso anche un po’ di vergogna, all’Onu, istituzione impotente e inchiodata. Taccia anche in chi è tentato di brindare all’economia di guerra, che si risolve poi sempre – ed è storicamente provato – in una violazione sistematica dei diritti umani in un Paese. Se s’investe tutto nelle armi, come accadde nella Germania nazista, è evidente che l’esercito può poi stuprare e saccheggiare. Non sta succedendo così in luoghi di martirio come Bucha o Mariupol?

Economia, politica ed Einaudi

L’economia e la politica dovrebbero riflettere molto – adesso che è finito in ombra di cronaca il piano Next Generation Eu – su quali siano gli investimenti veri sul futuro. Senza menzogne. Insomma, specie in Europa: Chi vuole la pace? Era il titolo di un articolo scritto il 4 aprile 1948 da Luigi Einaudi sul Corriere della sera. «Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace – incalzava l’economista, piemontese di Carrù, che poco più di un mese dopo sarebbe divenuto in Italia il primo Presidente della Repubblica –, non fermiamoci alle professioni di fede, tanto più clamorose quanto più mendaci. Chiediamo invece: volete voi conservare la piena sovranità dello Stato nel quale vivere? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace. Siete invece decisi a dare il vostro voto, il vostro appoggio soltanto a chi prometta di dar opera alla trasmissione di una parte della sovranità nazionale a un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa e se alle parole seguono i fatti, voi potrete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna».

Sagge parole ancora adesso per il Vecchio Continente. E dovrebbero forse averle tra mano i cugini francesi prima di presentarsi alle urne del ballottaggio.

Irina e Albina

Ecco, ancora: in un venerdì di passione per la tradizione cristiana, dove però s’intravede una speranza, la possibilità di un riscatto, di una risurrezione, colpisce che ci siano state sollevazioni di scudi – anche da parte di molti religiosi – per l’iniziativa di Papa Bergoglio (lui sì per niente mainstream) che ha proposto a una donna russa e a una donna ucraina di portare la croce durante la Via Crucis al Colosseo.

Ci sono un aggredito e un aggressore, ma si ricostruisce – e si riconcilia – sparigliando le carte. Con la concretezza della diplomazia. Ascoltando le urla dal silenzio. Anche con lo scandalo della profezia. Lo dobbiamo alla next generation.