Il mercato degli appalti pubblici ha raggiunto in Italia nel 2022 un valore economico di quasi 290 miliardi di euro. Oltre 233 mila procedure di gara. Una impennata senza precedenti, determinata dagli appalti finanziati con le ingenti risorse del Pnrr. È il picco massimo della serie storica degli ultimi cinque anni: un sostanziale raddoppio rispetto al 2018. Il settore che ha fatto registrare il maggiore aumento di importi - rispetto a forniture e servizi - è quello dei lavori, con un incremento del 139,7%: 108 miliardi di euro nel 2022 rispetto ai 45 miliardi dell’anno precedente. A fare la parte del leone, appalti in ambito ferroviario, autostradale ed energetico.
Sono tutti dati contenuti nella Relazione annuale 2022 presentata alla Camera in questi giorni dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, che fotografa il mercato dei lavori pubblici e permette di comprendere a fondo l’impatto che avrà il nuovo Codice degli appalti e delle concessioni (Dlgs 36/2023), o Codice dei contratti pubblici, su amministrazioni, imprese e professionisti. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 marzo, entrato in vigore il 1° aprile, avrà efficacia dal 1° luglio con un periodo transitorio nel quale i due Codici coesisteranno e che terminerà il 31 dicembre.
Il nuovo Codice rappresenta indubbiamente uno degli obiettivi principali individuati dal Pnrr, anche se per gli interventi legati al Recovery si continuerà a fare riferimento al precedente Decreto 50/2016. Poggia le basi sul principio del risultato (massima tempestività al migliore rapporto qualità/prezzo) e sul principio di fiducia. Punto centrale dell’intero impianto, la digitalizzazione. Per semplificare, velocizzare e sburocratizzare l’intero ciclo di vita dell’appalto: dalla programmazione dell’opera all’esecuzione finale, fino al saldo dell’ultima fattura. È stato stimato che per una gara si risparmieranno dai 6 ai 12 mesi. Una decisa spinta all’innovazione, dunque, che obbliga a trasparenza e partecipazione e che spaventa molte amministrazioni non ancora allineate sulle competenze che vengono ora richieste. E infatti nelle ultime settimane il portale dell’Anac è stato letteralmente “preso d’assalto” per bandire gare sottoposte ancora alle “vecchie” regole.
Affidamento diretto senza gara
Tra le tante novità introdotte, il sistema di procedure di affidamento che innalza a 150 mila euro l’affidamento diretto senza gara per i lavori e a 140 mila euro per i servizi e le forniture, anche senza consultazione di più operatori economici. I livelli di progettazione passano da 3 a 2: progetto di fattibilità economica e progetto esecutivo. Reintrodotto l’appalto integrato senza i divieti del vecchio Codice, fatta eccezione per la manutenzione ordinaria. Nasce la figura del Rup, responsabile unico del progetto: la responsabilità viene estesa a programmazione, progettazione, affidamento, esecuzione. Inserite novità sul pagamento diretto del progettista, sulla revisione prezzi e sulla qualificazione delle oltre 25 mila stazioni appaltanti. Estesa l’applicazione del Bim agli appalti superiori a 1 milione di euro dal 1° gennaio 2025.
Seppure tanto atteso, il nuovo Codice non piace però a tutti. Meglio, non piace in tutte le sue articolazioni. E da mesi trascina con sé moti di delusione e critiche. Ancora di più alla vigilia della sua efficacia. Critico il Cnappc, Consiglio nazionale architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori. Per il presidente Francesco Miceli, il nuovo Codice «risente del mancato recepimento di proposte avanzate dai professionisti che quotidianamente operano sul campo. Ascoltarli avrebbe suggerito che i risultati non si misurano solo sulla quantità, ma sulla qualità delle opere pubbliche: purtroppo, non sarà così». Per il Consiglio Nazionale degli Ingegneri «l’esito della riforma è molto deludente». Secondo il presidente Domenico Perrini: «Il Codice causerà una forte chiusura del mercato».
I paletti dell'Anac
Richiami arrivano anche dall’Autorità Anticorruzione. Pur apprezzando l’accelerata digitale e il rafforzamento di vigilanza collaborativa assegnato alla sua struttura, Anac individua alcune criticità. Se è infatti vero che nei contratti pubblici non basta fare presto ma occorre anche fare bene, piace poco all’Autorità Anticorruzione l’eccessivo ricorso alle deroghe e l’introduzione di soglie troppo alte. Giuseppe Busìa, presidente Anac, mette in guardia da scorciatoie rischiose: «La deroga non può diventare regola senza aprire a rischi ulteriori. In un tempo in cui, grazie all’impiego delle piattaforme di approvvigionamento digitale e all’uso di procedure automatizzate, è possibile ottenere rilevantissime semplificazioni e notevoli risparmi di tempo, accrescendo anche trasparenza e concorrenza, sorprende che per velocizzare le procedure si ricorra a scorciatoie certamente meno efficienti, e foriere di rischi. Tra queste, l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, specie per servizi e forniture, o l’eliminazione di avvisi e bandi per i lavori fino a 5 milioni di euro».
Busìa richiama poi l’attenzione del Parlamento sui rischi del “subappalto a cascata” (a discrezione della stazione appaltante e senza limiti). «Il ricorso al subappalto si rivela il più delle volte poco conveniente per la stazione appaltante, per i lavoratori e per le stesse imprese subappaltatrici. Senza considerare che costituisce troppo spesso la porta di ingresso per criminalità e mafie». Infine, denuncia Anac, «si è persa l’occasione di introdurre nel Codice, nonostante i numerosi solleciti, l’obbligo per gli operatori economici di dichiarare il titolare effettivo dell’impresa, rafforzandolo con adeguate sanzioni per l’omessa o la falsa dichiarazione. Gli enti pubblici devono conoscere i soggetti con cui intrattengono rapporti contrattuali, al di là degli schermi societari».
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