Agadir, resort vacanziero marocchino sull’oceano, dista dal Cairo quanto dall’isola di Terranova in Canada. Il Nordafrica rimane uno spazio immenso, le cui coordinate geopolitiche sono state sconvolte dalle primavere arabe. Movimenti popolari i quali, nonostante le intenzioni, non hanno portato ad una convergenza liberale o democratica di questo spazio. Invece, i cinque paesi della sponda sud del Mediterraneo si muovono in ordine sparso, spesso afflitti da profonde crisi economiche e politiche: dinamiche domestiche e regionali che stanno ridisegnando il Nordafrica.
Per decenni regimi autoritari avevano garantito il mantenimento dell’ordine interno. Ad esso corrispondeva una politica estera prevedibile e accomodante verso i dirimpettai europei della sponda nord, e quindi al potere americano comunque sempre presente nel bacino mediterraneo. Questo quadro è fondamentalmente cambiato.
L’unica eccezione può essere il Marocco, da sempre relativamente marginale alle grandi questioni del mondo arabo data la sua posizione defilata e la stabilità istituzionale del suo regime monarchico. Rabat ha sempre avuto relazioni buone con le due potenze chiave di Francia e Stati Uniti. Con gli ex-colonizzatori non si è avuto un processo di decolonizzazione violento come in Algeria. Con Washington, i rapporti sono addirittura migliorati con gli Accordi di Abramo: Rabat ha riconosciuto Israele, ricevendo in cambio il riconoscimento americano della sovranità marocchina sul contestato territorio del Sahara Occidentale, da decenni teatro di una insurrezione politico-militare guidata dal Fronte del Polisario (supportato dagli arci-rivali algerini). In questi giorni, ribadendo l’appoggio al Marocco, gli Usa hanno siglato aiuti militari per circa 700 milioni di dollari, compresa una fornitura di Himars, gli ormai famosi lanciamissili impiegati in Ucraina.
Guerra in Ucraina che sta avendo un serio impatto sulle economie regionali, tutte importatrici di derrate alimentari proprio da Russia e Ucraina. L’inflazione colpisce i paesi del Nordafrica in maniera però discriminata: l’aumento dei prezzi in Marocco è sostanziale, ma al momento gestibile. Il gigante nordafricano egiziano invece ha registrato un’inflazione del 34% nel solo mese di marzo. Il rialzo dei tassi di interesse, ormai vicini al 20%, non ha per ora portato ad una riduzione dei prezzi; e molti si interrogano sulla capacità dei fondi egiziani di saldare i ‘pagherò’ verso i propri cittadini. Più importante del Marocco, l’Egitto è inevitabilmente snodo tra Nordafrica e Medioriente; è il paese più popoloso, con oltre 100 milioni di abitanti, e che continua a crescere (di circa 2 milioni all’anno). Dopo la trentennale dittatura di Mubarak, e il caotico intermezzo della Fratellanza Musulmana al potere tra 2012 e 2013, il brutale regime di Al-Sisi sembrerebbe aver restaurato il rapporto privilegiato con Europa e Usa.
Ma ciò è vero solo in parte. L’Egitto, in perenne difficoltà finanziaria-economica, ha perso vera autonomia, appiattendosi sulle linee guida del grande sponsor al di là del Mar Rosso, l’Arabia Saudita di Bin Salman, generoso nei suoi aiuti per evitare scenari da default. Uno sviluppo importante è però la ricucitura dei rapporti con Ankara, interrotti dalla repressione contro i Fratelli Musulmani post-2013, governo sostenuto invece dalla Turchia. Nel Mediterraneo orientale, Turchia e Egitto si rendono conto che un modus vivendi va trovato: per l’esplorazione di giacimenti di idrocarburi offshore; e soprattutto, per il caso libico.
La Libia e il voto impossibile
La Libia di Gheddafi rispondeva alla stessa logica di stabilità interna e rapporti prevedibili con l’Europa - financo con gli Usa. Ma i moti del 2011 offrirono possibilità e pretesto ad un intervento franco-anglo-americano per rimuovere il dittatore libico, negli anni 70 e 80 fautore di una politica estera fortemente (e sanguinosamente: basti ricordare l’attentato di Lockerbie) anti-occidentale e anti-americana in particolare. La rimozione del violento e cleptocratico regime di Gheddafi comportò però il collasso stesso della statualità libica. Vari attori regionali e non (Turchia, Egitto, Emirati, Russi, solo per citarne alcuni) si sono fondamentalmente spartiti il paese, diviso ormai da anni tra un governo a Benghazi (sostenuto da Egitto, appunto, con un aiuto consistente delle famigerate truppe della Wagner) e uno a Tripoli, in teoria riconosciuto a livello internazionale, e supportato sul campo dalla Turchia (con Francia e, molto più timidamente, Italia a dar supporto).
Le elezioni del 2021 per ristabilire unità nazionale non si sono tenute. Un ulteriore piano dell’Onu le ha indette per la fine di quest’anno: 10 mesi per rimettere insieme i cocci rotti da 10 anni. La Libia è ormai uno stato fallito.
Destino che alcuni analisti temono sia anche quello del suo vicino, la Tunisia, un tempo unico esempio di effettiva democratizzazione post-primavere arabe. Il colpo di stato ‘morbido’ del presidente Kais Said nel luglio 2021 ha di fatto rimosso il parlamento dalla vita politica del paese. Ma le promesse di rimettere un piedi un’economia moribonda non si sono avverate: oltre alla guerra in Ucraina e conseguente inflazione alle stelle, la crisi del settore petrolifero libico ha impedito a decine di migliaia di lavoratori tunisini emigrati di mandare rimesse in patria. Sono di questi giorni trattative con il Fondo Monetario per un prestito di 2 miliardi di dollari; Fondo che però chiede a Said di adottare riforme come la riduzione dell’enorme apparato pubblico e tagli a beni e servizi come sussidi alimentari e bollette energetiche.
Nel mentre, come se non bastasse, il paese assiste alla emigrazione della sua forza lavoro qualificata e al contestuale arrivo in massa di immigrati dall’Africa sub-Sahariana. Costoro, un tempo accolti in Tunisia molto meglio che in Libia, sono diventati un problema di ordine pubblico non indifferente. Inqualificabili dichiarazioni razziste dello stesso Said altro non hanno fatto che esasperare un tessuto sociale già allo stremo.
In tutto questo, l’Algeria sembra aver tratto un beneficio netto dalla guerra in Ucraina. L’interruzione degli idrocarburi russi verso l’Europa ha fatto sì che varie cancellerie, in primis l’Italia prima con Draghi poi con Meloni, abbiano fatto la fila per accaparrarsi contratti con il ricco paese nordafricano, che ha recentemente scoperto sei nuovi giacimenti nelle profondità di quell’enorme fetta di Sahara sotto il suo controllo. Quali sono i problemi nel fare affari del genere? L’Algeria è da sempre legata a doppio filo a Mosca, e mantiene da sempre posizioni ambigue verso il campo occidentale.
Una postura, questa, che sembra essere lo spirito dei tempi in Nordafrica: appunto l’Algeria, ma poi addirittura Egitto e Tunisia stanno considerando di richiedere l’accesso ai Brics, il gruppo dei paesi emergenti che, capitanato da Cina e Russia, si pone ormai come sigla di un allineamento anti-occidentale. Effimero o meno che sia questo sviluppo, rimarca però che il Nordafrica è ormai in una fase storico-politica ben diversa dal recente passato. Una fase che pone sfide serie a chi, come noi, è il paese europeo più vicino a tale spazio.
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