Per l’Iran il 2021 è iniziato in modo burrascoso. Dopo tre anni e mezzo, l’Arabia Saudita ha teso la mano al Qatar per fare fronte unito contro Teheran; i pasdaran hanno sequestrato un cargo battente bandiera della Corea del Sud e ora chiedono i 7 miliardi di petrodollari congelati in due banche del paese asiatico per via dell’embargo americano; l’amministrazione Trump ha varato nuove sanzioni che prendono di mira l’industria dei metalli della Repubblica islamica con l’obiettivo di ridurre i proventi a disposizione di ayatollah e pasdaran.
Il 2020 era stato un anno difficile per tutti, anche per l’Iran. Era cominciato con un drone statunitense che colpiva il convoglio del generale Qasem Soleimani nell’aeroporto di Baghdad, il 3 gennaio. Cinque giorni dopo, i pasdaran abbattevano per errore un aereo di linea ucraino diretto a Kiev, pochi minuti dopo il decollo da Teheran; i vertici della Repubblica islamica si sono impegnati a risarcire le famiglie con 150mila dollari per ognuna delle 176 vittime. E la pandemia ha colpito l’Iran più di altri paesi della regione, complici i voli aperti a oltranza con la Cina e la mancanza di medicinali a causa dell’embargo.
Le sanzioni di Trump
E sono proprio le sanzioni di Trump ad avere peggiorato la situazione anche dal punto di vista economico: intimoriti dai veti di Washington, gli europei non hanno avuto il coraggio di riprendere a fare business con Teheran e nemmeno di rendere operativa Instex, la camera di compensazione per importazioni ed esportazioni da e per l’Iran. A conti fatti, in quattro anni di amministrazione Trump la valuta iraniana (il rial) ha perso l’85% del suo valore e oggi molte famiglie sono sul lastrico.
L’elezione del presidente democratico Joe Biden è coincisa con una ulteriore escalation. In ambito nucleare, le autorità di Teheran si sono dette pronte a installare nuove centrifughe, di tecnologia avanzata, nella centrale di Natanz. Nell’anniversario dell’uccisione di Soleimani, Teheran ha fatto intendere alla nuova amministrazione a stelle e strisce che non esiterebbero a portare l'uranio arricchito fino al 20%. L'accordo sul nucleare stretto sotto Obama e abbandonato da Trump imponeva il 3,67%.
Il programma nucleare
Nel frattempo, il 27 novembre lo scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh è stato ucciso in un attentato, probabilmente per opera del Mossad. Qualche giorno dopo, i deputati della Repubblica islamica hanno promulgato una legge per espandere il programma nucleare e vietare l’ingresso nelle centrali da parte degli ispettori delle Nazioni Unite, prevedendo una clausola per fare marcia indietro nel caso in cui gli altri paesi firmatari dell’accordo nucleare rispettino l’intesa firmata a Vienna nel 2015, il cosiddetto JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action).
Ci sono fondati motivi per credere che l’accordo non sia recuperabile. Per scongiurare questo scenario, il 21 dicembre i ministri degli Esteri di Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito si erano riuniti da remoto e avevano dichiarato di non voler porre ulteriori condizioni all’Iran. Al tempo stesso, i ministri degli Esteri dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania hanno affermato di essere pronti ad accogliere nuovamente tra di loro gli Stati Uniti, appena Biden si insedierà alla Casa Bianca. Da parte sua, il 6 gennaio il presidente iraniano Rohani ha affermato che l’Iran tornerà a rispettare l’accordo sei Biden farà lo stesso. La finestra per salvare il JCPOA va dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca il 20 gennaio al 3 febbraio, data in cui gli iraniani potrebbero impedire agli ispettori dell’AIEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) di entrare nei loro siti nucleari. Due settimane sono ovviamente un tempo troppo breve per la nuova amministrazione statunitense, ma potrebbero bastare poche parole conciliatorie del neopresidente Biden per calmare gli spiriti. Se dovesse farlo, dovrebbe però tenere a bada la lobby israeliana e le monarchie sunnite nel Golfo persico. Di certo, Biden ha ben presente che l’accordo con Teheran si regge solo sulla sua parola, perché il Congresso non ha mai ratificato l’intesa.
La variabile elezioni di giugno
Sul fronte iraniano, ci sono altre variabili da non sottovalutare. In primis le presidenziali previste per venerdì 18 giugno 2021, in cui il moderato Rohani dovrà – dopo due mandati consecutivi - cedere il testimone e il suo ministro degli Esteri Zarif sarà sostituito. Le elezioni rappresentano un’opportunità che i falchi della Repubblica islamica non si lasceranno scappare, tant’è che un sondaggio di IranWire dà per favorito l’ex presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad. In merito alla sovranità nucleare, gli ultraconservatori non hanno intenzione di rinunciarvi, cedendola a un Occidente di cui non si fidano. Per questo, in queste settimane si sono intensificate le condanne a morte degli oppositori politici, tra cui il giornalista dissidente Ruhollah Zam: rifugiato in Francia, rapito dai servizi segreti iraniani mentre si trovava in Iraq, è stato impiccato il 12 dicembre.
In segno di protesta, le diplomazie europee si sono rifiutate di presenziare al Business Forum Europe-Iran organizzato online dalla think tank milanese The European House Ambrosetti. Il Business Forum previsto per il 14-16 dicembre è stato rimandato, ma intanto i tremila operatori economici iscritti sono comunque impegnati nel networking online.
Con queste condanne capitali, la magistratura di Teheran in mano all’ultraconservatore Ebrahim Raisi vuole impedire a Rohani un riavvicinamento con l’Occidente. E potrebbe riuscirci.
© Riproduzione riservata