La guerra tra Hamas e Israele sta facendo passare sotto silenzio un’altra tragedia regionale: quella dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh, fagocitata dall’Azerbaigian nel silenzio assordante delle cancellerie occidentali. Domenica 15 ottobre il presidente dell'Azerbaigian Ilham Aliyev ha infatti dichiarato di aver realizzato un «sogno pluridecennale del popolo azero» sottraendo il controllo del Nagorno-Karabakh ai separatisti di etnia armena. «Abbiamo realizzato ciò che volevamo. Abbiamo realizzato il sogno che il popolo azero ha vissuto per decenni», ha detto Aliyev in un discorso nella città di Khankendi dove è stata issata la bandiera dell’Azerbaigian. «Abbiamo ripreso le nostre terre» ha concluso aggiungendo che il Paese aveva «aspettato 20 anni» per questo momento.
Il gas che arriva dal Tap
Se questa notizia passa sotto silenzio, è perché l’Azerbaigian è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo l’Algeria, con una quota del 15% appena al di sopra di quella russa, scesa sensibilmente in conseguenza della guerra in Ucraina. Il gas dell’Azerbaigian arriva in Italia prevalentemente attraverso il gasdotto Tap che ha una capacità di circa dieci miliardi di metri cubi l’anno. Tap è l’acronimo della Trans Adriatic Pipeline che fa parte del Corridoio Meridionale del Gas, che trasporta in Europa il gas naturale del giacimento di Shah Deniz II in Azerbaigian. Collegandosi con il Trans Anatolian Pipeline (Tanap) alla frontiera greco-turca, il gasdotto Tap attraversa il nord della Grecia, l’Albania e il Mare Adriatico prima di approdare nel sud Italia, in Puglia, dove si connette alla rete di distribuzione italiana del gas.
L'eredità sovietica
La situazione del Nagorno-Karabakh è una delle pesanti eredità lasciate dall’Unione Sovietica. Questa enclave è stata infatti contesa da oltre cent’anni dalle ex repubbliche sovietiche dell’Armenia e dell’Azerbaigian. Nel 2020 Baku aveva lanciato una pesante offensiva militare, ma l’enclave non si era arresa ed era rimasta autonoma sotto la supervisione delle forze di pace russe. Dopodiché, il dialogo si era interrotto. Gli armeni del Karabakh avevano accettato la mediazione internazionale, ma a dicembre del 2022 le autorità di Baku avevano isolato l’enclave causando una crisi umanitaria. Si ripeteva così il copione della prima guerra del Karabakh del 1991-1992, quando a morire sotto le bombe furono un centinaio di armeni.
Nei mesi scorsi le autorità dell’Azerbaigian hanno rifiutato ogni interferenza. L’hanno definita una questione «interna», rifiutando di concedere l’autonomia. Usando il pugno di ferro, hanno preteso la restituzione di quelle terre che non definiscono «Nagorno-Karabakh» bensì «Regione Economica Karabakh» facendo riferimento ai progetti di sviluppo futuri, oppure «zona sotto la responsabilità delle forze di pace russe». Marginalizzati, presi di mima dai media filogovernativi, accusati di tradimento e arrestati, gli esponenti della società civile di Baku non sono stati in grado di offrire soluzioni alternative. Poco per volta, le autorità di Yerevan hanno rinunciato all’enclave. In questo, complice è stato il crescente disaccordo tra la Russia e l’Armenia. Memori del passato, gli armeni hanno avuto paura di morire di fame, di freddo e di malattie. In molti hanno così deciso di andarsene.
L'attacco all'enclave
In questo contesto, il 19 settembre di quest’anno le forze armate dell’Azerbaigian hanno attaccato l’enclave abitata dagli armeni. L’operazione militare è stata annunciata qualche ora dopo che diversi soldati e civili armeni sono stati uccisi dall’esplosione di una mina nel Nagorno-Karabakh. Nelle ore successive, centinaia di persone sono morte negli scontri. Il cessate il fuoco è stato mediato dalla Russia ma nel frattempo, temendo una escalation di violenza, decine di migliaia di persone sono scappate dal Nagorno-Karabakh. L’assenza della diplomazia internazionale ha mandato un messaggio chiaro: a certe latitudini, il dialogo non serve perché vince il più forte (l’Azerbaigian) e i deboli (gli armeni) non possono fare altro che andarsene.
Incorporato il Nagorno-Karabakh, il 6 ottobre le autorità di Baku sono passate alla tappa successiva: le questioni militari hanno lasciato il passo alla progettazione di infrastrutture e alle questioni economiche. Tra le infrastrutture, un ruolo di rilievo avrà il corridoio Zangezur per collegare con autostrade, ferrovie, ponti e tunnel l’Azerbaigian alla sua enclave del Nakhchivan (situata tra l’Armenia, l’Iran e la Turchia) passando per la provincia armena Syunik, in cui le autorità azerbaigiane riconoscono la sovranità di Yerevan. È inoltre prevista la costruzione di un ponte sul fiume Arasse per collegare l’enclave azerbaigiana del Nakhchivan con la provincia iraniana dell’Azerbaigian orientale. Alla base di questo progetto vi sarebbe la normalizzazione dei rapporti tra Baku e Teheran, dopo anni di tensioni. A spingere Baku ad avvicinarsi a Teheran sarebbe il tentativo di rompere la storica alleanza nonostante le evidenti differenze religiose tra l’Iran (musulmano sciita) e l’Armenia (cristiana).
Baku-Teheran, cambio di stagione
A far cambiare idea alla leadership della Repubblica islamica dell’Iran – in questi decenni ostile a Baku - sarebbero invece fattori molteplici. Innanzi tutto, il cambiamento negli equilibri regionali a favore dell’Azerbaigian. Ovvero la vittoria militare in Nagorno-Karabakh, il rafforzamento dell’asse Baku-Ankara e dell’asse Baku-Tel Aviv, nonché il fatto che le autorità azerbaigiane sono alleate e hanno progetti anche con la Turchia. Il 25 settembre Baku e Ankara hanno infatti messo le basi per il gasdotto Nakhchivan-Ighdir. Completato nel 2024, permetterà all’Azerbaigian di rifornire l’enclave di Nakhchivan con il proprio gas attraverso Turchia, senza più dipendere dal gas iraniano. In secondo luogo, gli ayatollah e i pasdaran sono consapevoli dei benefici economici che potranno trarre dalle nuove infrastrutture. In terzo luogo, avvicinandosi a Baku, gli iraniani potranno avere accesso diretto ai mercati russi (sfuggendo così alle sanzioni occidentali) utilizzando il North-South Corridor (Instc), anche perché l’Azerbaigian è coinvolta nella linea ferroviaria irano-russa Rasht-Astara. Ancora una volta, in Medio Oriente è l’odore dei soldi a deviare il corso dei fiumi. E quindi a far cambiare le alleanze, ai danni dei più deboli (gli armeni).
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