Imprevedibile, divisivo, non convenzionale e istrionico: un personaggio come Donald Trump non è certo passato inosservato nei suoi quattro anni di presidenza degli Stati Uniti. In vista delle prossime elezioni del 3 novembre, l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) dedica un ampio report ai risultati ottenuti da Trump e al ruolo attuale del suo Paese nel mondo.

 

Come ogni uomo politico a capo di un governo in una nazione democratica e avanzata, anche Trump ha dovuto adattare le sue scelte e i suoi proclami alla congiuntura internazionale, agli accordi pregressi e ai rapporti istituzionali interni. Il report dell’Ispi, diviso in due parti con sette diverse analisi sui vari aspetti della politica interna ed estera, mira soprattutto a mettere in luce la continuità e il cambiamento emersi nel corso dei quattro anni di amministrazione Trump rispetto ai risultati di Obama.

La parte dedicata all’economia, curata da Michele Alacevich - professore associato del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali presso dell'Università di Bologna -  considera la pandemia di Covid-19 alla stregua di uno stress test sulle problematiche degli Stati Uniti. Alacevich individua diversi segni di continuità nella politica economica e nei risultati positivi ottenuti da Trump e Obama, almeno fino alla comparsa del coronavirus.

Il 4 febbraio 2020, Donald Trump ha aperto il suo (ultimo?) discorso sullo stato dell'Unione con una descrizione di quello che ha definito «grande ritorno americano». Poi il Covid-19 ha colpito duramente il Paese (e lo stesso presidente, peraltro, pochi giorni fa): in un mese il tasso di disoccupazione è più che triplicato, dal 4,4% di marzo al 14,7% di aprile, mentre il PIL è sceso di 5 punti percentuali. Come si vede, uno stress test tanto eccezionale e imprevedibile quanto severo.
Durante i primi tre anni di governo Trump, l'economia statunitense era cresciuta costantemente e il tasso di disoccupazione era sceso a livelli mai visti dal 1969 (nell'autunno 2019 e a inizio inverno 2020  è rimasto tra il 3,5 e il 3,6%, un livello quasi da piena occupazione), trend che Donald Trump ha ovviamente attribuito alle sue politiche di deregolamentazione, ai tagli fiscali, al protezionismo industriale e alle guerre commerciali, ma che era in realtà iniziato molto prima del 2017.

I risultati economici dell'amministrazione Trump, sostiene Alacevich, non hanno fatto che proseguire sulle orme di quelli dell'amministrazione Obama. Continuità che è visibile, purtroppo,  anche in una seconda tendenza meno entusiasmante, quella della crescente disuguaglianza, aggravata anzi da Trump con la riforma fiscale del 2017, che ha avuto effetti altamente regressivi, e con i ripetuti tentativi di minare il sistema noto come "Obamacare" (ovvero l'Affordable Care Act): meno persone avranno accesso all'assicurazione sanitaria rispetto a prima e ci saranno ancora meno risorse per i servizi di assistenza sociale di base. Con una pandemia in corso, la mancanza di un’assicurazione sanitaria può rappresentare la differenza tra la vita e la morte per molti.

Stando ai dati, nel 2017, 2018 e 2019 il Pil reale è cresciuto rispettivamente del 2,4, 2,9 e 2,3%. Il confronto tra la crescita del Pil del 2017 di Trump del 2,4% e l'1,6% di Obama dell'anno precedente sembrerebbe impietoso. Ma i risultati economici di Obama erano già stati positivi. Alla fine del 2009, il Pil era aumentato del 4,5% rispetto al trimestre precedente e i successivi valori annuali oscillavano tra i massimi del 2,6% nel 2010 e il 2,9 nel 2016 e i minimi dell'1,6 nel 2011 e nel 2016. Di conseguenza, la crescita del Pil reale degli Stati Uniti sotto Trump, anche se indubbiamente positivo, non è un risultato nuovo.

Per quanto riguarda la disoccupazione, prosegue il report, quando Obama è entrato in carica, il tasso di disoccupazione era al 7,8%, ed è cresciuto nei mesi successivi fino 10,0% , per poi scendere quasi costantemente al 4,7 % quando Obama ha lasciato l'incarico.
Questa tendenza è continuata sotto Trump, come detto, ma non si può dire che sia stato Trump a metterla in moto: su base triennale, infatti,  il risultato di Trump sulla riduzione della disoccupazione è stato peggiore di quello di Obama: un calo della disoccupazione dell'1,2% nel 2017-19 (Trump) contro un calo dell'1,9% nel 2014-16 e un calo del 2,4% nel 2011- 13 (Obama). Dunque, l'affermazione di Trump del "grande ritorno americano" sarebbe palesemente falsa.

Anche le politiche industriali ("America First") e il protezionismo commerciale non sembrano così rilevanti, secondo l’analisi dell’Ispi. Una stima molto approssimativa della produzione lorda per settore mostra che, in media, la produzione è aumentata negli ultimi tre anni, in particolare nel settore minerario e dell'estrazione di petrolio e gas (un aumento di circa 27 miliardi di dollari all'anno sotto Trump e una diminuzione di circa 17 miliardi di dollari all'anno sotto Obama) e nella produzione di beni durevoli come macchinari, autoveicoli e computer (con un aumento di circa 66 miliardi all'anno sotto Trump e di 48 sotto Obama).

Ma parrebbero cifre ridotte se confrontate con gli aumenti annuali del prodotto interno lordo che in media si aggirano intorno ai mille miliardi all'anno. In altri settori come il commercio all'ingrosso e al dettaglio, peraltro, i risultati dell'amministrazione Obama sono leggermente migliori rispetto agli anni successivi.

Sorprendentemente, nonostante la retorica contro il “governo eccessivamente invasivo”, è l'amministrazione Trump che ha speso in media due volte e mezzo di più dell'amministrazione Obama (112,7 miliardi di dollari all'anno contro 46,4). Queste cifre includono anche i governi statali e locali, ma se limitiamo l’analisi al governo federale, il quadro mostra una discrepanza tra retorica politica e politica reale. Mentre Obama ha risparmiato una media di 4,2 miliardi di dollari all'anno, Trump ha speso in media 40,8 miliardi di dollari per la macchina federale.  Anche i salari minimi sono aumentati fin dal 2014, non per un aumento del salario minimo federale, bloccato a 7,25 dollari dal 2009, ma per l'aumento del salario minimo a livello statale e cittadino.

I tagli alle tasse, inoltre, sono altamente regressivi e scambiano prosperità a lungo termine per la popolazione in generale con uno stimolo fiscale miope e importanti vantaggi fiscali per i ricchi. La vera novità sotto Trump non è stata la crescita economica, ma, come ha scritto un osservatore, “l'incoscienza economica”.

L’Affordable Care Act aveva ridotto il deficit federale e i costi del sistema sanitario meno efficiente e più costoso del mondo occidentale, aumentando allo stesso tempo il numero di persone coperte (in tutti gli altri paesi Ocse la copertura è universale) e le risorse dedicate alla fornitura di assistenza invece che ai costi generali.
Incapaci di abrogare l’Obamacare, Trump e i repubblicani hanno reindirizzato le loro energie verso il disegno di legge firmato da Trump il 22 dicembre 2017, la più grande riforma fiscale negli Stati Uniti dal 1986, presentato e votato in sole quattro settimane senza il sostegno di nessun membro dell'opposizione, per la prima volta nella storia della riforma stessa.
I tagli alle tasse hanno favorito principalmente le società e le persone a reddito più elevato e i salari non sono aumentati come previsto; i dividendi precedentemente detenuti all'estero sono stati rimpatriati, ma il reinvestimento degli utili aggiuntivi ha registrato un forte calo e alla fine del 2018 sia i rimpatri che gli utili reinvestiti erano tornati ai livelli dei tagli ante imposte.

In attesa di sapere chi sarà il nuovo presidente, che dovrà in ogni caso ricostruire l’immagine e il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, almeno in un’altra cosa difficilmente Trump riuscirà ad eguagliare Obama: aggiudicarsi il premio Nobel per la pace al quale è stato candidato, proprio mentre nel suo stesso Paese infuriano in numerose città le proteste del movimento Black Lives Matter.