Nel 150esimo anniversario della nascita di Luigi Einaudi, non vi è stata – a ben vedere – la fioritura di pubblicazioni sul pensiero dell’economista piemontese riscontrata invece per personalità per le quali il 2024 ha segnato una data importante. Si prenda il caso di Antonio Gramsci, eletto deputato 100 anni prima, o di Giacomo Matteotti nel centenario del suo assassinio.
Naturalmente il problema non è certo quello di misurare la diffusione di un ricordo come fosse un indice di gradimento. Resta il fatto che Einaudi non ha suscitato grandi emozioni e solo il completamento della sua opera omnia a cura della fondazione Einaudi di Torino, prevista in autunno, colmerà questa lacuna.
Il fatto è, se vediamo la cosa nel suo versante positivo, che non è affatto facile condensare in un libro il pensiero di questo liberale primo Presidente della Repubblica. Pochi ci hanno provato e alla fine è sempre stata preferita la via della citazione o della ripubblicazione dei suoi testi, però purtroppo pressochè introvabili.
Per questo motivo, è straordinaria l’eccezione fornita dall’uscita in libreria del volume di Angelo Santagostino, per l’editore Tarantola di Brescia. Se qualcuno vuole conoscere davvero Luigi Einaudi nella moltitudine delle sue attività, consigliamo caldamente questo libro, di agile e facile lettura, e di grande capacità sintetica.
Il volume di Angelo Santagostino riesce infatti ad analizzare in modo organico tutti gli ambiti in cui il pensiero di Einaudi si è esercitato: quello accademico, quello giornalistico, quello politico.
Secondo i calcoli riferiti dal prof. Giovanni Farese alla solenne celebrazione dei 150 anni dalla nascita svoltasi in Campidoglio, la produzione einaudiana è di ben 3819 scritti, e va considerato che si tratta sempre di opere o scritti ponderosi e importanti. Tra gli altri, solo il libro di testo delle sue lezioni di scienza delle finanze è considerato la pietra miliare, l’atto fondativo della disciplina.
In genere, come si diceva, chi scrive o parla di Einaudi fa grandissimo ricorso alle citazioni testuali, perchè è davvero difficile parafrasare e sintetizzare alcuni suoi approfondimenti, ed è molto più efficace usare direttamente, e sottoporre al lettore, il suo linguaggio chiaro, senza fronzoli, senza retorica.
Poi, si, ci sono alcune frasi-chiave che vengono percepite talora come slogan. Ad esempio, la fondamentale “conoscere per deliberare” che è la ragione stessa dell’esistenza del Centro Einaudi di Torino.
Ma sono dei flash per capirsi, per orientarsi, non mai l’essenza complessa e tantomeno completa di un pensiero che è ben più articolato.
Anche Santagostino fa ricorso a questi strumenti esplicativi, ma fa molto di più di qualunque altro commentatore. Sviscera gli argomenti e li riorganizza, arrivando al punto di costruire ad hoc tabelle comparative per dimostrare quasi scientificamente l’influenza del pensiero einaudiano su tanti documenti chiave.
Lo definisce tout court un “influencer”, naturalmente ante litteram.
Ed effettivamente si vede con molta chiarezza – grazie alle interpretazioni dell’Autore - la trasposizione di alcune linee guida limpidamente einaudiane in testi di natura diversa, collocati in contesti diversi.
Ad esempio, nei primi Trattati europei, come quello della CECA, dei veri e propri battistrada del meglio che sia stato scolpito, alla fine, negli impegni tra le Nazioni europee. E addirittura, tema di estrema attualità, nell’influenza esercitata sulle posizioni a favore della Comunità europea di difesa, poi bloccata dal veto francese. O, più in generale. quei tratti chiave del suo pensiero che sono entrati quasi pari pari nei Manifesti delle associazioni internazionali di ispirazione liberale.
Per non dire dell’influenza esercitata sulle posizioni di Jean Monnet: nessuno ha mai osato parlarne, ma una lettura attenta dei testi e delle posizioni di Monnet consente davvero di misurare un’influenza palese.
Queste “scoperte” o evidenze mostrate da Santagostino sono molto utili perché sono a sostegno di una tesi che affiora in tutto il libro, e cioè quella della sottovalutazione storica del contributo dello statista piemontese alla politica contemporanea non solo italiana ma europea.
Molte intuizioni di Einaudi, in sostanza, sono rimaste sottotraccia, non convenientemente validate dagli storici e dagli osservatori ed è avvenuto così che siano state attribuite ad altri, con cui magari Einaudi ha solo dialogato, o che siano diventate patrimonio comune senza un riconoscimento alla radice iniziale schiettamente einaudiana.
Si prenda lo stesso Manifesto di Ventotene, rispetto al quale Einaudi è ritenuto estraneo, ma in realtà l’analisi di Santagostino chiarisce bene molte sovrapposizioni ivi contenute con i contributi e le osservazioni einaudiane.
C’è un altro esempio: tutta una correlazione tra l’economia sociale di mercato di cui il Cancelliere tedesco Ludwig Erhard è stato interprete autorevole e indiscusso. Si deve in realtà moltissimo al confronto tra i due pensatori e politici, al loro intenso dibattito, ivi compresa la puntigliosa precisazione di Einaudi attorno alla differenza tra “sociale” (un “riempitivo”, dice, per accontentare i critici) e “liberale”. Non a caso una delle sue opere fondamentali è intitolata alle Lezioni di politica sociale. Per cui, come si diceva, ad Erhard viene riconosciuto, giustamente, un ruolo importante nell’evoluzione dell’economia liberale europea, ma non si deve perdere per strada il contributo di Einaudi, antesignano di questo percorso. Spesso antesignano assoluto, perché molte teorie einaudiane precedono di decenni lo sviluppo concreto delle politiche degli Stati, perché Einaudi fu davvero un precursore fin dai suoi scritti giovanili.
Si pensi al federalismo europeo, le cui tracce si trovano già nelle pubblicazioni della fine del secolo precedente, quando l’intellettuale piemontese era meno che trentenne.
Mettendo insieme tutti questi che sono più che solidi indizi, il libro di Angelo Santagostino sviluppa una tesi che dobbiamo considerare anche una vera e propria denuncia di una esclusione inaccettabile di Luigi Einaudi dal Pantheon dei grandi europeisti.
I Padri dell’Europa sono generalmente considerati in numero di 10, da Monnet a Schuman, ad Adenauer, a Spaak. Unici italiani Spinelli e De Gasperi.
A questi “padri” dell’idea di Europa nel tempo si sono affiancati altri nomi, definiti “Pionieri dell’Europa”. Ne fanno giustamente parte personaggi come Kohl, Mitterand, Simone Veil. Unica italiana, un po' sorprendentemente, ma ci fa piacere, Nilde Iotti.
Einaudi non c’è e questo davvero fa un po' male, anche considerando le sottovalutazioni a cui alludevamo, tra le quali il nostro Autore denuncia, come detto, in particolare la non considerazione dell’influenza su Monnet, il più indiscusso “padre” di tutti, un vero e proprio Mostro sacro, che – in un serrato dialogo con Einaudi – finisce per correggere iniziali fraintendimenti sul federalismo, avvicinandosi solo dopo il confronto con il nostro statista a questo concetto che pure gli viene oggi attribuito come un elemento identitario.
Nell’era del riconoscimento dei “pionieri”, ma un po' già in quella della santificazione dei “padri”, dava forse un po' fastidio riconoscere un ruolo addirittura illuminante ad un liberale italiano?
Più rassicuranti, per la cultura dominante di queste epoche manichee un Altiero Spinelli, eletto poi a Strasburgo con il PCI, o appunto Nilde Iotti?
Santagostino fa dunque bene nel suo libro a valorizzare puntualmente l’europeismo nitido di Einaudi. Pur non trascurando, nel volume, nessun aspetto dell’immensa opera einaudiana, fa una scelta, evidente fin dal titolo (“lo Scultore d’Europa”), cioè quella di mettere in primo piano la centralità del suo federalismo europeo.
E’ una scelta dettata anche dall’attualità, naturalmente, perché in una fase geopolitica segnata da due guerre e dalla fatica con la quale l’Unione Europea fa sentire la sua voce su temi che riguardano in modo decisivo la sopravvivenza di 27 soci assai sventati nel loro egoismo nazionale, è necessario arrivare a scelte non più rinviabili.
Ed Einaudi aiuta, perché da sempre ha collocato al centro la relazione proprio tra l’Europa federale e il concetto di pace, ovvero ciò che oggi è in discussione e in pericolo.
Luigi Einaudi ammonisce con forza che c’è un solo modo di individuare chi vuole veramente la pace da chi ne fa un uso propagandistico da campagna elettorale.
E’ l’atteggiamento sul punto fondamentale della sovranità: la pace, scrive Einaudi, si tutela solo se si è disposti a rinunciare ad un pezzo di sovranità, naturalmente ij cambio di una sovranità più alta. Altrimenti è una finzione.
In tempi lontani, non elettorali, Einaudi ricorse addirittura a vere e proprie invettive, parlando “dell’idolo immondo del sovranismo”.
Senza sapere che proprio quel termine, coniugato insieme ad un altro moto irresistibile della nostra epoca, il populismo, sarebbe diventato di moda proprio nel momento meno adatto, quello della post globalizzazione, la grande occasione per separare i grandi benefici dell’economia globale dalle sue degenerazioni, ma non certo ricorrendo a quello che un tempo si definiva nazionalismo, fonte di conflitti, di arretramenti sociali, di tentazioni autoritarie, e in economia di monopoli e protezionismi, altri nemici assoluti della visione liberale di Luigi Einaudi.
Lo stile vigoroso, appunto polemico di Angelo Santagostino, che è difficile non definire un fan del nostro primo Presidente della Repubblica, alza la voce più di quanto sarebbe piaciuto all’interessato, ma quando ci vuole è giusto farlo. E’ davvero imperdonabile che il suo nome non sia compreso tra i grandi del nostro Continente.
Altrimenti il buon senso, le prediche magari inutili ma chiarissime, il buon governo propugnati da Luigi Einaudi non potrebbero avere lo spazio e il rilievo che meritano anche oggi, a 150 anni dalla sua nascita e a tanta distanza degli anni in cui salvò l’Italia avviandola ad un miracolo laico.
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