Con questo approfondimento sull'Etiopia Paolo Lambruschi inizia la sua collaborazione con Mondo Economico.

Lo sbocco sul mar Rosso è un diritto dell'Etiopia, il più grande Paese africano landlocked, senza sbocco sul mare, e gli stati costieri del Corno d'Africa devono condividerlo. Come deve entrare presto in funzione la Grande diga del Rinascimento (Gerd) sulle contese acque del Nilo, ulteriore motivo per un conflitto con Sudan ed Egitto.

Sono le frasi del premier etiope Abiy Ahmed (nella foto in alto) che a metà ottobre, in concomitanza con il vertice one belt one road con cui Pechino ha ridefinito dopo 10 anni la nuova via della Seta, è tornato ad avanzare rivendicazioni che hanno agitato il Corno d'Africa e a mettere in discussione i confini, soprattutto tra Etiopia ed Eritrea. I cui rapporti tendono al gelo ed è una novità a un anno esatto dalla conclusione della guerra contro la regione del Tigray che le ha viste alleate. Le truppe di Asmara continuano intanto a imperversare nel conteso Tigray occidentale, dove insieme alle milizie regionali Amhara sono accusate dall'Onu di commettere massacri di civili e stupri per cacciare i tigrini e destabilizzare il grande vicino.

 

Terza economia africana, con un Pil da 111 miliardi di dollari nel 2021 e 120 milioni di abitanti, l'Etiopia, fino al 2020 considerata tigre rampante grazie ai crediti cinesi e agli aiuti occidentali che hanno sostenuto una crescita media annua in un decennio del 9%, oggi è un gigante in ginocchio. Piegato  dalla guerra del Tigray e dai diversi conflitti interni che hanno amplificato l'impatto dei mutamenti climatici, del Covid e della guerra in Ucraina. L'inflazione seguita all'indebitamento per acquistare da turchi ed Emirati i droni che hanno fermato l'avanzata tigrina nel 2021 ha fatto aumentare i prezzi in media del 30%. Un piatto di indjera, pane di farina di teff, è in 12 mesi quintuplicato, un litro di gasolio da carburante costa l'equivalente di un euro e mezzo e i trasporti stanno diventando inaccessibili alla maggior parte degli etiopi. Il paese è oggi classificato dalle Nazioni Unite come a massimo rischio per l'incidenza dell'insicurezza alimentare. 

Un milione di posti di lavoro

Per battere la crisi Abiy avrebbe bisogno di stabilità e crescita creando un milione di posti di lavoro l'anno. Ma il complesso mosaico di popoli e le dispute interne ed esterne minacciano continuamente la pace in un paese classificato ancora al 173° posto su 189 paesi nell'indice di sviluppo umano e da 5 anni in transizione verso un sistema politico -partitico che superi le divisioni etniche. La questione dello sbocco sul mare  risale alla secessione dell'Eritrea nel 1993. Nel 1998-2000 scoppiò una guerra con l'ex colonia italiana per riaverlo, ma invano, e da allora Addis Abeba dipende dal confinante porto di Gibuti per oltre l'85% dell'import export. 

Ora c'è l'occasione per il rilancio. Nei primi sei mesi del 2023 la Cina ha ripreso a investire sulle infrastrutture in Africa subsahariana, soprattutto ad est, nell'ambito della Nuova via della seta. In tutto quattro miliardi di dollari con  un aumento del 130% rispetto allo stesso periodo del 2022. E dopo aver annunciato un imprecisato taglio al debito contratto da Addis Abeba in 20 anni principalmente per la diga sul Nilo (13,7 miliardi di dollari) - alla quale ha dato un contributo fondamentale il gruppo italiano Webuild - ha approvato un ulteriore credito di 622 millioni di dollari per progetti di sviluppo infrastrutturale legati alla rotta marina strategica e alla penetrazione delle merci nel continente. 

Attriti in vista con l'Eritrea

Il governo etiope non può permettersi di restare indietro nella corsa al denaro che i cinesi riverseranno nel Corno. All'Etiopia occorre  uno sbocco diretto sul mare anche per sostenere la ripresa post pandemica dell'export orientato principalmente verso Usa ed Ue. Quindi il premier etiope Abiy Ahmed ha acceso la miccia con un discorso sul diritto del suo paese allo sbocco al mare ricordando al tempo stesso a Sudan ed Egitto che la questione della diga sul Nilo sulla quale i tre stati stanno trattando da anni è parimenti vitale. «Il Mar Rosso e il fiume Nilo definiscono l'Etiopia; sono una questione esistenziale sono le basi per lo sviluppo dell'Etiopia o la sua scomparsa», ha detto riprendendo la dottrina dello stratega imperiale ottocentesco ras Alula (protagonista delle vittorie  etiopi contro gli invasori italiani a Dogali e ad Adua). Discorso che secondo alcuni analisti voleva deliberatamente causare attriti con l'Eritrea.

La grande diga sul Nilo costruita dall'Etiopia

La via della Seta via mare

La questione dell'accesso al mar Rosso,  dove passa un decimo circa del traffico merci globale, torna dunque al centro della contesa tra Cina e occidente che non vuole assolutamente cedere il passo. Da tempo l'amministrazione Biden ha promesso di riprendere gli aiuti e con l'Ue sta insabbiando all'Onu il proseguimento della commissione sui crimini di guerra in Tigray. 

Abiy vorrebbe proseguire la politica dei due forni. Perciò ha lanciato un'offensiva nazionalista per ora solo verbale verso i vicini, affermando che «un paese di 120 milioni di abitanti non può non avere sbocco sul mare. L'Etiopia è un'isola circondata dall'acqua eppure ha sete e come non è un tabù discutere del Nilo con Sudan ed Egitto non deve esserlo per il Mar Rosso e l'Oceano indiano».

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Somalia, Gibuti ed Eritrea hanno prontamente risposto picche e ora la palla in campo etiope. Quanto al Nilo, finché non verrà trovata una soluzione soddisfacente per i tre stati sull'utilizzo  della risorsa idrica - la atavica fame etiopica di energia elettrica necessaria per sviluppare l'industria si contrappone all'esigenza irrigua di Sudan ed Egitto-, l'immensa diga non potrà funzionare a pieno regime. Il rischio di nuovi conflitti nel Corno per l'acqua dolce e salata aumenta settimana dopo settimana. La preoccupazione è che si approfitti della distrazione per i conflitti a Gaza e in Ucraina per far parlare le armi.