Come noto, l’elettrificazione delle motorizzazioni convenzionali delle automobili può portare a diversi livelli di ibridizzazione, fino all’estremo dell’assegnare l’intera trazione del veicolo ad un motore elettrico accoppiato ad una batteria, che è in tal caso il vettore unico dell’energia.

Premessa sulle automobili ricaricabili

Tra i vari modelli ibridi, uno consente sia la ricarica della batteria anche dalla rete elettrica, sia il rifornimento di carburante: il powertrain ibrido plug-in (PHEV, plug-in hybrid electric vehile); in tal caso il motore elettrico permette di assistere quello termico in accelerazione e, in frenatura, di recuperare l’energia che andrebbe altrimenti dispersa in calore, tramite i freni; la batteria, in tal caso, può essere ricaricata tramite il movimento ottenuto da un combustibile (benzina o gasolio) come pure direttamente dalla rete elettrica. La batteria è pertanto piccola in un PHEV: ad esempio da 8-12 kWh, o un po’ più, per una autonomia con trazione solo elettrica indicativamente di 60-90 km circa.

Il veicolo elettrico puro (BEV, battery electric vehicle), invece, non può che avanzare effettuando regolarmente le ricariche della batteria dalla rete elettrica; la batteria è in tal caso l’unico serbatoio di energia e pertanto i valori di kWh suindicati crescono molto per avere un’autonomia accettabile, con valori variabili a seconda del segmento di appartenenza del veicolo, raggiungendo 80-100 kWh ed oltre.

La ricarica di auto solo elettriche (BEV) o ibride a ricarica (plug-in hybrid electric vehicle, PHEV) sarebbe da preferire su suolo privato con ricarica a basso costo, cioè la ricarica normale (talvolta denominata “lenta”); su suolo pubblico la risorsa “suolo” insieme con quella “energia” diviene contesa, specie se il mercato dei veicoli ricaricabili (BEV e PHEV) cresce, innescando il problema delle code o della irreperibilità di una postazione libera o prenotabile in tempi brevi.

Il quesito posto da questo articolo: le code per le ricariche su suolo pubblico

Fatta tale premessa, il quesito che ci si pone è: poiché la ricarica di un autoveicolo avviene attraverso un processo elettrochimico, il che richiede tempo - più o meno contenibile in base alle correnti e potenze in gioco, ma mai così rapido come il riversamento di un liquido in un serbatoio - in quali condizioni ci potremmo attendere delle code di attesa importanti per effettuare una ricarica su suolo pubblico e di che entità sarebbero? 

Naturalmente stiamo escludendo la sostituzione della batteria (battery swap) in quanto, poiché la densità energetica di una batteria moderna si può aggirare attorno ai 200 Wh/kg o poco più, per una batteria da 10 kWh risultano circa 50 kg netti, mentre per una da 80 kWh il valore sale a circa 400 kg, che potrebbero scendere a circa 270 nel caso di evoluzione verso batterie energeticamente più dense con 300 Wh/kg. La sostituzione della batteria può andare bene per veicoli piccoli come le moto o veicoli a tre ruote (tipo l’Ape e rickshaw o risciò, molto usati in India).

La quantificazione delle code di auto connesse alle ricariche

La transizione dal veicolo basato sul motore a combustione interna, al quale siamo abituati da decenni, a quello elettrico richiede diversi prerequisiti per essere concretizzabile su larga scala (gli inglesi la definiscono scalability) e porta una serie di modifiche nel contesto della mobilità nonché delle abitudini degli utenti di autoveicoli.

Si è deciso quindi si prendere in esame nello specifico quel cambiamento necessario, da parte dell’utenza, per ristabilire l’autonomia dei veicoli. Molte delle considerazioni che seguono sono influenzate dallo specifico scenario della mobilità italiana ma sono facilmente mutuabili perlomeno in tutta Europa.

Come evidenziato, i processi di ricarica di un veicolo elettrico e quello del tradizionale rifornimento hanno un grado di dissimilarità non trascurabile. Il passaggio da un parco circolante quasi interamente costituito da veicoli con motore a combustione interna ad un progressivo incremento dei veicoli elettrici puri (BEV), richiede grande attenzione. Il servizio che sperimenta l’utente finale nel ripristinare l’autonomia del veicolo è difficilmente comparabile tra le due categorie.

La questione della rete

La rete italiana esistente di 21.750 stazioni di rifornimento di carburanti (di fatto la più ampia in Europa) garantisce un servizio più che adeguato all’utenza nazionale, nonostante un parco circolante di quasi 40 milioni di veicoli ed il secondo tasso di motorizzazione (veicoli per abitante) al livello europeo.

Il modello analitico sviluppato per stimare il tempo medio di attesa in coda a livello italiano ha fornito un tempo pari a 6,52 minuti ed una probabilità di coda (alias, di trovarsi in coda per un rifornimento) pari al 23,34%.  Questa è la situazione attuale.

Nell’analizzare i vari scenari per la rete di ricarica elettrica occorre considerare la rilevante variabilità del tempo di servizio in funzione della potenza alla quale viene eseguita la ricarica. Questo fattore, di cruciale importanza, influenza profondamente tutti gli aspetti inerenti a questo processo.

Prendendo in esame i quattro livelli di potenza selezionati perché più consueti (22kW, 50kW, 150kW, 350kW) e un rispettivo numero di colonnine (500 mila, 250 mila, 150 mila, 100 mila) si può notare come il tempo medio di attesa vari fortemente con la percentuale di veicoli che usufruiscono della rete nel caso delle potenze più basse.

Per la rete a 22kW il tempo medio di attesa varia tra 151,13 minuti (2,52 ore), 5% del parco circolante, e 1.177,77 minuti (19,63 ore) per il 100% (Figura 2).

Figura 2. Tempo di attesa per la ricarica di auto su suolo pubblico in funzione della potenza disponibile per la ricarica e della percentuale di veicoli a ricarica solo elettrici (BEV)

Passando alla rete a 350 kW, lo stesso incremento nel parco circolante produce un range di variabilità tra 9,19 min e 12,85 min nel tempo medio di attesa. La probabilità di trovare coda mostra degli andamenti simili. Con riferimento ai due casi precedenti la probabilità varia tra 4,64% e 89,97% per la rete a 22kW mentre, per quella a 350kW si ha un range tra 1,47% e 29,53%.

Considerando i numeri esposti in precedenza, è possibile trarre delle conclusioni allarmanti, guardando al servizio sperimentato dall’utenza, quando il parco veicoli che utilizza la rete diventa rilevante: se non si ha una ricarica domestica o sul luogo di lavoro, la ricarica su suolo pubblico risulta inaccettabile, in termini di code presso postazioni singole di ricarica, su un parco circolante non marginale.

È necessario, inoltre, considerare un altro parametro di fondamentale importanza: l’utilizzazione della rete (ρ), il quale è vincolato alla stabilità della rete e varia tra 0 e 1. Riuscire a smaltire una coda, quando presente, implica la rete come stabile, in caso contrario si verifica un accumulo di utenti che porta a code teoricamente infinite. Guardando le reti in esame, quella contraddistinta dalla potenza più bassa (22kW) raggiunge, di fatto, l’instabilità con un valore ρ pari a 0,94 mentre, per la rete ad alta potenza (350kW), il valore non va oltre 0,30 (Figura 3).

Figura 3. Probabilità di trovare coda per la ricarica di auto su suolo pubblico in funzione della potenza disponibile per la ricarica e della percentuale di veicoli a ricarica solo elettrici (BEV): il problema è solo parzialmente risolubile con la prenotazione perché per trovare libra una postazione occorre rimandare nel tempo la ricarica

L’ultimo indicatore, reperito in letteratura, è il costo. Le colonnine da 22kW implicano un importo che oscilla tra i 2 e i 4 mila euro mentre per quelle da 350kW si arriva a 80 mila euro.

Il rifornimento difficile

Risulta evidente che, dal punto di vista del servizio offerto, è possibile comparare solo la rete ad alta potenza con quella del rifornimento tradizionale. Tuttavia, a parità di percentuale di veicoli che ne usufruisce, quella di ricarica mostra comunque un servizio peggiore in termini di tempo complessivo in coda nel sistema. Immaginare una rete più numerosa di colonnine rispetto a quella selezionata, che andrebbe a fornire un servizio leggermente migliore, è piuttosto improbabile a causa degli altissimi investimenti necessari. La rete con potenze medio/basse non è adatta come servizio di ricarica pubblico, come mostrano i numeri; lo sarebbe per quello privato (posti auto privati o aziendali).

La ricarica normale, cosiddetta anche “lenta” può essere, invece, utilizzata – anzi è di gran lunga da preferire - come ricarica privata durante la notte o di giorno nei luoghi di lavoro ossia, in occasioni in cui il veicolo resta fermo per svariate ore.

Quindi l’appellativo lenta, che appare negativo, risulta invero la soluzione più adatta nel caso in cui esista un tempo a disposizione ed il posto auto non sia conteso, sia in termini di impatto sulla rete sia per il costo del tutto concorrenziale della corrente elettrica in tale caso (ricaricare a 20-24 cent/kWh in ricarica ordinaria o “lenta” equivale a spendere circa la metà, a parità di percorrenza, rispetto ad un rifornimento ai prezzi attuali di mercato, con un litro che si aggira attorno a 2 euro).

Guardando i numeri, un incremento consistente della flotta veicoli elettrificata probabilmente implicherà – o forse meglio dire implicherebbe - una transizione verso la ricarica privata (è difficile, tuttavia, immaginare una ricarica completa per veicoli di segmenti superiori al B nel corso di una notte in ricarica lenta).

È chiaro che l’idea sarebbe appunto disporre di una postazione di ricarica per ogni veicolo ricaricabile, il che sarebbe del tutto accettabile.

Nel contesto italiano è comunque presente un “piccolo problema”, se questo è l’obiettivo, cioè evitare la ricarica su suolo pubblico per le enormi code che questa genererebbe: da una disamina di dati del catasto, emerge che esistono in Italia 15.727.153 posti auto in edifici privati, sia stalli singoli sia come garage: il numero di garage privati - ammesso che siano facilmente equipaggiabili con una postazione di ricarica – andrebbe a coprire solo 39,59% del parco circolante. Alla luce dei risultati delle simulazioni basate sulla teoria delle code e delle caratteristiche tecniche dei punti di ricarica nonché dei veicoli elettrici, risulta che sarà – o sarebbe - necessaria una modifica, non trascurabile, nelle abitudini di utilizzo dei veicoli nonché della propria quotidianità in funzione dell’auto, se BEV. Anche postulando un importante dispiegamento di punti di ricarica, tale processo richiede una programmazione piuttosto rigorosa degli impegni quotidiani per far sì che il veicolo soddisfi il bisogno di mobilità. La ricarica eseguita ad alta potenza consente apparentemente maggiore libertà; tuttavia, porta in dote costi elevati in termini di installazione delle infrastrutture e della ricarica stessa. Quest’ultimo particolare potrebbe renderla meno appetibile all’utenza in quanto l’incremento del costo è dovuto alla disparità del servizio sperimentato e non alla ricarica stessa.

Conclusioni

Nessun processo rapido in natura è di tipo elettrochimico: chi ha sete, beve; se si deve spegnere un incendio non generato da elettricità, si getta acqua. Nel caso delle auto, dover ricaricare implica tempo; l’ideale è evidentemente disporre di una postazione privata o ad uso esclusivo per ogni auto.

Non essendo ciò possibile ed essendo in Italia molto distanti da questa situazione, come emerso, la risorsa “ricarica” diviene “contesa”; questo problema si può risolvere in parte con una prenotazione di postazione, ma se il mercato sale – come vorrebbe l'attuale Parlamento europeo addirittura al 2035 - uno dei tanti patimenti che gli automobilisti dovrebbero sopportare è una coda. Il problema è che tale coda inizia a decollare verso tempi impensabili già solo con pochi punti percentuali di parco circolante solo elettrico (BEV), senza contare che l’analisi se la rete regga in contemporanea questi numeri con ricarica rapida o veloce sia tutta da verificare. 

Possibile che al Parlamento Europeo non ci abbiano pensato? Forse sì, ma la variabile ambientale, neppure globale (perché non è detto che un BEV generi meno CO2 di un veicolo con motore innovativo nel suo ciclo di vita), ma solo locale, sembra surclassare il resto delle esigenze del mondo e delle esigenze delle persone.

In un siffatto contesto decisionale allora la risposta è: o elettrico o idrogeno. Osservando il parco circolante europeo l'idrogeno è però di fatto inesistente, complici anche le problematiche legislative legate allo stoccaggio.

A mano a mano che, però, si scende con i piedi sulla realtà ci si accorge che la scalabilità dell’elettrico puro (BEV) non è così sopportabile (o sostenibile) dalla gente in termini di code, a meno di non investire ingenti risorse per rendere intere corsie stradali adatte a ricaricare le auto in movimento: tecnicamente questo è possibile.

Alla fine potrebbe perderci l’industria, con le famiglie che vi gravitano attorno nonché le entrate per lo Stato perché l’auto elettrica pura non riesce ad essere così attrattiva. Adottando quindi una visione più organica volta a considerare tutti i fattori connessi alla possibile e/o probabile transizione, forse la soluzione più percorribile, alla luce di quanto esposto, è la motorizzazione ibrida plug-in (PHEV), con una batteria compatibile con una ricarica domestica o sul luogo di lavoro e non così energivora da comportare delle code quotidiane per poter avere la batteria carica, garantendo comunque una riduzione delle emissioni  complessive ed azzeramento nelle emissioni locali negli spostamenti in città, dove c’è di fatto il problema dell’inquinamento.

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