Benché fortemente condizionata sin dalla sua indipendenza - non richiesta - del 1991, dalle conseguenze del disastro di Chernobyl, e più tardi, dalla crisi monetaria del 2011, la Bielorussia si è dimostrata in grado di garantire ai suoi circa dieci milioni di abitanti un relativo benessere - non trascurabile se comparato alla situazione sociale di altri ex paesi d’Oltrecortina - con un modello ibrido di pianificazione ed iniziativa privata.
Al referendum voluto da Mikhail Gorbacev nel 1991, oltre l’80% dei bielorussi si espresse contro la separazione dell’allora RSS bielorussa dall’Unione Sovietica.
Nonostante le risorse limitate e le difficoltà strutturali, l’economia bielorussa si è dimostrata in grado di progredire in modo significativo e di reggere l’urto di forti turbolenze, come la pandemia in corso. L’impatto economico della pandemia sul paese è stato per il momento piuttosto contenuto: limitazioni rigide agli spostamenti interni ed alle attività produttive sono state imposte solamente per alcune settimane nella primavera 2020, e gradualmente allentate. Il valore delle perdite attribuibile alla pandemia è quantificabile in una caduta del Pil tra l’!% e il 2%, minima se confrontata con le perdite medie delle economie dell’Eurozona.
La rivoluzione dei ceti medi
I risultati dell’economia bielorussa - riuscita a crescere tra l’8 ed il 10% su base annuale nel periodo 2006-2008 - hanno permesso la formazione di un ceto medio tendenzialmente poco in sintonia con il retaggio sovietico rappresentato da Aleksander Lukashenko e con il fare risoluto di quest’ultimo. La mancanza di un’espressione politica dei ceti medi ufficialmente riconosciuta costituisce uno dei motivi di fondo delle proteste avvenute dopo le discusse elezioni presidenziali dello scorso agosto.
Le conseguenze della “rivoluzione dei ceti medi” auspicata da Viktor Babariko – ex banchiere attualmente detenuto con l’accusa di riciclaggio – potrebbe rendere di fatto insostenibili i livelli di stato sociale che fino ad oggi la Bielorussa ha avuto la capacità di mantenere, qualificandosi come un’eccezione all’interno dello spazio post-sovietico.
I settori strategici
La capillare presenza dello stato rende corruzione e criminalità oggi pressoché inesistenti. I settori strategici del paese sono sostanzialmente tutti sotto controllo pubblico: nelle aziende pubbliche lavora oltre il 40% dell’intera forza-lavoro del paese ed il valore della presenza dello stato nell’economia bielorussa è quantificabile in circa il 70% del totale.
Oltre alla raffinazione del greggio russo e l’esportazione dei derivati di questo, le principali attività dell’economia bielorussa riguardano la produzione di prodotti e macchinari agricoli, mezzi di trasporto per merci e persone, componenti meccaniche, componenti elettroniche, prodotti chimici, prodotti sanitari e farmaceutici. A questi si deve aggiungere il dinamismo dell’economia bielorussa nel settore IT, in cui spiccano Viber, Wargaming (World of Tanks) e le criptovalute.
Nelle ultime tre decadi l’appoggio economico della Federazione Russa ha avuto un ruolo decisivo nel sostegno della piccola Bielorussia, povera di risorse naturali e di materie prime. Per Minsk la Federazione Russa è tutt’oggi il principale mercato di riferimento, il principale alleato sul piano militare, il principale fornitore di energia. Benché il volume d’affari sia di gran lunga inferiore a quello con Mosca, il rapporto con Pechino non è meno importante, e difatti sono gli stessi vertici bielorussi ad attribuirgli un carattere strategico.
Le Zone economiche speciali
Per attrarre investimenti dall’estero la Bielorussia ha lanciato negli anni numerose iniziative: tra queste c’è l’istituzione delle Zone economiche speciali (ZEE), aree del paese in cui vengono messe a disposizione importanti agevolazioni fiscali per le aziende straniere interessate ad investire in loco.
Oltre alle ZEE, il progetto più ambizioso per dare slancio all’economia bielorussa è quello del Parco industriale di Veliki Kamen (in italiano: La Grande Pietra), nuovo complesso industriale a proprietà mista sino-bielorussa-tedesca (68%, 31%, 1%) costruito a ridosso dell'aeroporto di Minsk sul modello del parco industriale Cina-Singapore di Suzhou (Cina) ed inserito all’interno dei progetti della Nuova Via della Seta.
Le sanzioni e le opportunità per l'Italia
Le sanzioni imposte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti alla Bielorussia (a seguito di irregolarità elettorali e repressione delle proteste degli scorsi mesi) riguardano oggi duecento persone tra funzionari, rappresentanti istituzionali bielorussi, giornalisti che lavorano per i media di stato e sette grandi aziende pubbliche del settore militare e chimico a cui vengono interdetti i rapporti commerciali con i paesi della Ue.
A dispetto delle sanzioni e dell’irrigidimento politico, il valore dell’interscambio di beni e servizi tra Bielorussia e Germania vale oggi circa il triplo di quello di quello tra Bielorussia e Italia (circa un miliardo e mezzo di euro). Un dato che suggerisce come le relazioni economiche tra Minsk e Roma potrebbero crescere risultando mutualmente vantaggiose e favorendo al contempo l’evoluzione politica della società bielorussa.
Anche grazie alla nuova linea di credito recentemente concessa da Mosca, la tenuta dell’economia bielorussa non sembra messa in difficoltà sostanziale da queste sanzioni: tutto lascia intendere che il modesto risultato che queste potranno raggiungere nel breve periodo sarà quello di congelare i rapporti tra Minsk e l’Unione Europea.
Malgrado i toni bruschi a cui non ha rinunciato, Aleksander Lukashenko appare oggi ben consapevole della necessità di offrire una rappresentanza politica adeguata ai ceti medi e di favorire la graduale transizione politica lentamente avviata.
Tenendo conto di ciò è auspicabile che l’Italia possa favorire il dialogo politico tra Minsk e l’Occidente sia in sede europea sia promuovendo la cooperazione economica bilaterale.
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