Un visionario? Il Devoto-Oli descrive tutta l'accezione negativa del termine. Può essere sostantivo o aggettivo. In ogni caso riguarda un paranoico vittima di allucinazione visive. O un mistico che ha visioni. Oppure, ancora: chi nell'elaborazione di progetti o nell'esposizione di concetti si lascia trascinare dalla fantasia e dal sentimento, astraendo dalla cruda realtà delle cose.
Oggi, del visionario, si ha tutt'altra accezione. Ne ha scritto recentemente l'Accademia della Crusca, con una interessante analisi del linguista Edoardo Lombardi Vallauri sulla sua evoluzione: «Il prestigio e l'utilità del nuovo - spiega - hanno eclissato il prestigio e l'utilità dell'antico. Immaginare cose che non esistono non è più una divagazione inutile, ma la base necessaria per continui nuovi, vicinissimi successi».
Dei visionari nelle infrastrutture? Guardate e ascoltate il ragionamento di Manuela Rocca, classe 1982, ingegnere edile, laurea specialistica con lode al Politecnico di Torino nel 2007, direttrice Sviluppo sostenibile e sicurezza di Telt, Tunnel Euralpin Lyion-Turin. Lo ha pronunciato ai Visionary Days 2021.
È importante che nella generazione adulta dei quarantenni ci siano persone così convinte (e convincenti) come l'ingegner Rocca. Impegnate, come racconta, in un'opera «tra le più controverse del Pianeta», come la Torino-Lione. Se questi sono i manager che stanno lavorando per la sostenibilità, bisogna accompagnarli, farli conoscere e apprezzare. Perché sanno essere visionari e illuminati come uomini politici d'antan - Camillo Cavour, giusto per dire un nome di spessore - nel XIX secolo. E tutto questo - se gestito rettamente e dibattuto con intelligenza - fa del bene all'economia e alla nostra cultura.
Immaginare ciò che non esiste ancora non è una divagazione. È un talento. Ed è una urgenza. Perché resta nel tempo.
Abbiamo bisogno di visionari. Ne abbiamo bisogno in particolare per le infrastrutture, per la sostenibilità e per la mobilità intelligente.
© Riproduzione riservata