La settimana che potrebbe dare una svolta alla Torino-Lione si apre nel segno di una manifestazione Sì Tav che andrà in scena giovedì sul piazzale della stazione di Saint Jean de Maurienne, a pochi minuti dal cantiere del tunnel sotto le Alpi. “Un grande raduno popolare” promettono gli organizzatori per ribadire quel che gli ultimi sondaggi hanno confermato: il 78% dei residenti della Maurienne restano favorevoli all’opera ferroviaria. Poi il 17 e 18 giugno scenderanno in piazza gli oppositori del movimento “Rivolte della Terra”, sotto la spinta dei No Tav italiani, per esigere lo stop dei lavori.
La settimana successiva riunione della Cig, la commissione intergovernativa Italia-Francia il 22 e il giorno dopo l’assemblea della Transalpine che ha al vertice Jacques Gounon che è stato ad dell’Eurotunnel e che della Torino-Lione sostiene “porterà benefici paragonabili a quelli del tunnel sotto la Manica”. Paolo Foietta, che, dopo esser stato tra l’altro commissario di governo per la Tav, oggi guida la Cig, può aiutare a fare un punto della situazione e diradare qualche ombra su un’opera di cui si parla da vent’anni.
Presidente, qual è il vero nodo?
«Sono le vie d’accesso al tunnel. Un serio problema. Noi dobbiamo realizzarne meno di 50 chilometri, i francesi quasi 150, tre volte tanto, comprese alcune gallerie che messe insieme avranno una lunghezza superiore a quella del tunnel di base. Un’infrastruttura onerosa per i transalpini: servono tra i sei e i sette miliardi. Metà del finanziamento lo metterà l’Ue. Il resto sarà a carico della Francia. L’altro giorno il ministro dei Trasporti Beaune ha fatto un decisivo passo avanti dicendo che lo Stato avrebbe garantito tre miliardi di finanziamento. Ma chiede contemporaneamente alla regione di partecipare alla spesa, fino al 50%. Una questione tutta politica, che dovranno risolvere tra loro. L’importante che il governo francese abbia assicurato il finanziamento con i tempi che corrono»
Perché?
«Perché la Francia ha sempre guardato con più interesse verso Nord che a Sud del Paese. E in tempi in cui le risorse non sono floridissime si è riaccesa la competizione tra aree per accaparrarsi i fondi. E in molti spingono perché i finanziamenti che servono per le infrastrutture di collegamento alla Torino-Lione siano utilizzati per opere Parigi-centriche, al Nord, per migliorare i collegamenti con la Germania e i Paesi Bassi».
Quanto pesa l’opposizione al progetto del sindaco di Lione Grégory Doucet, un ecologista che ha idealmente sostituito Chiara Appendino nel fronte del no?
«Di certo non aiuta, ma il vero nodo è il Nord della Francia. Da li arrivano le pressioni più forti su Parigi perché si privilegi quell’area rispetto al Sud del Paese. In più c’è un altro fattore che pesa: tutti i progetti che non riguardano la capitale sono considerati di serie b. Ma la mobilitazione di oltre 40 sindaci dell’area di Lione ha avuto il suo effetto. Così come credo una spinta decisiva possa venire dalla nuova Prefetta di Lione Fabianne Buccio».
Perché crede che la commissione intergovernativa del 22 giugno possa rivelarsi risolutiva?
«Perché mi aspetto novità sul cronoprogramma, questione su cui abbiamo insistito più volte nelle ultime settimane con gli amici francesi. Il tunnel di base è come un ponte sotto le Alpi: senza le rampe di accesso non funziona o funziona male. Vorrei evitare che accadesse quel che è successo con il traforo autostradale del Frejus: la galleria aperta nel 1980 e l’autostrada solo 25 anni dopo. Sarebbe un bis davvero penalizzante».
Nel 2032 è previsto l’avvio delle prime corse sulla linea. Che entrerà a pieno regime dopo un anno di collaudo. Insomma, tra dieci anni come adesso i treni circoleranno sotto la nuova galleria, ma la Francia avrà le rampe di accesso?
«Il nodo è proprio questo. Dieci anni forse sono pochi per mettere a terra progetti che in alcuni casi non sono ancora nemmeno sulla carta. Se poi si considera anche le complicazioni dal punto di vista tecnico che può comportare la costruzione di tre gallerie, è difficile che la Francia possa rispettare l’appuntamento. Ma quel che conta è che ci sia data una data. Il 2038? Oppure il 2037? Non importa, l’importante è che si fissino dei paletti. Noi sul fronte italiano stiamo già lavorando su alcuni tratti della Bussoleno-Avigliana, altri lavori saranno presto affidati. Insomma, siamo ben lanciati verso la meta, ma ripeto, è decisivo che in tempi certi l’intera infrastruttura sia operativa. Anche per evitare un altro problema».
Quale?
«Nel 2013 la Francia ha vincolato le aree interessate all’opera con la dichiarazione di pubblica utilità (Dup) che scade nel 2028. Se per quella data i lavori non saranno avviati il diritto d’esproprio salta e la procedura va rifatta daccapo. Un intoppo da evitare per evitare un rinvio alle calende greche».
Tra un conto e l’altro si andrà oltre il 2035, l’anno in cui l’Europa fermerà i motori diesel. A quel punto anche i Tir diventeranno più ecologici. Ha ancora senso insistere sul trasferimento del trasporto su gomma su un treno?
«Innanzitutto bisogna partire da due dati. Il 2022 è stato l’anno record per le merci trasportate su ferrovia attraverso le Alpi anche se l’Italia resta tremendamente indietro: da noi il 93% del traffico viaggia ancora su gomma. In Svizzera, stato con cui confiniamo, il 70% dei Tir viene dirottato su ferrovia. E poi ovunque nel mondo si sta investendo sul treno come il mezzo più ecologico, affidabile e sperimentato che ci sia: sono stati realizzate persino linee ad alta velocità tra Los Angeles e San Francisco e tra Tangeri e Casablanca. Poi magari arriveranno l’hyperloop sognato da Appendino o altre tecnologie, ma per ora una transizione ecologica dei sistemi di trasporto terrestri è solo questa. Per questo i trafori ferroviari delle Alpi vanno adeguati, in Europa è già successo per tutti i valichi tranne che per la Torino-Lione che è la più antica e la più problematica, con pesanti limitazioni al traffico proprio per una questione di sicurezza. La galleria del Frejus costruita ormai più di un secolo e mezzo fa da Cavour non ce la fa proprio più».
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