Passato e futuro precipitano verso il presente nel vertice NATO che si è aperto ieri a Washington, ma dietro le quinte ci sono tre questioni d’importanza decrescente: un rapporto tra alleati potenzialmente sempre più transattivo; la silenziosa compiacenza in una struttura consolidata ed i divergenti interessi pratici, scambiati per fondamentali.

Il ciclo dell’Alleanza ha una sua cadenza liturgica: durante l’anno vi sono riunioni ministeriali formali e informali di ministri degli Esteri e della Difesa, appuntamenti con i partner più importanti, visite di capi di governo, viaggi del Consiglio del Nord Atlantico (North Atlantic Council, NAC), sino al culmine della solennità annuale: il vertice in una delle capitali alleate. Questa volta la riunione ha un carattere decisamente giubilare: si celebrano infatti i tre quarti di secolo di una delle alleanze più stabili e, complessivamente, di maggior successo, insieme al vertice annuale ed al cambio di Segretario Generale.
È come Natale e Capodanno, cioè il momento della remissione dei peccati sino alla prossima minaccia di dannazione, delle liste di buone intenzioni e degli elenchi di pii desideri. Vediamo di guardare le cose in modo più laico, iniziando dall’arrivo di un nuovo Segretario Generale, perché oggi vanno di moda le personalizzazioni.

Di Mark Rutte, come in un matrimonio (quanto tutti sono belli), non si può che parlar bene, così come di Jens Stoltenberg non si può che elogiare il percorso (al funerale tutti santi), anche se il passaggio dalla “montagna superba” al “Ruggero, lancia famosa” avrebbe fatto speculare tutte le culture antiche con forti elementi magico-orali. Seguendo un attimo questo filo, il predecessore norvegese è stato la fiera montagna, punto di riferimento inamovibile durante le tempeste e gl’inverni trumpiani, mentre l’olandese Roger ricorda tanto la bandiera piratesca del Jolly Roger, sia la parola in codice radio “roger” per dire: messaggio ricevuto. Insomma, sul “nomen omen”, i responsi dell’onomatomanzia non possono che esser positivi: il cambio è da un elemento di stabilità ad uno di pronta e speditiva risposta alle sfide future. Completiamo con un tocco astrologico e vediamo che passiamo da un Pesci a un Acquario. E qui comincia la parte più nordicamente fredda.

Jens Stoltenberg all'inaugurazione del vertice NATO a Washington - Fonte: NATO

Fare della successione del Segretario Generale un grande affare è buono al massimo per uno spettacolo dell’opera dei pupi siciliani; bello, ma non troppo collegato alla realtà, come la grande battaglia di Roncisvalle contro i saracini lo è rispetto alla vera, brutale e subdola imboscata di capitribù baschi. C’è qualcuno che, nella lista delle qualità desiderate del successore, elenca quella del “Trump proof” (a prova di Trump). Ci si dimentica che l’SG, come si dice in gergo, non è che un segretario del NAC e non è certo né il boss né il grande timoniere della NATO; ha rango di Capo di Stato, scorta, onori, ma chi fa la vera differenza sono i governi, i 32 ambasciatori che siedono in permanenza e preparano la scena per i ministri e i capi di governo. La singola personalità apporta delle sfumature, talvolta significative, ma la sostanza e i cambiamenti sono decisi regolarmente per consenso tra tutti gli alleati, sia pure con pesi differenti.
Dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989 a oggi abbiamo avuto nella lista degli SG: un tedesco, due italiani come facenti funzione, un belga, uno spagnolo, un britannico, due olandesi, un danese e un norvegese. Un elenco che dà un’idea molto più concreta delle nazionalità perché il Nord Europa è predominante, così come i paesi relativamente più piccoli, e perché vi sono alcune assenze interessanti: Italia, Francia, Grecia, Turchia, tanto per citarne alcune.

Gli Stati Uniti non sono mai in lizza perché detengono stabilmente il Supreme Allied Commander Europe (SACEUR). È secondo in rango rispetto al Presidente del Comitato Militare, ma è il capo dell’Allied Command Operations (ACO) e capo del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE), cioè è il grande comandante operativo dell’Alleanza. Quindi, il numero uno militare presiede un comitato militare che offre al NAC una valutazione tecnico-militare consolidata che, per tradizione, non può essere adattata ai desideri politici. Tocca però al NAC, su istruzioni delle capitali, decidere davvero e a SACEUR di condurre le operazioni.
Tutto questo per capire che la NATO non è complicata e universalistica come l’ONU o l’UE, ma è un’alleanza politica con una finalità politico-militare che si è sviluppata sulla base di un trattato molto semplice e che è cresciuta nel tempo con successivi adattamenti, incorporando paesi con tradizioni politiche molto differenti. Come conciliare queste tradizioni? Non è affatto agevole, come fanno vedere visibilmente nel tempo i casi p.es. di Francia, Grecia, Polonia, Ungheria, Turchia, degli USA stessi, e come sanno nel quotidiano le persone che lavorano ai vari livelli nell’Alleanza.
La prima grande sfida è ricreare un’ “interoperabilità delle menti” in modo da tendere agli obbiettivi anche da prospettive diverse. Nel 1949 era la silenziosa riconciliazione tra paesi con governi democratici, collaborazionisti ed ex-autoritari, al di là delle soldatesche e infelici parole di Lord Ismay (il primo SG) “Gli americani dentro, i russi fuori e i tedeschi sotto”.
Oggi bisogna raggiungere il difficile equilibrio tra democrazie consolidate, ma in crisi, e democrazie più recenti, uscite dall’ombra del Patto di Varsavia e di governi autoritari. Il fallimento più tragico, dovuto a molti attori e fattori, è stata la mancata inclusione della Russia in un partenariato stabile con la NATO. Il trattato di Pratica di Mare nel 2002 è stato il culmine di una lunga tessitura che ha cominciato a sfilacciarsi nel 2007 dopo il duro discorso di Putin alla Munich Security Conference.

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Adesso, quando alcuni esponenti politici di paesi assai diversi pensano che l’Alleanza sia sostanzialmente un teatro di scambi transattivi, stanno producendo danni ben più seri degli avversari attuali. L’organizzazione è rimasta in piedi perché le premesse politico-strategiche del Patto di Varsavia sono collassate e quelle transatlantiche hanno mantenuto validità non per un nemico, bensì per un rapporto transatlantico che viveva dell’onda lunga di Bretton Woods nel 1944 e dei suoi molteplici legami culturali, sociali, economici, politici e dunque strategici.
L’altro problema politico concreto è il rischio della silenziosa compiacenza in una struttura consolidata. I sintomi risalgono a prima del 1989: man mano che quella III Guerra Mondiale, pigramente chiamata Guerra Fredda, stava scemando, si capiva che la garanzia della NATO era unica, ma non sufficiente per quello che pomposamente si chiamava “architettura di sicurezza europea” e che nella pratica poggiava sulla collaborazione de facto tra NATO, OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa) e Unione Europea.

Poi sono venute le recriminazioni e gli allarmi aperti: “la NATO obsoleta” (gennaio 2017, con precedenti già nel marzo 2016), figlia di decenni di acrimoniose e inutili polemiche sulla suddivisione degli oneri (burden sharing), ha provocato risposte più o meno caute sulla necessità di assicurarsi di più con propri mezzi (Merkel, maggio 2017). Poi nel novembre 2019, non sulla questione ucraina già visibile dal 2014 con la Crimea, ma su quella siriana, il presidente francese parlò di “morte cerebrale della NATO”.
Ancora una volta queste sono le manifestazioni visibili di malesseri molto più banali e quotidiani. È chiaro che non siamo nel 1949, che gli americani e gli europei sono molto cambiati, insieme ad un mondo intero. Nessuna alleanza si definisce solo in base ai suoi nemici come Batman, esiste su premesse politiche profonde che stanno sparendo anche generazionalmente.
Parlare in modo meccanico sul fatto che gli europei devono spendere di più, non solo è inesatto nei fatti, ma è il classico gettare soldi su un problema che non è contabile. Sottintendere che c’è una lega di democrazie del Nord Globale che fa argine ai governi autoritari del Sud Globale è falso quanto la passata e sventurata idea dello scontro di civiltà: c’è un nord sviluppato del mondo in furioso calo demografico (tra cui Cina e Russia), cui fa da contraltare un sud che ancora cresce in uno scenario climatico molto pericoloso.

Putin e la sua brutale, disperata aggressione all’Ucraina, possono fare da Gerovital, ma è la qualità stessa delle 32 democrazie dei paesi membri che fa da vero collante, da cui poi discendono interessi davvero comuni. Se il prossimo Segretario Generale riuscirà a evitare inutili protagonismi mediatici, agendo come silenzioso catalizzatore di consenso con governi mediamente ragionevoli, la NATO acquisirà la sostanza per affrontare un decennio assai pericoloso.
Infine vengono gl’interessi pratici che sembrano essere la pietra di paragone dell’Alleanza, e non lo sono più di tanto. Il famoso 2% del PIL è un criterio astratto, come solidi pensatori repubblicani (CSIS - Center for Strategic and International Studies), hanno dimostrato in passato e, soprattutto, l’organizzazione avrebbe già dovuto estiinguersi da tempo per la questione irrisolta dei bilanci della difesa ineguali tra alleati, perché è così dal 1949: comparare il percento della difesa sul PIL di una superpotenza con quello di una congerie di potenze regionali non ha senso. Ha senso, invece, vedere come vengono spesi i soldi, cioè quali capacità producono. Tutti gli alleati sono più o meno impreparati a una nuova grande guerra dopo 31 anni di spedizioni d’oltremare.

Fonte: NATO

Quindi è interesse di tutti gli alleati, specie europei, ricostituire una deterrenza convenzionale credibile, per continuare a scoraggiare Mosca dall’aggredire un alleato. Gli europei da soli e senza Regno Unito, spendono quasi il doppio dei russi in economia di guerra: bisogna spendere non più ma molto meglio, cioè standardizzando gli armamenti, come fanno anche gli americani. Lo abbiamo fatto nell’acciaio, nello spazio e nell’aviazione civile, si può fare nel militare anche con inevitabili mal di pancia. Peraltro, se i nostri alleati americani sono molto concentrati nel Pacifico, è semplice buon senso duplicare capacità che potrebbero mancare in emergenza. Se questo è vero, anziché discutere a vuoto su inesistenti o nascenti autonomie strategiche, la costruzione del pilastro europeo della NATO è un fatto ovvio, da fare con i fatti e non con promesse di eserciti europei, fantomatici dal 2001 con gli Helsinki Headline Goals. Il pilastro europeo è la migliore garanzia per avere le risorse di deterrenza disponibili nell’Indo-Pacifico e richiede un decennio di preparazione.

L’Ucraina è un pezzo molto parziale di un’oggettiva esigenza di sicurezza a 360°: abbiamo già perso basi e presenze importanti in Medio Oriente e Africa a profitto dell’avversario russo e della controparte cinese; un paese NATO adesso non ha più il controllo della materia prima per il suo sistema di deterrenza nucleare strategica; tutti i paesi europei vedono a rischio la loro diversificazione energetica rispetto alle vecchie forniture russe e alla riduzione dei rischi sulle nuove terre rare. Il Sud della NATO è importante per avere accesso all’Oceano Indiano in modo da estendere la rete di sicurezza con i partner e contribuire alla sicurezza globale nell’Indo-Pacifico. Anche qui, ci vuole un decennio di preparazione, pure per il partner ucraino, che non può ricostruir nulla di civile o militare sotto le bombe.
Infine la NATO con la sua Strategia per l’Intelligenza Artificiale (IA) può indirettamente contribuire, come suggerito dal rapporto Clement dell’Assemblea Parlamentare della NATO (9 aprile 2024), a perseguite tentativi in parallelo di portare i suoi principali competitori (Cina e Russia) nello stabilire norme e misure di fiducia sull’IA, cosa peraltro auspicata con forza dalla dichiarazione congiunta russo-cinese del 2 febbraio 2022. In sostanza, va ricordato che l’Alleanza ha visto la caduta del Muro di Berlino grazie alla dottrina Harmel (deterrenza e dialogo) e non a guerre per elusivi domino periferici in Vietnam.

 

Nota: le valutazioni dell'autore sono personali e non coinvolgono la NATO o nessuna delle sue agenzie.
Immagine di copertina fonte NATO