La demografia italiana racconta una storia di longevità crescente, ma il sistema finanziario continua a funzionare come se la vita fosse rimasta quella di trent’anni fa. Oggi viviamo più a lungo, lavoriamo più a lungo e rimaniamo attivi più a lungo, ma la struttura dei meccanismi creditizi non si è adeguata a questa evoluzione.
Per comprenderlo, basta osservare come si distribuisce l’indebitamento delle famiglie lungo il ciclo di vita. L’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia (IBF 2022) mostra una contrazione del credito che non coincide affatto con l’ingresso nella vecchiaia, ma con la soglia della mezza età.
Nella fascia 55–64 anni, solo l’11,0% delle famiglie ha un mutuo attivo. Oltre i 65 anni, la percentuale scende al 2,7% (Tav. 5.13). Anche considerando il debito complessivo — credito al consumo, prestiti personali, finanziamenti vari — la dinamica è identica: tra gli over-65 solo 6,5% delle famiglie registra qualunque forma di indebitamento (Tav. 5.1). Il quadro è speculare dal lato della domanda: secondo la Mappa del Credito CRIF 2023, solo il 2,6% delle richieste di mutuo proviene da soggetti con più di 65 anni.
Questi dati delineano una dinamica che non è graduale, ma soggetta ad una soglia. La bancabilità delle famiglie italiane non segue una curva decrescente in funzione dell’età: precipita nel passaggio tra i cinquanta e i sessanta anni.
È un punto di rottura che non coincide con l’invecchiamento reale, ma con una soglia amministrativa legata alla durata residua dei finanziamenti.
Tabella 1: Famiglie indebitate per fascia d’età (tutte le forme di debito)

La tabella mostra con immediatezza un fenomeno strutturale: la capacità delle famiglie di utilizzare il credito diminuisce molto prima dell’ingresso nella vecchiaia. La caduta non è graduale, ma presenta una cesura netta: si passa da quasi metà delle famiglie indebitate nella fascia 35–44 anni (48,6%) a meno di un quinto nella fascia 55–64 (18,3%), fino ad un valore residuale dopo i 65 anni (6,5%).
In altre parole, il sistema del credito smette di funzionare nel cuore della vita attiva, quando le persone lavorano ancora, hanno responsabilità familiari rilevanti e avrebbero bisogno di strumenti di pianificazione finanziaria di medio-lungo periodo.
Questa riduzione non riguarda soltanto i mutui, ma tutte le forme di debito: prestiti personali, credito al consumo, finanziamenti finalizzati. È un ritiro trasversale della leva finanziaria, che restringe la capacità delle famiglie di distribuire i costi nel tempo proprio quando tali costi tendono ad aumentare (educazione dei figli, salute, ristrutturazioni abitative, sostegno ai genitori anziani).
Per comprendere la portata del fenomeno però, è utile isolare i mutui, ossia lo strumento cardine della pianificazione familiare, perché permettono di trasformare un costo elevato in un orizzonte pluriennale.
Percentuale di famiglie con mutuo attivo per età

La forma del grafico mette in evidenza un aspetto cruciale: il ritiro del credito non segue il percorso naturale della vita attiva, ma obbedisce invece ad un limite amministrativo legato alla durata residua dei finanziamenti. In un Paese in cui l’aspettativa di vita supera gli 83 anni e la salute funzionale rimane elevata fino ai 74–75 anni (ISTAT, “Indicatori di sopravvivenza e salute”), la chiusura del credito abitativo tra i 55 e i 60 anni non riflette le reali condizioni delle persone, ma un modello finanziario rimasto ancorato a cicli di vita più brevi.
Questa contrazione anticipata crea un evidente scollamento: gli strumenti si esauriscono proprio quando la biografia economica delle famiglie si intensifica, non quando si semplifica.
La distanza tra durata della vita e durata della bancabilità diventa evidente non appena si osserva come si sono trasformate le tappe della vita familiare italiana: proprio nelle età in cui il credito si ritira, il fabbisogno finanziario non diminuisce affatto, anzi cresce.
La cronologia della vita familiare si è spostata e si è addensata nelle età centrali
Per comprendere la frattura tra credito e vita reale, occorre guardare al modo in cui è cambiata la sequenza delle tappe familiari. Negli ultimi trent’anni il calendario della vita italiana si è spostato in avanti: la transizione all’età adulta avviene più tardi, e le tappe che definiscono la struttura economica di una famiglia il matrimonio, la nascita dei figli, la formazione di un’unità abitativa autonoma, non si collocano più nella fascia 20–30, ma nella fascia 30–35.
Secondo l’ISTAT, l’età media al primo figlio è 32,5 anni (Rapporto “Natalità e fecondità 2023”), l’età al matrimonio è 35,4 anni per gli uomini e 33,6 per le donne (ISTAT, “Matrimoni 2022”), mentre Eurostat indica che l’uscita dalla casa dei genitori avviene a 30,9 anni (“Young people leaving home”, 2023). Non si tratta di una semplice variazione marginale, ma di un cambiamento strutturale che ridisegna il profilo economico delle famiglie.
Tabella 2: Età medie delle principali transizioni familiari in Italia

Questi indicatori mostrano come la sequenza delle tappe familiari si sia spostata in avanti di un decennio rispetto alle generazioni precedenti. Le decisioni che definivano la struttura economica di una famiglia - l’uscita di casa, la formazione di una nuova unità, la nascita dei figli - non avvengono più nella fascia 20–30 anni, ma nella fascia 30–35.
Questo slittamento produce un effetto immediato: il ciclo degli investimenti familiari entra nel vivo proprio nelle età in cui il sistema del credito comincia a ritirarsi.
Ma ciò che più conta non è il ritardo: è la sovrapposizione. La letteratura demografica (ISTAT, “Famiglie e percorsi di vita”) documenta un fenomeno nuovo nella storia italiana: la compressione di responsabilità multiple in un intervallo ristretto. Tra i 40 e i 55 anni, una stessa famiglia può sostenere contemporaneamente:
- figli ancora a carico;
- genitori anziani in crescente fragilità;
- costi educativi significativi;
- esigenze abitative più complesse;
- rischi sanitari più frequenti;
- livelli di stress professionale elevati.
Questo fenomeno crea un vero e proprio punto di massimo carico demografico ed economico, diverso da quello sperimentato dalle generazioni precedenti. Per rappresentarlo in modo sintetico non serve una cronologia, ma una misura della densità delle responsabilità, cioè della loro compresenza.
Sovrapposizione delle responsabilità familiari nelle età 40–55

Il grafico non riporta valori numerici, ma sintetizza visivamente la struttura dei carichi familiari nelle età 40–55 anni, evidenziandone l’asimmetria: la presenza di figli minori mantiene in questa fascia un’intensità elevata, mentre il sostegno ai genitori anziani fragili assume un peso crescente e le spese educative raggiungono livelli significativi. Insieme, queste tre dimensioni descrivono un territorio della vita in cui responsabilità differenti non si alternano, ma si accumulano.
La rappresentazione chiarisce così il passaggio da un ciclo di vita “a tappe”, caratteristico delle generazioni precedenti, ad una fase centrale sempre più compressa, in cui ruoli familiari, bisogni economici e pressioni demografiche convergono. È in questa simultaneità che si colloca la trasformazione più profonda: una vita più lunga richiede strumenti capaci di accompagnarne la durata e la complessità, non dispositivi che si esauriscono proprio nel punto di massimo carico.
Dove vita e credito smettono di coincidere: la frattura nelle età centrali
La sovrapposizione delle responsabilità nelle età centrali non è soltanto una caratteristica sociale, ma un indicatore della trasformazione più profonda della vita italiana: la durata reale della biografia economica si è estesa, mentre la durata degli strumenti finanziari è rimasta invariata. Quando si mettono a confronto la traiettoria del credito e la traiettoria della vita familiare, ciò che emerge non è un semplice scarto temporale, ma un vero disallineamento sistemico.
Il ritiro del credito nelle età centrali, documentato dalla Banca d’Italia, non coincide con una minore capacità economica delle famiglie, né con una riduzione dei loro bisogni. Coincide invece con un limite amministrativo - la durata residua dei finanziamenti - costruito per un ciclo di vita che apparteneva ad un’Italia diversa: un’Italia in cui si usciva di casa prima, si formava una famiglia prima e si concludeva la vita lavorativa molto prima. L’Italia attuale, al contrario, si struttura intorno ad un ciclo lungo in cui gli anni centrali diventano il punto di massima complessità, non un corridoio di transizione verso la vecchiaia.
In questo quadro, la longevità produce una conseguenza controintuitiva: estende la vita senza estendere la bancabilità. Le famiglie italiane restano attive, produttive e finanziariamente solide più a lungo rispetto al passato, ma sono costrette a concentrare i propri impegni in una finestra temporale in cui l’accesso agli strumenti di pianificazione si riduce drasticamente. La durata della vita aumenta, ma la durata finanziaria si accorcia: è questa la frattura invisibile che attraversa il sistema.
Questa frattura non è neutrale, impatta la mobilità abitativa, rallenta la capacità di adattare le case a nuove esigenze, indebolisce la risposta familiare agli shock sanitari e redistribuisce il rischio dal sistema alle famiglie. Il risultato è un trasferimento silenzioso di oneri: famiglie che vivono più a lungo, ma con strumenti temporali pensati per vite più brevi; famiglie che affrontano responsabilità simultanee con dispositivi costruiti per una sequenza ormai superata.
Il punto conclusivo è netto: l’Italia ha una demografia lunga e complessa, ma un sistema creditizio corto e lineare. Senza un riallineamento tra la durata della vita e la durata degli strumenti finanziari, la longevità continuerà a funzionare come moltiplicatore di vulnerabilità e non come fattore di stabilità. Ripensare il credito nelle età centrali non significa ampliare il debito, ma aggiornare l’architettura temporale degli strumenti economici ad una vita che, ormai da tempo, non segue più un ordine semplice, ma procede per densità, sovrapposizioni e fasi simultanee.
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