I politici e gli esperti americani sono divisi nelle loro valutazioni del ritiro delle truppe dall'Afghanistan nell'agosto 2021, con argomenti, emozioni e giudizi ugualmente forti, che spaziano dal caotico al disastro di proporzioni epiche, dalla morte dell'impero americano al successo straordinario. 

L'incapacità del governo dell'Afghanistan di governare senza gli alleati occidentali e la facile presa di potere dei talebani è giunta inaspettata per le potenze occidentali, influenzando l'autopercezione e l'autostima degli Stati Uniti, del Regno Unito, dell'UE e degli altri Stati membri della NATO coinvolti.

Peraltro, il rapido cambiamento politico nel centro dell'Eurasia ha avuto un forte impatto diretto sulla sicurezza e sulle prospettive politiche di Cina, India, Iran, Russia, Turchia e nazioni dell'Asia centrale, così come sulla loro comprensione della decrescente presenza globale occidentale. Il Westlessness sembra essersi rivelato in una forma nuova.

Questa nuova percezione del ruolo e delle opportunità degli Stati Uniti e della NATO nella politica internazionale e nelle loro relazioni con gli alleati non occidentali ha molte e diverse manifestazioni nelle dimensioni internazionali e nazionali, politiche e dei mass media, che, tuttavia, possono essere unite sotto un nome comune di Sindrome dell'Afghanistan.

Gli elementi patologici e il caso Ucraina

La sindrome dell'Afghanistan, una combinazione di opinioni, emozioni e immagini mediate, è ormai stabilmente riferita a eventi storici precedenti — sia che siano collegati al passato degli Stati Uniti (come la caduta di Saigon), sia alla resistenza afghana a un altro intervento straniero (come quello della Gran Bretagna o dell'URSS) — ed è ormai un fattore dell'immaginario politico globale che influenza il comportamento delle élite politiche in ogni nazione e regione del mondo.

Un esempio dell'influenza della sindrome può essere visto sul suo effetto sull'Ucraina, un paese la cui sopravvivenza e sviluppo — di fronte all'aggressione della Russia in Crimea e al conflitto in corso con i secessionisti nel Donbass — dipende dal sostegno degli Stati Uniti, dell'UE e della NATO.

Dall'inverno 2020-21, l'agenda politica del presidente Zelensky è fortemente orientata alla cooperazione con gli Stati Uniti e la NATO. La rapida integrazione nella NATO e nell'UE, il ritorno della questione della Crimea al centro dell'attenzione internazionale e la lotta contro il progetto del gasdotto Nord Stream 2 (NS2) erano al centro di questa agenda. L'adesione alla NATO e all'UE veniva considerata una garanzia per, rispettivamente, la sicurezza e lo sviluppo economico dell'Ucraina. La partecipazione al forum della Piattaforma della Crimea il 23 agosto 2021 doveva dimostrare il sostegno attivo dell'Occidente all'integrità territoriale dell'Ucraina e dare inizio a una nuova strategia di pressione internazionale sulla Russia sulla questione della Crimea.
La chiusura del progetto NS2 sarebbe stato un primo passo per mostrare la serietà del sostegno degli Stati Uniti e dell'UE agli interessi ucraini.

Ma alla fine di agosto - inizio settembre 2021, sembra che tutti e tre i punti principali dell'agenda non abbiano avuto successo. L'Ucraina non ha ottenuto la prospettiva di adesione alla NATO al vertice del 14 giugno 2021. In seguito, in occasione dello Yalta European Summit di settembre, l'ex presidente dell'Estonia Kaljulaid ha espresso un'opinione informata sul fatto che l'Ucraina sia ancora lontana dal soddisfare i criteri richiesti per l'adesione all'UE: senza il loro raggiungimento, sarebbe dunque impossibile un negoziato significativo.

Anche se la Piattaforma della Crimea è riuscita a contare sulla presenza dei maggiori paesi occidentali — Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito — questi sono stati rappresentati da ministri e ambasciatori, non da presidenti o capi di governo come si aspettava Kiev. Contemporaneamente, gli Stati Uniti e la Germania si sono accordati per continuare il progetto del gasdotto NS2, dimostrando che gli interessi economici della Germania sono più importanti di quelli ucraini.

In questo contesto, le élite ucraine — sia il gruppo dirigente che l'opposizione — hanno ricevuto la notizia del ritiro americano dall'Afghanistan, con tutto lo spettro delle caratteristiche della sindrome dell'Afghanistan.

Il presidente Zelensky, pur frustrato, ha reagito in una recente intervista con la CNN, menzionando più volte la questione dell'Afghanistan. Il suo principale messaggio ai cittadini ucraini e alle élite occidentali è stato quello di mostrare l'Ucraina come un caso diverso dall'Afghanistan. A suo parere, l'Ucraina è meno dipendente dall'Occidente di quanto lo fosse la Kabul ufficiale. Inoltre, la Russia è un nemico comune più forte (dei talebani) per l'Ucraina e l'Occidente. Infine, il presidente ha dichiarato: "Credo davvero che in quattro o cinque o sette giorni, non si possa prendere un paese così grande geograficamente come l'Ucraina, con una popolazione così numerosa e semplicemente occuparlo così..."

In effetti, l'Ucraina è più importante dell'Afghanistan per la sicurezza dell'Europa, e la forza militare della Russia è innegabilmente più grande di quella dei talebani.

Però il sentimento non detto, ma palpabile di questa intervista, era di frustrazione e sfiducia mal celata verso i partner occidentali che evitano di diventare alleati. Questa frustrazione era probabilmente uno dei risultati dell'incontro formalmente positivo dei presidenti Biden e Zelensky alla Casa Bianca il 1 settembre 2021, ma è cresciuto sotto l'impatto della sindrome dell'Afghanistan.

Zelensky ha ribadito la sua frustrazione allo Yalta European Summit del 10 settembre 2021: "...[Tutti] simpatizzano all'unanimità con l'Afghanistan o l'Ucraina, contro cui la Russia sta conducendo una guerra. Ma questa è la realtà virtuale. E per sette anni di seguito, il Forum di Yalta European Summit si è tenuto a Kiev. Quindi, Yalta è ancora lontana dall'Europa, è occupata, e non sappiamo se il mondo abbia una strategia per cambiare questa situazione e ripristinare il rispetto del diritto internazionale".

I medesimi timori sono stati recentemente espressi dal ministro degli affari esteri Dmytro Kuleba. In una intervista ai media occidentali, Kuleba ha detto che gli Stati Uniti sono nel mezzo di una "crisi di leadership". Tuttavia, ha espresso la speranza che la sicurezza dell'Ucraina "sia una questione in cui gli Stati Uniti potrebbero dimostrare di nuovo la loro serietà", per poi concludere affermando che l'Ucraina "ha imparato una serie di lezioni amare che mostrano come le promesse occidentali siano probabilmente non mantenute... Noi non crediamo nelle promesse".

Mentre condividono l'idea che il fallimento dell'Occidente in Afghanistan sia una minaccia alla fiducia tra l'Ucraina, gli Stati Uniti e la NATO, i diversi gruppi di opposizione la usano nella loro lotta con le autorità. I gruppi filooccidentali che fanno capo a Petro Poroshenko chiedono riforme più radicali (non attuate da loro durante la presidenza Poroshenko nel 2014-19). I gruppi filorussi chiedono invece di riconsiderare la strategia basata sull'integrazione europea ed euro-atlantica. Ricordano anche l'esperienza sovietica "più riuscita" del ritiro delle truppe nel 1989, a cui molti ucraini di oggi hanno partecipato personalmente. E gli isolazionisti dichiarano che il caso dell'Afghanistan dimostra che l'Ucraina deve contare solo sul proprio esercito e sulle proprie risorse; tutte le speranze di sostegno straniero sono sbagliate.

La sindrome dell'Afghanistan trova qui la sua piena espressione.

Emotivamente, aumenta la sfiducia tra i partner. Razionalmente, ci si interroga su come un tale fallimento delle operazioni militari e della costruzione dello Stato afghano sia stato opera della potenza più forte del mondo e dei suoi alleati. E nei media, i corpi che cadono dagli aerei statunitensi sopra l'aeroporto di Kabul sono una presenza permanente.

Tra molti altri passi riparatori per la reputazione degli Stati Uniti, c'è stato un importante discorso di Victoria Nuland, sottosegretario del Dipartimento di Stato USA, diretto alle élite ucraine all'ultimo Yalta European Summit: nella sua dichiarazione ha usato le preoccupazioni dei politici ucraini e il caso afghano come argomento a favore di una più stretta cooperazione tra Stati Uniti e Ucraina. Il ritiro dall'Afghanistan potrebbe comportare infatti una maggiore attenzione degli Stati Uniti all'Ucraina e alla sua sicurezza.

A giudicare dagli ulteriori dibattiti del vertice europeo di Yalta, questo messaggio è stato recepito, ma non è bastato. C'è un lungo percorso che il governo degli Stati Uniti deve intraprendere per garantire ai suoi alleati e partner il suo reale impegno per una sicurezza comune.

Ma in Ucraina la fiducia nell'alleanza con gli Stati Uniti e l'Occidente in generale al momento è davvero compromessa. La sindrome dell'Afghanistan mina le posizioni del gruppo attualmente al potere, ma sfida anche l'agenda politica diretta all'integrazione europea ed euro-atlantica. Come il deficit dell'attuale agenda avrà risposte dalle élite ucraine resta tutto da osservare.