E’ interessante provare a verificare come gli istituti di credito stiano agendo in tema di acquisto e/o vendita di titoli di Stato dell’area euro, in particolare per quanto riguarda gli effetti sui tassi del debito italiano e spagnolo e l’impatto delle operazioni di rifinanziamento della BCE (Banca Centrale Europea).
Queste ultime sono di tre tipi : MRO (Main Refinancing Operations, di durata settimanale), LTRO (Long Term Refinancing Operations, di durata superiore alla settimana) e OT (Other Type of operations, ad esempio riacquisto di titoli per assorbire liquidità in eccesso). Domanda: il mercato dei titoli di Stato italiano e spagnolo è eccessivamente influenzato dagli interventi della BCE al punto da renderlo fragile e distorto?
Ad oggi la BCE detiene 220 miliardi di titoli di Stato dell’area euro. Se togliamo circa 40 miliardi in obbligazioni governative greche e altri 40 miliardi di titoli portoghesi e irlandesi la parte italiana e spagnola dovrebbe essere intorno ai 140 miliardi. In termini assoluti le banche italiane e spagnole hanno effettuato rilevanti acquisti a partire da dicembre e in coincidenza con la prima e seconda operazione di rifinanziamento (LTRO) a 3 anni. Complessivamente Italia e Spagna hanno acquistato circa 130 miliardi di titoli di Stato (55 Italia, 75 Spagna), in sostanza pari agli acquisti della BCE.
Su queste basi bisogna inserire due considerazioni:
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In rapporto al debito pubblico dei due paesi gli acquisti rappresentano rispettivamente circa il 3% per l’Italia e il 12% per la Spagna. E’ presumibile che la gran parte si sia concentrata su scadenze inferiori ai 3 anni e coincidenti con la scadenza del LTRO (primi mesi 2015);
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Il peso dei titoli di Stato nei bilanci delle banche italiane e spagnole è storicamente basso, meno del 7%, inferiore alla media dal 1997 dei due paesi. Il minimo fu toccato nel 2008 (circa 3% per la Spagna e 5% per l’Italia) in virtù del forte calo dei rendimenti e della crescita di appetibilità di altri emittenti privati, oltre alla forte espansione della dimensione degli attivi; il massimo alla fine degli anni ‘90 con punte del 14% e con valori sempre superiori all’8% fino al 2004.
Ciò significa che ai forti acquisti attuali fa da contraltare la significativa riduzione di peso a favore di altre classi di attivi avvenuta dalla fine degli anni ’90 fino al fallimento di Lehman. Questo aspetto sembra ancora una volta confermare che è l’espansione impropria degli attivi ad inceppare il sistema più che la ripresa degli acquisti sui BTP e Bonos, che avviene in uno scenario di tassi nuovamente appetibili rispetto al passato e ad altre classi di attività.
Aggiungiamo che anche le banche tedesche hanno partecipato all’operazione di rifinanziamento in misura pari alle banche italiane e spagnole (circa 80 miliardi) e non avendo certamente debito pubblico da sostenere oltre, per non essere da meno, a banche inglesi come Barclays (per 8 miliardi) e Royal Bank of Scotland (banca nazionalizzata, il che equivale a dire che il Regno Unito chiede euro in prestito alla BCE). Anche questo fatto dovrebbe supportare l’idea che sia la rigidità dei rapporti interbancari e degli attivi immobilizzati a guidare i comportamenti delle banche.
Ci sono due motivi per ritenere che il legame tra politica monetaria della BCE e acquisto dei titoli di Stato da parte delle banche sia sovrastimato:
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l’andamento dei tassi italiani e spagnoli: dato il preponderante peso degli acquisti di Bonos spagnoli rispetto agli acquisti di BTP italiani sia in termini assoluti che, ancor più, rispetto alla dimensione dei rispettivi debiti pubblici, (quello italiano è quasi 3 volte più grande di quello spagnolo) la curva dei rendimenti italiana non avrebbe dovuto scendere al di sotto di quelle spagnola;
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le nuove regole di Basilea III, che le banche stanno gradualmente implementando, favoriscono una composizione degli attivi bancari verso portafogli molti liquidi e quindi con un peso dei titoli di Stato maggiore rispetto ai minimi degli ultimi anni. Per questa ragione, la necessità di rimborsare i propri titoli in scadenza potrà solo in parte avvenire attraverso la vendita delle obbligazioni governative a breve termine mentre una parte significativa sta già avvenendo con la contrazione degli impieghi per poi proseguire con la vendita dei titoli non governativi.
In sostanza, l’insieme degli elementi sembrano suggerire un riposizionamento strategico e stabile delle banche sui titoli di Stato, sicuramente favorito dalle operazioni della BCE ma ancor più dalla appetibilità relativa (i titoli tossici sono forse passati di moda) alimentata dai percorsi di risanamento attuati dai governi.
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