Uno spettro si aggira per il mondo. Sospinto dalle ambizioni di chi lo agita e dall’allarme di chi lo teme. Si tratta dei Brics, acronimo che indica Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, gruppo originario di Paesi formatosi nel 2010 e, negli ultimi tempi, in forte espansione numerica e politica, che ha l’obiettivo sempre più trasparente di costituire un punto di aggregazione per quanti, nell’ambito del cosiddetto Sud Globale, intendono creare un’alternativa politico-economica all’Occidente e alle sue istituzioni che dalla fine della Seconda Guerra mondiale governano il sistema internazionale.
Dal 22 al 24 ottobre, si è riunito a Kazan, in Russia, il 16° vertice annuale dell’organizzazione, il primo che ha visto la presenza dei capi di stato dei quattro nuovi stati membri (Iran, Egitto, Emirati Arabi Uniti ed Etiopia), accanto ai dirigenti di un altro nutrito gruppo di Paesi interessati a una prossima adesione, tra cui spiccano Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakhistan, Malaysia, Messico, Nigeria, Senegal, Sri Lanka, Sudan, Thailandia, Turchia, Uganda, Uzbekistan e Vietnam, oltre al Venezuela (il cui ingresso è osteggiato dal Brasile per la scarsa democraticità del regime di Nicolas Maduro), all’Argentina (la cui domanda, già accettata dagli altri membri, è stata ritirata all’ultimo istante, nel dicembre scorso, dal neo-presidente iper-liberista Javier Milei) e all’Arabia Saudita, membro ormai de facto ma che esita a compiere l’ultimo passo formale. A questo blocco potrebbe aggiungersi in seguito un’altra decina di stati di Africa, Medio Oriente e America latina.
Perché poc’anzi abbiamo paragonato i Brics a uno spettro? Perché la loro creazione punta ad essere una novità dirompente per gli equilibri internazionali consolidati da 80 anni , rappresentando un evento rivoluzionario in grado di coagulare un nuovo consenso tra i paesi meno sviluppati intorno a poche ma semplici regole politico-economiche: non ingerenza negli affari interni altrui, risoluzione pacifica delle controversie internazionali, rifiuto di ogni tipo di egemonismo, divieto di applicazione di sanzioni politico-economiche in caso di contenziosi inter-statuali, convivenza “pacifica” tra i differenti regimi politici interni dei paesi aderenti, sia democratici sia autocratici. Il blocco - pur non avendo ancora accolto la ventina di paesi candidati all’ingresso - rappresenta già ora il 45% della popolazione mondiale, il 36% del valore del Pil e circa il 22% delle esportazioni globali.
Forti di questi numeri, i Brics puntano a rivedere le regole del gioco internazionali, ritenendo ingiusto e anacronistico che l’intero sistema economico-finanziario continui a reggersi sugli accordi di Bretton Woods del 1944, come se, nel frattempo, il mondo non fosse radicalmente cambiato. Un primo progetto di modifica (chiamato “Potenziamento del sistema finanziario globale”), che mira a creare un nuovo sistema internazionale di pagamenti, è stato presentato a Kazan dalla Russia.
Cerchiamo ora di fare chiarezza su alcuni degli obiettivi più significativi che il blocco dei Brics intende perseguire.
Sostenere una rappresentanza più equa nelle organizzazioni globali.
Tra gli scopi più qualificanti dei Brics vi è la creazione di un fronte unito delle economie emergenti nelle istituzioni multilaterali esistenti. Il gruppo punta sia a ottenere la loro riforma, come l’allargamento e la revisione dei poteri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, sia a formare blocchi negoziali all’interno di tali istituzioni. Tra gli esempi recenti più significativi di questa politica di “blocco”, vi è l’astensione di molti paesi Brics sulle varie mozioni di condanna dell’invasione russa in Ucraina votate dalle Nazioni Unite e la ricerca di posizioni comuni sul programma nucleare iraniano e sui conflitti in Afghanistan, Gaza, Libia e Siria.
Creare un sistema di finanziamento alternativo.
La New Development Bank (NDB) e il Contingent Reserve Arrangement (CRA) - le strutture finanziarie di cui si è dotato il gruppo - hanno lo scopo di riprodurre, sostituendole, le attività rispettivamente della Banca Mondiale e del Fmi. I Brics sperano che tali istituti di credito paralleli possano potenziare la cooperazione Sud-Sud riducendo la dipendenza dalle fonti di finanziamento tradizionali. L'NDB e la CRA sono stati concepiti come alternativa ai cosiddetti accordi di Bretton Woods. Molti paesi del Sud del mondo ritengono che queste istituzioni, in particolare la Banca mondiale e Fmi, non siano più in grado di soddisfare i bisogni dei paesi più poveri, specie in un settore che si profila decisivo nel prossimo futuro come il finanziamento della lotta contro il cambiamento climatico. “Questo sistema è stato creato dai paesi ricchi a beneficio dei paesi ricchi - ha ammesso di recente il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres - Di fatto, nessun paese africano era seduto al tavolo negoziale degli accordi di Bretton Woods”.
Le due istituzioni operano in modi differenti. Il CRA, un fondo comune tra le banche centrali dei Brics che offre sostegno durante le crisi valutarie, è limitato ai paesi aderenti, mentre nel 2021 la NDB ha aperto a progetti privati in altri paesi dei mercati emergenti. L'NDB offre prestiti, garanzie e altri meccanismi finanziari per sostenere progetti privati che contribuiscono allo sviluppo sostenibile e alla realizzazione d’infrastrutture. Ha lo scopo di offrire maggiore flessibilità e uguaglianza tra gli azionisti, nonché un accesso più facile ai fondi rispetto alla Banca mondiale, che deve gestire il consenso di 190 paesi membri. I suoi prestiti si concentrano sull’energia pulita, sui trasporti, sui servizi igienico-sanitari e sullo sviluppo sociale e punta a destinare il 40% del valore dei suoi progetti alla lotta ai cambiamenti climatici. Dal 2016, anno d’inizio della sua attività, a oggi la banca ha approvato 96 progetti per un valore di oltre 32 miliardi di dollari.
Questi sforzi, tuttavia, incontrano ostacoli non trascurabili. L’NDB è oltre cinque volte più piccola della Banca Mondiale e vari esperti dubitano che possa sostituirla completamente. Altri sostengono che le sue ambizioni di ridisegnare il sistema finanziario globale si stiano rapidamente ridimensionando poiché le pratiche di gestione adottate risultano simili a quelle, fortemente contestate, dei suoi concorrenti. Ed è stata anche oggetto di critiche per gli impegni troppo vaghi assunti in merito alle norme d’impatto ambientale e sociale.
Coordinare la loro politica economica.
La recessione globale del 2008 ha colpito a fondo i paesi Brics, evidenziando la necessità di un più stretto coordinamento economico su questioni come le politiche tariffarie, le restrizioni alle esportazioni di risorse critiche e gli investimenti. I flussi annui degli investimenti diretti esteri (IDE) del blocco sono più che quadruplicati (vedi grafico di pag. 6) tra il 2001 e il 2021, anche se negli ultimi anni l’incremento è alquanto rallentato.
Ridurre la dipendenza dal dollaro e creare un sistema di finanziamento alternativo.
Sempre più delusi dal ruolo dominante del dollaro nelle transazioni globali, che li espone agli effetti delle sanzioni economiche occidentali, i leader dei Brics da tempo sostengono l’obiettivo della de-dollarizzazione a favore dell’aumento del commercio nelle valute locali o addirittura della creazione di una nuova valuta comune dell’organizzazione.
I dati della tabella mostrano tuttavia come il progetto incontri enormi problemi. La quota del dollaro (48%) ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 12 anni, mentre l’uso del renminbi, l’attuale “campione” dei Briscs, è salito appena dal 2 al 3,5%, un aumento troppo modesto per costituire una reale alternativa al biglietto verde. Ė semmai l’euro ad aver perso vistosamente terreno a vantaggio proprio del dollaro, a riprova delle difficoltà politiche ed economiche che attraversa il processo di unificazione europea. Insomma, ai Brics resta molta strada da fare per intaccare il dominio della moneta statunitense come valuta globale dominante.
Il sogno di una valuta comune anti-dollaro.
Ė stata anche ipotizzata l’introduzione di una nuova valuta comune, di cui il presidente brasiliano Luiz Lula da Silva è un grande sostenitore. Altre proposte monetarie presentate al vertice del 2023 includevano la creazione di una nuova criptovaluta o l’utilizzo di un paniere combinato di valute dei paesi membri. Queste ambizioni appaiono però in buona misura eccesive. Una valuta comune dei Brics presupporrebbe la creazione di meccanismi di tale complessità - tra cui un’unione bancaria, una fiscale e una convergenza macroeconomica generale - da richiedere, in via previa, importanti compromessi politici. Il dollaro, da quasi un secolo la principale valuta di riserva mondiale, è ancora utilizzato in oltre l’80% delle transazioni commerciali globali e molti esperti dubitano che una nuova valuta di riserva Brics avrebbe sufficiente stabilità o affidabilità per essere ampiamente utilizzabile nelle transazioni internazionali. Specie in tempi brevi.
Crescita numerica dei membri: fino a che punto?
La spinta all’aumento delle adesioni rappresenta un'altra linea di faglia all’interno del blocco. Pechino e Mosca sono a favore di un allargamento accelerato, mentre Brasile e India appaiono più perplessi, preoccupati che ciò riduca ulteriormente la loro influenza già limitata a vantaggio di quella russo-cinese. La Russia manterrebbe infatti il proprio peso sotto il profilo strategico-militare mentre la Cina, attraverso l’aumento dei paesi aderenti, risulterebbe destinata - grazie alla rete di accordi stesi attraverso la “Belt and Road Initiative”, di cui molti di tali paesi fanno parte - ad accentuare il proprio rilievo economico, diluendo solo in parte la sua preponderanza rispetto al Pil globale del gruppo, che attualmente sfiora il 61%.
L’ingresso di Egitto ed Etiopia amplificherà la voce del continente africano. Il Cairo, che vanta anche stretti rapporti commerciali con Cina e India e antichi legami politico-militari con la Russia, come nuovo membro dei Brics cerca di attrarre più investimenti e migliorare la sua economia malconcia. La Cina ha corteggiato a lungo l’Etiopia, la terza più grande economia dell’Africa sub-sahariana, iniettandovi miliardi di dollari d’investimenti per farne un hub della sua Belt and Road Initiative.
Con l’adesione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti i Brics si arricchiranno delle due principali economie del mondo arabo nonché, rispettivamente, dei secondi e degli ottavi maggiori produttori petroliferi mondiali. La proiezione politica delle due monarchie sta inoltre assumendo un ruolo sempre più rilevante anche fuori dal Medio Oriente. Entrambi svolgono ruoli di mediazione in altre regioni, con l’Arabia Saudita che guida i colloqui di pace in corso per comporre la guerra civile in Sudan e il conflitto in Ucraina e con gli Emirati Arabi Uniti che ospitano colloqui per la stabilizzazione dei rapporti tra India e Pakistan. Inoltre, entrambi i paesi hanno accettato di normalizzare le loro relazioni con Israele per la prima volta dopo decenni (nell’ambito dei cosiddetti “accordi di Abramo”), anche se Riyadh continua a legare la formalizzazione di questa intesa a una definitiva soluzione del problema palestinese. Tuttavia, alcuni esperti avvertono che la crescente rivalità tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, per la quale sono giunti a schierarsi su fronti opposti in alcuni conflitti, potrebbe trasferirsi all’interno dell’organizzazione. Altri ritengono invece che entrambi i paesi, grazie all'adesione ai Brics, saranno stimolati a puntare sullo sviluppo economico ridimensionando in parte le loro ambizioni regionali.
Quali rapporti con l’Occidente?
Le nuove adesioni sollevano inoltre vari interrogativi sulle relazioni con l'Occidente. La Russia e l’Iran sono ormai i principali antagonisti del ruolo internazionale dominante degli Stati Uniti: come ebbe a dire tempo fa l’ex presidente iraniano Ibrahim Raisi al suo omologo cinese Xi Jinping, “l’adesione dell’Iran al blocco [Brics] è dettata dall’opposizione all’unilateralismo americano”. Nel caso della Cina, essa è di fatto bloccata tra la competizione economica e geopolitica con gli Stati Uniti (destinata ad accentuarsi fortemente in caso di una presidenza Trump) e la volontà politica di presentarsi come un attore globale e un mediatore responsabile. Tuttavia, Sud Africa, Brasile e India (con la quale Washington sta sviluppando una crescente cooperazione geo-politica, con risvolti anche militari) vantano relazioni piuttosto cordiali con gli Stati Uniti. In un altro quadrante geografico - quello mediorientale - Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono addirittura, dopo Israele, i principali partner regionali di Washington in campo militare e della sicurezza.
L’atteggiamento dell’Occidente
I paesi occidentali finora hanno in gran parte minimizzato gli effetti della crescita del gruppo. Il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha affermato che Washington non vede i Brics come un rivale geopolitico, mentre la segretaria al Tesoro Janet Yellen ha finora derubricato gli sforzi per allontanarsi dal dollaro come “un naturale desiderio di diversificare” l’uso delle varie valute. Analogamente, la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha confinato al mero piano economico l’obiettivo dei crescenti legami tra i membri dei Brics. Alcuni think-tank, come Geopolitical Monitor, hanno liquidato come “esagerate” le ambizioni dei paesi Brics, anche perché i contrasti interni tra i suoi membri, reali e potenziali, sarebbero tanto profondi da depotenziare ogni eventuale minaccia nei confronti degli interessi economici e geo-politici statunitensi e, più in generale, occidentali. Tuttavia, alcuni analisti politici europei hanno compreso come il sentimento anti-occidentale stia diventando sempre più diffuso. Vedono l’espansione dei Brics come il risultato di una risposta euro-americana superficiale e poco lungimirante alle rivendicazioni dei paesi a reddito medio-basso rimasti ai margini dello sviluppo globalizzato e ammettono che l’Occidente deve rendersi disponibile ad avviare una profonda riforma delle istituzioni finanziarie internazionali.
“L’accusa che l’Occidente sia arrogante nei confronti delle esigenze del Sud del mondo è seria. Non si può rispondere offrendo “partenariati basati sul valore” e un “multilateralismo basato sulle regole” quando l’interesse dei Brics s’incentra sul cambiamento di tali regole nella finanza globale, nel commercio e in altre procedure di definizione degli standard”, scriveva lo scorso anno Günther Maihold,, senior fellow presso il German Institute for International and Security Affairs (SWP).
Altri analisti sostengono che gli sforzi di de-dollarizzazione dei Brics potrebbero alla lunga logorare la forza del dollaro e quindi la salute dell’economia statunitense. “Ignorare i Brics come una forza politica importante - qualcosa a cui gli Stati Uniti sono stati finora inclini - non è più un’opzione”, concludeva lo scorso anno uno studio della Tufts University (Massachusetts).
Fattori di divisione interna
Resta diffusa l’opinione che, oltre alle sfide da superare per realizzare i loro obiettivi economici, i paesi Brics debbano affrontare anche crescenti tensioni interne e rivalità, come si disse già in occasione del vertice del 2018. Tra Cina e India - che pure hanno saputo raggiungere, proprio alla vigilia del vertice di Kazan, un accordo bilaterale sulla composizione della loro annosa controversia di confine - non è difficile prevedere un aumento della competizione per assicurarsi la leadership economica e geopolitica del Sud del mondo. I Brics hanno già incontrato problemi nell’adottare posizioni comuni: ad esempio, nel settembre scorso, una riunione dei ministri degli Esteri a margine dei lavori dell’Assemblea generale a New York, in cui si cercava di proporre un modello alternativo per razionalizzare le nuove ammissioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu, per la prima volta nella storia del gruppo non è stata in grado di produrre un documento condiviso per l’opposizione dei nuovi membri africani Egitto ed Etiopia alla candidatura regionale del Sud Africa.
Anche l’invasione russa dell’Ucraina ha provocato divergenze interne. Il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale (ICC) contro Vladimir Putin per i crimini di guerra di cui sono state più volte accusate le truppe russe in Ucraina ha complicato i lavori del forum dei Brics del 2023, costringendo il presidente russo a restare a casa per non rischiare l’arresto da parte del Sud Africa, che è membro dell’ICC. I Brics, in questa particolare materia, sono andati di fatto in ordine sparso): Cina e India hanno accolto le visite di Putin senza difficoltà, poiché non aderiscono alla ICC. La diffusa (ma numericamente non schiacciante) condanna dell’aggressione russa in sede Onu, seguita da un corposissimo complesso di sanzioni economiche comminate dall’Occidentale e le forti pressioni diplomatiche per fermare gli scambi commerciali con Mosca, sono state sostanzialmente ignorate dai suoi alleati Brics: Cina e India hanno fatto affari d’oro con Mosca, contribuendo a “triangolare” le vendite d’idrocarburi russi su tutti i mercati mondiali. Alcuni analisti sostengono addirittura che le sanzioni sul petrolio russo abbiano di fatto contribuito a estendere la popolarità dei Brics nel cosiddetto “Sud Globale”, accrescendo il numero delle domande di adesione.
Nel frattempo, anche l’instabilità interna ai paesi membri ha incrinato la fiducia negli sforzi dei Brics. Negli ultimi dieci anni, il Brasile e il Sudafrica hanno ripetutamente affrontato gravi crisi politico-economiche, aggravate da una cronica corruzione, mentre il futuro della Russia - sia a breve, sia a medio-lungo termine - resta condizionato dall’esito del conflitto in Ucraina. A meno di un’improbabile vittoria schiacciante sul campo, su Mosca graveranno quasi certamente pesanti pendenze economiche (gli effetti delle sanzioni occidentali non cesseranno certo di colpo e l’onere/opportunità della ricostruzione dell’Ucraina resta imponderabile) e politiche: la corsa al riarmo generale durerà prevedibilmente ancora a lungo, con effetti nefasti sulle future capacità di spesa in campo sociale e quindi sul livello di consenso politico di qualsiasi regime sia chiamato a dirigere il paese.
Altre importanti linee di demarcazione includono la capacità di convivenza tra democrazie e autocrazie (finora assicurata dall’accantonamento del problema) e dal moltiplicarsi delle rivalità interne di lunga data, come quelle tra Arabia Saudita e Iran, Egitto ed Etiopia, Marocco e Algeria, Cina e Vietnam, India e Pakistan, Cina e Indonesia. Sempre che la ritrovata armonia sino-indiana si riveli un’intesa solida e di lungo periodo e non, invece, una breve parentesi in una storia di conflitti secolari.
Per cercare di prevenire dissidi politici potenzialmente gravi, lo scorso agosto Vladimir Putin ha proposto la creazione di un “parlamento dei Brics” (di composizione e sistema elettivo per ora indefiniti), che probabilmente avrebbe poteri soltanto consultivi. Un segnale, comunque, che il problema è potenzialmente rilevante ed è tenuto in debito conto dai vertici dei Brics.
Fonte immagine copertina: imagoeconomica.it
© Riproduzione riservata