A cinque mesi dai suoi esordi, il movimento dei Gilets Jaunes mostra come un problema sociale non possa essre trattato come un semplice problema di ordine pubblico
Il 15 ottobre 2018 Eric Drouet, giovane camionista di Melun, cittadina dormitorio nei pressi di Parigi, crea con un amico un evento Facebook che invita a bloccare le strade un mese più tardi in segno di protesta contro l’aumento dei prezzi dei carburanti deciso dal governo per favorire la transizione energetica. Negli stessi giorni, Priscillia Ludosky , un’ambientalista e venditrice on line di cosmetici bio, anch’essa originaria del dipartimento di Seine-et-Marne, rilancia, sempre su Facebook, una petizione, pubblicata inizialmente nel maggio 2018, sulla necessità di abbassare le tasse sui beni essenziali, introdurre un referendum d’iniziativa popolare e ridurre salari e pensioni di alti funzionari e parlamentari. Le due diverse iniziative raggiungono in pochi giorni una diffusione eccezionale sul social network, facendo da volano all’insoddisfazione generale latente in Francia (la petizione viene sottoscritta da circa un milione e duecentomila persone), e i due entrano in contatto fra di loro, dando così vita all’embrione di un nuovo movimento.
In pochi giorni, il dibattito si infiamma, proprio come la benzina oggetto del contendere, e passa da internet alla realtà. Oltre alla denuncia della “caccia agli automobilisti”, che comprende revisioni obbligatorie sempre più severe, la discriminazione delle automobili diesel (alle quali sono stati ridotti gli sgravi fiscali), la riduzione della velocità sulle strade statali da 90 a 80 chilometri orari, l’aumento del numero degli autovelox e, naturalmente, del prezzo della benzina, già fra i più alti in Europa (circa 1,53 euro al litro), si aggiungono altri temi sociali riassumibili nel diritto a una vita decorosa per milioni di cittadini che faticano ad arrivare a fine mese (Figura 1), nel quadro di un anticapitalismo non ideologico ma che deriva dalla constatazione della crisi di un sistema dove regna un’ineguaglianza inaccettabile.
La gente comune “non ne può più” (“les Français en ont ras-le-bol"), la già assurda spirale “lavora, consuma, muori” diviene intollerabile quando nemmeno i consumi sono più possibili (Figura 2), la collera cresce e i blocchi stradali, una tradizione cara ai francesi, iniziano a espandersi spontaneamente e rapidamente in tutto il Paese.
Si arriva così a sabato 17 novembre, la data prevista per quello che viene denominato Acte I delle manifestazioni anti-governative. Centinaia di migliaia di persone occupano le rotonde (ronds-points), bloccano strade, caselli autostradali, centri commerciali, raffinerie e altri obiettivi in una generale protesta contro la politica sociale e fiscale di Macron che, già prima dell’estate 2018, aveva provocato un lungo sciopero dei ferrovieri e di molte altre categorie, dagli infermieri agli avvocati e agli studenti. I manifestanti indossano diligentemente i gilet gialli obbligatori per rendersi visibili sulle strade.
Altri gruppi marciano sugli Champs-Élysées, con l’intenzione di raggiungere il Palazzo dell'Eliseo e di discutere con il Presidente il quale, in una delle sue numerose dichiarazioni inopportune, aveva esplicitamente invitato chi avesse qualcosa da dire ad andare a cercarlo a casa sua. La polizia naturalmente si oppone e respinge i contestatori. Al termine di una giornata di passione, viene diramato un comunicato video dai toni giacobini (l’Appel de Saint Nazaire - video), ripreso in notturna con un cellulare su una rotonda in mezzo al nulla, con il quale si annunciano la nascita e un sommario programma del movimento – per l’appunto – dei Gilets Jaunes. L’appello è ripreso dallo stesso Drouet sulle pagine dal seguitissimo gruppo Facebook “La France en colère “, che amministra con sua madre, e segna l’apertura ufficiale delle ostilità con il potere. Il giorno seguente, il Ministero dell'interno francese comunica che i manifestanti sono stati 287 710 (numero che appare inverosimilmente basso a chiunque, altre stime superano il milione), con 1 morto in un incidente stradale, 409 feriti e 117 arresti.
I due sabati successivi, Acte II e Acte III, si trasformano in happening anarchici con immagini surreali e inusuali nel mondo occidentale. Una marea gialla invade gli Champs-Élysées, il viale più bello del mondo secondo i parigini, di sicuro quello con i negozi più costosi, senza alcuna organizzazione né percorsi prestabiliti ma semplicemente occupando il territorio e rivendicando il potere popolare con vaghi richiami alla più celebre rivoluzione e al 1968. L’occasione attrae estremisti di destra, soprattutto, ma anche di sinistra, antifas, anarchici, semplici casseurs e in generale tutti quelli che preferiscono gli scontri e il disordine al “buon ordine borghese”. La polizia, non preparata ad affrontare una situazione al di fuori di ogni schema, non riesce a contenere gli atti di violenza dei più esagitati e colpisce viceversa la maggioranza dei cittadini normali, in molti casi di provincia, con nessuna esperienza di manifestazioni, animati soltanto da un genuino entusiasmo e che gridano ingenuamente “la police avec nous”, ottenendo come risposta gas lacrimogeni, spray anti-aggressione sul viso e manganellate. Lo scontro si acuisce così già dal terzo atto: i gilet gialli restano un movimento in prevalenza dichiaratamente non violento, ma il trattamento subito esaspera gli animi e crea le basi per uno scontro permanente con le istituzioni. L'Arc de Triomphe viene simbolicamente vandalizzato e diversi negozi devastati.
Se l’impatto mediatico delle manifestazioni parigine è senz’altro prevalente, è necessario sottolineare come allo stesso tempo analoghe iniziative, in molti casi con partecipazione di massa, si tengono in città e paesi grandi e piccoli più o meno in tutta la Francia, da Nantes a Bordeaux, da Tolosa a Montpellier. Secondo un sondaggio dell’istituto Odoxa il movimento è sostenuto dal 74% dei francesi ai suoi esordi in novembre.
I sabati sugli Champs-Élysées diventano comunque un appuntamento fisso e la semplice guerriglia urbana assume i toni di una mezza insurrezione. Emmanuel Macron, oltre ad annullare per il 2019 il previsto aumento del prezzo della benzina, fa altre concessioni su salari minimi, ore di straordinari non tassate e agevolazioni ai pensionati, ma le sue proposte vengono accolte come briciole e rigettate in poche ore da tutti i gruppi di gilets jaunes su internet. A questo punto le istituzioni optano per la scelta deleteria di inasprire ulteriormente la già dura repressione da parte della polizia, trasformando un problema sociale di massa in semplice problema di ordine pubblico, ma ottenendo l’effetto opposto di rafforzare il sentimento popolare di ribellione che, come spesso accade, si sarebbe forse spento nel giro di poche settimane e che invece continua tutt’oggi a cinque mesi dai suoi esordi.
A fronte dei problemi di movimentazione dei pesanti reparti delle Compagnie républicaine de sécurité (CRS, i celerini d’oltralpe), vengono infatti creati, a partire dall’Atto IV di inizio dicembre 2018, i détachements d’action rapide (DAR), composti da membri della brigade anti-criminalité (BAC, poliziotti abituati a gestire la criminalità comune di strada) e della brigade de recherche et d’intervention (BRI, di solito impegnati contro grande criminalità e terrorismo). Mascherate e in abiti civili, queste unità si rendono protagoniste di atti di intimidazione, provocazione e violenza spesso ingiustificati nei confronti dei gilet gialli, proprio mentre le frange estremiste erano state in qualche modo emarginate dal movimento, al punto che l’ONU prima e il Consiglio d’Europa poi intervengono ufficialmente per deplorare questi atti come attentati al diritto di manifestare, alle libertà pubbliche e ai diritti dell’uomo in generale.
La polemica riguarda soprattutto l’uso scriteriato delle famigerate flashball (lanceurs de balles de défense -LBD) e delle grenades de désencerclement, armi usate solo in Francia, non letali ma in grado di infliggere ferite anche gravi alle vittime (Figura 3).
Le vaghe giustificazioni del governo francese non sembrano reggere di fronte all’evidenza dei fatti. Le tecnologie odierne, in particolar modo le dirette su Facebook, consentono a chiunque di vivere una manifestazione in prima linea e di rendersi conto di cosa avviene in tempo reale. Cronisti d’assalto come Rémy Buisine del canale Brut, reporter improvvisati vicini alle posizioni dei gilet gialli come Ramous e Civicio e altri canali indipendenti come Le Media o di proprietà russa come RT France e Sputnik, offrono ogni sabato avvincenti cronache di quanto accade sulle strade, seguiti da decine di migliaia di utenti, fra i quali chi scrive. Il comportamento delle forze dell’ordine appare sconcertante e le accuse di eccessivo autoritarismo rivolte a Macron non sembrano così infondate. Lo stesso Jerome Rodrigues, figura di riferimento del movimento, viene ferito a un occhio (che in seguito perderà) da una flashball e da schegge di una granata mentre filma i disordini durante l’Acte XI, assurgendo immediatamente al ruolo di eroe popolare. Lo stesso accade all’ex pugile Christophe Dettinger, che si oppone a mani nude a due gendarmi, in difesa di altri manifestanti malmenati. Le immagini spopolano sul web, il pugile si costituisce ed è arrestato, ma una colletta a suo favore raccoglie oltre 145.000 euro in 2 giorni prima di essere sospesa dalla piattaforma Leetchi con oscure motivazioni.
Il bilancio complessivo a fine marzo pare quello di una guerra (Figura 4): 11 persone sono morte (quasi tutte per incidenti durante i blocchi stradali); 23 hanno perso un occhio (colpiti da flashball); 5 hanno perso una mano e 234 hanno subito ferite alla testa (da flashball o granate), per un totale di circa 600 segnalazioni. Una tale repressione da parte della polizia nei confronti di un movimento sociale non si registrava da 50 anni.
Anche il bilancio giudiziario è pesante: 2.000 condannati, di cui il 40% con la detenzione carceraria, e più di 8.700 in custodia cautelare, circa 1800 ancora in attesa di giudizio (Figura 5 e Figura 6).
Paradossalmente, parte delle stesse forze dell’ordine, facenti parte del sindacato indipendente Policiers en Colère, ha più volte manifestato esprimendo rabbia e indignazione per le condizioni di lavoro e per i calcoli politici del governo che li utilizzerebbe come “tirapiedi” invece di affrontare le richieste della popolazione: Finora nel 2019 si sono registrati 24 suicidi di agenti della Police Nationale, uno ogni 4 giorni, mentre nel 2018 sarebbero stati 35 poliziotti e 33 agenti della Gendarmèrie a togliersi la vita.
Malgrado le difficoltà di ogni genere, compresa l’ostilità dei media ufficiali, le diverse iniziative di protesta non sono mai diminuite, con una partecipazione sempre notevole e a tratti impressionante, e nemmeno una nuova restrittiva legge "anticasseurs" (recentemente rigettata nelle sue parti più liberticide dalla Corte costituzionale) e l’avvio di un “grande dibattito nazionale”, che Macron ha lanciato coinvolgendo sindaci, deputati e gli stessi cittadini, nel tentativo di placare gli animi, hanno ottenuto risultati significativi.
Si è così giunti all’Acte XVIII del 16 marzo 2019, presentato come Ultimatum al governo e caratterizzato da nuovi saccheggi, incendi e violenti scontri sugli Champs-Élysées, una specie di prova di forza del movimento che, dopo mesi di aggressioni fisiche e verbali, ha sostanzialmente “non rifiutato” l’appoggio di black bloc e forze eversive simili. Sotto il cielo bianco di nuvole e di gas lacrimogeni di Parigi il coro “Macron démission” di fine novembre è sostituito da un inequivocabile e suggestivo “Revolution Revolution [video]"
Le manifestazioni parigine [video], giunte al momento all’Acte XXII, sono in realtà solo la punta di un iceberg, e i gesti violenti la parte che i media e il governo preferiscono mostrare: in realtà, in questi lunghi mesi di lotta, i gilet gialli hanno pensato soprattutto a darsi una organizzazione e ad arricchire di contenuti la loro protesta. Espandendo lentamente la rete di amicizie e conoscenze strette in occasione di blocchi stradali e di altre iniziative estemporanee [video] e quasi dadaiste [video] sul territorio, il movimento si sta dando una struttura rigorosamente orizzontale su base comunale, con l’idea di creare una sorta di federazione prima regionale e poi nazionale. Non esistono leader né riconosciuti né occulti, ma solo portavoce, alcuni dei quali sono diventati più noti grazie alla maggior esposizione su internet (oltre a quelli citati in precedenza va ricordato Maxime Nicolle, noto come Fly Rider, le cui analisi hanno grande seguito in rete). Il tutto avviene in modo spontaneo [video] e quasi consequenziale, fondandosi in pratica sulla “credibilità di strada” e rendendo anche difficile l’infiltrazione di opportunisti o di elementi di disturbo.
Deluso dalle due ultime legislature di Sarkozy e Hollande e ancora scosso dalla terribile sequenza di attentati degli scorsi anni, un gran numero di francesi sente l’esigenza di uscire dall’anonimato e di cercare un’identità attraverso un movimento sociale, ostile alle regole della politica, ma con un forte anelito ad una nuova visione della politica, una sorta di contropotere, non populista ma popolare, basato sulla democrazia diretta.
Il cavallo di battaglia è così diventato il RIC (référendum d'initiative citoyenne – Figura 7), già da tempo propugnato da Étienne Chouard, professore blogger e militante politico, esteso in tutte le sue forme, costituente, abrogativo, legislativo e revocativo (di singoli parlamentari eletti). Il dibattito interno, svoltosi in assemblee locali e poi nazionali e su piattaforme web con grande partecipazione, ha poi sostanzialmente evidenziato 4 principali blocchi di rivendicazioni: la trasformazione profonda del sistema politico, il rafforzamento del servizio pubblico, la richiesta di giustizia sociale e fiscale e le rivendicazioni ecologiche.
Macron resta il nemico pubblico numero uno. Le sue riforme economiche, in particolare l’aumento della CSG (contribution sociale généralisée, una tassa tesa a finanziare lo stato sociale), e la sostituzione dell’ISF (impôt de solidarité sur la fortune) con l’IFI (impôt sur la fortune immobilière, che non calcola più le rendite finanziarie ai fini della tassazione), non hanno avuto successo e hanno contribuito a creare nei cittadini l’immagine di un "presidente dei ricchi" e quella di una politica che riduce il potere d'acquisto dei francesi. Per il Presidente, la cui popolarità e autostima vacillano, potrebbero essere decisive le prossime elezioni europee, dove i gilet gialli cercheranno un voto utile a lui contrario pur non riconoscendosi in nessun altra forza politica e avendo pubblicamente sconfessato un paio di liste che pretendevano di presentarsi a loro nome.
Quale sarà il futuro di questo movimento e se esso potrà essere un modello esportabile dalla Francia in altri Paesi, come accadde nel passato, non è al momento ipotizzabile. Certo è che una protesta così radicale e radicata ormai in un segmento significativo della popolazione richiederà delle risposte più profonde e più articolate dei gas lacrimogeni e di una grandeur di facciata che, sottovalutando la frustrazione dei suoi cittadini, sta creando nella società francese danni ben superiori a quelli arrecati dai contestatori.
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