Con un colpo di coda, il presidente americano uscente Donald Trump ha messo a segno tre colpi che mettono in difficoltà il democratico Joe Biden che il 20 gennaio si insedierà alla Casa Bianca.
Il 9 gennaio il Dipartimento di Stato ha cancellato le restrizioni dei contatti tra diplomatici americani e Taiwan, facendo infuriare la Cina e complicando i futuri rapporti di Biden con Pechino. Il 10 gennaio il segretario di Stato Mike Pompeo ha designato come organizzazione terroristica i ribelli sciiti yemeniti Huthi che dal 2015 tengono testa alla coalizione arabo-sunnita guidata dai sauditi. Dopo aver incluso il Banco Financiero Internacional (Bfi) nella lista delle entità sottoposte a sanzioni da parte degli Stati Uniti perché «beneficia in modo sproporzionato» i militari cubani «ai danni del popolo cubano» e aiuta a finanziare le «ingerenze» di Cuba in Venezuela, l’11 gennaio Pompeo ha annunciato che Cuba torna nella lista dei paesi sponsor del terrorismo.
Pugno duro contro l'Avana
Le sanzioni di Trump contro l’Avana revocano una misura presa nel 2015 dall'amministrazione Obama nel quadro del disgelo verso l'ex avversario della Guerra Fredda. Il pretesto per imporre sanzioni a Cuba è l’avere «ripetutamente fornito sostegno ad atti di terrorismo internazionale garantendo un porto sicuro ai terroristi». Pompeo ha giustificato il reinserimento di Cuba con il fatto che «da decenni numerosi americani ricercati o condannati per violenza politica» hanno trovato asilo nell'isola. Tra questi vi è l'ex Pantera Nera Joanne Chesimard (alias Assata Shakur), zia del rapper Tupac Shakur, finita in carcere per complicità nell'uccisione nel 1973 di un poliziotto del New Jersey e nel 1979 protagonista di una evasione clamorosa.
Gli sciiti Huthi e l'emergenza Yemen
Nel caso dello Yemen, l’amministrazione Trump ha inserito i ribelli sciiti Huthi tra le organizzazioni terroristiche, mandando così a monte il pluriennale impegno della diplomazia internazionale in Yemen volto a fermare il conflitto tra la coalizione arabo-sunnita guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli sciiti Huthi filoiraniani. La guerra era stata scatenata da Riyadh la notte tra il 25 e il 26 marzo 2015 in seguito alla presa di potere dei ribelli sciiti nella capitale yemenita Sana’a. Sei anni dopo, una nuova epidemia di colera e l'arrivo del Covid hanno sprofondato lo Yemen nella crisi umanitaria più grave al mondo.
Secondo i dati delle Nazioni Unite gli sfollati sono 3,6 milioni, di cui l’83% sono donne e bambini. La metà delle strutture sanitarie non sono più operative e, tenuto conto che sei nascite su dieci hanno luogo senza la presenza di personale qualificato, ogni due ore una donna e sei neonati muoiono a causa del parto. Nel 2021 serviranno 100 milioni di dollari per assistere l'80% della popolazione, tra cui oltre 1,2 milioni di donne incinte o che allattano e che si trovano in una grave situazione di malnutrizione.
Il ruolo dell'Europa
In questo contesto, lo European Council on Foreign Relations ha raccomandato all’Europa di portare avanti i negoziati con gli Huthi. Nel Policy Brief Talking to the Houthis: How Europeans Can Promote Peace in Yemen gli autori Raiman Al-Hamdani e Helen Lackber scrivono: «Gli Huthi cercano il riconoscimento internazionale, devono affrontare crescenti sfide sul fronte interno e potrebbero rinunciare a estendere il loro controllo sul Sud. Questi fattori forniscono un qualche spazio negoziale». L’impegno degli Stati europei dovrebbe essere volto a coinvolgere gli Huthi, «cercando di allargare lo spazio politico e umanitario sul terreno, e al tempo stesso spingendo tutte le fazioni al tavolo dei negoziati».
Chi paga sullo scacchiere
A pagare il prezzo delle ultime mosse di Trump in politica estera non sarà soltanto Biden, a cui il suo predecessore repubblicano ha ingarbugliato una matassa già complicata, ma i civili nei paesi sanzionati perché le nuove misure rendono più difficile portare gli aiuti umanitari. In primis in un paese come lo Yemen, dove gli Huthi controllano l’ingresso delle navi container nel porto di Hodeida, obbligando a pagare i dazi. Ora, versare i dazi a un’organizzazione definita terroristica diventa quasi impossibile, e solo l’intervento delle Nazioni Unite potrà portare a una soluzione.
Nel caso di Cuba, l'inclusione del Bfi nella lista delle entità sanzionate impedirà alle società statunitensi di avere rapporti commerciali e finanziari con esso. L'embargo statunitense limita gli scambi commerciali e le visite ordinarie degli americani. Oltre a scoraggiare investitori desiderosi di entrare come partner nell'importante offerta turistica cubana, la nuova definizione ostacolerà anche gli scambi con altri paesi, su cui l'Avana fa conto per importare beni essenziali.
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