Le politiche di welfare possono incrementare notevolmente il successo di un'azienda, a patto che nel disegnarle si coinvolgano attivamente i dipendenti

In Italia, l’espressione welfare aziendale è stata pressochè sconosciuta o quanto meno poco utilizzata fino al 2016, anno in cui è stata introdotta una normativa volta a potenziarne gli incentivi fiscali e ad estenderli a una gamma molto vasta di iniziative e servizi attuabili dalle imprese a sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie. Prima dell’introduzione di tale normativa, il welfare integrativo nel mondo del lavoro si riferiva quasi esclusivamente alle grandi soluzioni collettive di previdenza e sanità complementare, i fondi pensione e i fondi sanitari, istituiti dai contratti nazionali. Più conosciuti e diffusi erano invece i cosiddetti employee benefit, ovvero i benefici aggiuntivi previsti dalle singole aziende per i propri dipendenti. Queste agevolazioni tuttavia erano presenti quasi esclusivamente nelle imprese di grande dimensione e perlopiù a vantaggio di alcune categorie di manager e lavoratori qualificati, come componente del sistema premiante.

Il concetto di welfare aziendale è invece qualcosa di molto più ampio di tali benefit in quanto si rivolge a intere popolazioni aziendali e alle loro famiglie, su un range vastissimo di bisogni: dalla previdenza integrativa ai servizi per la salute e il benessere personale; dall’assistenza per i familiari anziani e per la cura dei figli alle iniziative per la conciliazione vita – lavoro; dalla formazione professionale ed extraprofessionale al sostegno per l’istruzione dei figli; dalle iniziative culturali e per la rigenerazione psicofisica a quelle per favorire l’integrazione dei soggetti deboli e degli immigrati. Il welfare aziendale può inoltre essere concepito come uno strumento per rafforzare la sostenibilità dell’impresa occupandosi del benessere e della sicurezza sociale dei lavoratori e delle loro famiglie. Una leva di politica del personale, certamente, ma di rilievo strategico perché permette di gestire il ruolo sociale dell’impresa, non solo nei confronti della comunità aziendale ma anche all’esterno di essa.

A livello di copertura,come riportato nel rapporto "Impresa possibile. Welfare aziendale in provincia di Cuneo" del 2018 - a cura di Franca Maino, Federico Razetti e Valentino Santoni (Percorsi di secondo welfare) in collaborazione con Luca Pesenti (Università Cattolica di Milano) e IPSOS -  in Italia, complessivamente, una percentuale tra il 20 e il 50% dei lavoratori sarebbe coinvolta in schemi di welfare contrattuale di origine aziendale o categoriale. Valori più alti di quelli italiani sono raggiunti da Germania, Svezia e Spagna. In generale, nella metà dei Paesi europei analizzati la diffusione dei servizi di welfare risulta essere superiore al 50% solo nell’ambito della salute, mentre per conciliazione vita-lavoro e formazione la copertura è significativa ma ricompresa tra il 20 e il 50%.
Per la maggior parte dei lavoratori quella del welfare aziendale è un’esperienza recente, in molti casi ancora limitata: non ci si deve dunque stupire se in questa prima fase non è ancora consolidato un ampio riconoscimento della sua valenza. È anche dunque con lo scopo di studiare gli effetti delle varie politiche di welfare attuate (non solo relative al welfare aziendale) che sono nate alcune realtà come Percorsi di secondo welfare le cui principali ricerche sono sintetizzate e raccolte nei “Rapporti sul secondo welfare in Italia” che, oltre a una rassegna delle esperienze di secondo welfare più interessanti presenti nel nostro Paese, offre interpretazioni e valutazioni delle dinamiche sviluppatesi negli ultimi anni intorno a questo fenomeno.

Secondo una recente survey condotta da ISSIM (Istituto per il Servizio Sociale nell’Impresa) in collaborazione con AstraRicerche, risulta molto forte il mismatch tra servizi di welfare aziendale messi a disposizione dalle imprese e i reali bisogni sociali dei dipendenti che preferirebbero invece iniziative ad hoc per venire incontro alle personali esigenze della quotidianità. Il gap tra domanda del lavoratore e risposta aziendale risulta infatti molto ampio: solo 1 intervistato su 3 percepisce l'impegno dell'organizzazione verso il benessere dei lavoratori; la stessa percentuale dichiara che il tasso di ascolto è nullo o quasi. Dallo studio emergono inoltre sia disparità di genere poiché le donne si sentono meno ascoltate rispetto agli uomini (37% contro 28%) sia disparità geografiche che vedono i lavoratori del Nord meno soddisfatti rispetto a quelli del Sud (39% contro 28%).

Nell'indagine svolta che ha coinvolto circa 800 lavoratori in tutta Italia, andando più nel dettaglio, in Italia, solamente 4 aziende su 10 sono attente agli input inviati dai lavoratori. In particolare, come è prevedibile, le percentuali più elevate riguardanti la mancanza di ascolto si trovano nelle realtà più grandi, nelle imprese con più di 1.000 dipendenti e nelle multinazionali, che tuttavia sono le stesse che offrono in percentuale una maggiore gamma di servizi di welfare. (Figura 1).
Come si può vedere dalla Figura 2, anche per merito del nuovo impianto normativo, in questi tre anni le imprese italiane hanno dato una risposta consistente, incrementando tanto l’ampiezza quanto l’intensità delle iniziative di welfare adottate.

Inoltre, le misure di welfare più diffuse (Figura 3) sono quelle relative alla sicurezza e prevenzione, alla sanità integrativa e alla previdenza integrativa che sono allo stesso tempo le aree più classiche del welfare, fortemente regolate dalle leggi e dai contratti. Per quanto concerne inoltre l’assistenza sanitaria e la previdenza complementare, la percentuale relativa alla loro diffusione sale notevolmente tra le imprese con più di 100 dipendenti, quasi raddoppiando rispetto ai valori relativi alle aziende con un numero minore di dipendenti.
Le aree inerenti alla conciliazione di vita e lavoro e della formazione ai dipendenti sono le più dinamiche e rappresentano gli ambiti di maggiore crescita per la spinta delle imprese e della contrattazione aziendale alla ricerca di modelli più flessibili di organizzazione del lavoro, di sostegni alla genitorialità e alla cura dei figli, e per l’impegno a sostenere con la formazione la qualificazione delle risorse aziendali. Ed è proprio con lo scopo di rispondere alle esigenze di conciliazione dei lavoratori e organizzative delle aziende che sono nate Lombardia, nella provincia di Varese, 5 Alleanze per la conciliazione che hanno dato vita ad altrettanti progetti, in continuità con le politiche regionali per la conciliazione tra vita privata e lavoro . Tra questi vi è ad esempio Conciliamo ancora, progetto che coinvolge lle PMI con il fine di erogare voucher per servizi di nido, baby sitting e sostegno alle famiglie nella cura dei minori.
Se si torna invece ad analizzare alla situazione a livello nazionale, l’area con il maggior tasso di iniziativa aziendale autonoma è quella riguardante la formazione dei lavoratori, ambito che viene inoltre indicato dalle imprese come prioritario per lo sviluppo futuro.
Un ulteriore gruppo di iniziative in forte crescita è quello cui vengono inseriti i servizi di assistenza (come attività di prevenzione, sportelli medici, assistenza agli anziani), il sostegno ai soggetti deboli e l’integrazione, il welfare allargato alla comunità (per cui si intende un ventaglio molto ampio di progetti nel territorio aperti all’utenza esterna).
Infine, vi sono le aree con i tassi di iniziativa più limitati e che faticano a crescere: la cultura, il tempo libero e il sostegno all’istruzione dei figli, sebbene la percentuale di quest’ultimo ambito aumenti di ben quattro volte tra le grandi imprese.

Nell’attuare queste misure di welfare vi è tuttavia un rischio concreto ovvero quello che non siano utilizzate e, di conseguenza, non producano gli effetti desiderati, trasformandosi così in un investimento senza ritorno per l'impresa, come ad esempio emerso nel Primo Rapporto Censis-Eudaimon. Anche per questa ragione, per la buona riuscita di un piano di welfare, si rivelano fondamentali il coinvolgimento diretto dei lavoratori  e una valida strategia di comunicazione.
È tuttavia importante sottolineare come le imprese più attive e coerenti nelle politiche di welfare ottengano inoltre impatti positivi sulla produttività e in generale sui risultati aziendali.

L’obiettivo principale dichiarato dalle imprese è la soddisfazione dei propri dipendenti con il fine di ottenere un clima aziendale più favorevole. Strettamente correlata a questo risultato è la fidelizzazione dei lavoratori, giudicata in miglioramento grazie alle iniziative di welfare dal 41% delle imprese. Un altro obiettivo, non meno importante, del welfare aziendale è l’aumento della produttività del lavoro. Tale aumento ha a sua volta un impatto su quegli obiettivi considerati secondari come il contenimento del costo del lavoro (30,4%) e la riduzione dell’assenteismo (35,9%). Complessivamente, sulla totalità degli obiettivi, le imprese italiane più attive ottengono risultati sensibilmente superiori alla media (Figura 4): nella produttività del lavoro (63,9%), nella soddisfazione dei lavoratori e nel miglioramento del clima (73,1%), nella fidelizzazione dei lavoratori (67,8%), nel miglioramento dell’immagine e della reputazione (72,5%).
Come dimostrano i risultati sopracitati, le politiche di welfare possono incrementare il successo aziendale, dando così il via a un circolo virtuoso. Sarebbe opportuno tuttavia, a livello di politica industriale porre attenzione anche alla vasta platea di coloro che non lavorano inseriti in contesti aziendali.