Quelle del prossimo 25 settembre saranno le diciannovesime elezioni politiche in Italia dal 1948 ad oggi. Un periodo lungo più di 70 anni, che ha visto succedersi 64 Governi, con una durata massima di 1.412 giorni giorni del secondo Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, dall'11 giugno 2001 al 23 aprile 2005, a una durata minima di 22 giorni del primo Governo Fanfani, dal 19 gennaio al 10 febbraio 1954. Numeri che rendono evidente una costante instabilità del quadro politico italiano che non ha mai visto un Esecutivo ricoprire l'intera legislatura.
In termini numerici c'è un altro dato che colpisce, se si analizza il periodo elettorale dal dopoguerra ai giorni nostri. È il numero dei sistemi elettorali via via introdotti, in particolare dagli anni 90 ad oggi. Se, infatti, per lungo periodo con le leggi del 1946 e del 1948 fu il sistema proporzionale a regolare le elezioni politiche, dal 1993 si moltiplicano le nuove leggi elettorali alla ricerca di un risultato che sembra però non convincere mai completamente: la legge Mattarella appunto del 1993, poi la legge Calderoli il cosiddetto "Porcellum" del 2005, l'Italicum del 2015 per quanto riguarda la Camera dei Deputati e poi dal 2017 il Rosatellum bis.
Nelle urne con il Rosatellum
A fine settembre si voterà proprio con questo sistema. Si potranno avere maggiori garanzie dal punto di vista della stabilità del futuro esecutivo? Per il professor Roberto D'Alimonte, politologo, docente alla Luiss «il Rosatellum in questa particolare elezione creerà una delle condizioni della stabilità di governo, ossia riuscirà a trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi. Il che vuol dire, stando ai sondaggi di oggi, che il centrodestra con il 45% più o meno dei voti, otterrà la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere».
Una condizione questa «rilevante per la stabilità di Governo, ma non sufficiente» secondo il professor D'Alimonte, che è tra l'altro fondatore del Cise della Università Luiss.
«La stabilità di Governo - spiega ancora D'Alimonte - dipende anche dalla cultura politica dei nostri partiti. L'Italia, a differenza della Germania, non è un Paese dove vige una cultura della stabilità. La stabilità sia politica sia economica non sono considerate un valore primario». E prosegue: «Se in Germania ci si mette due o tre mesi a fare un Governo di coalizione, si fissano le regole e poi i partiti che partecipano all'Esecutivo le rispettano consentendo la durata del Governo per l'intera legislatura, da noi le cose non vanno così».
Corta durata
Da qui una previsione non ottimista sul futuro del prossimo Governo italiano: «Nonostante il contributo che il sistema elettorale darà - osserva D'Alimonte - io ritengo che il prossimo governo farà la fine dei precedenti, ossia durerà poco. Tanto più che dovrà affrontare una situazione economica, finanziaria e sociale molto traumatica e questo creerà delle tensioni dentro il Governo, tra i partiti che non la pensano allo stesso modo, soprattutto la Lega e FdI, su come rispondere alla crisi energetica, su come affrontare il problema dei rapporti con la Russia. Non sono ottimista: il prossimo governo non sarà un governo stabile esattamente come quelli che l'hanno preceduto».
Verso l'ennesima legge elettorale
Poca stabilità, dunque, e, probabilmente, salterà anche fuori l'idea di una nuova legge elettorale, a giudicare anche dalle affermazioni dei leader politici, come ad esempio il segretario del Pd Enrico Letta, che in questi giorni ha parlato di "legge elettorale perversa".
«Non ci sono sistemi elettorali - ribadisce il professor D'Alimonte - che possano cambiare, in tempi rapidi, la cultura delle nostre elite di partito e neanche quella degli elettori». In realtà però, secondo il politologo della Luiss, una soluzione ci sarebbe e sarebbe, ancora una volta, una soluzione "made in Italy": «Bisognerebbe replicare a livello nazionale quanto è stato fatto nei Comuni e nelle Regioni, ossia un modello che io chiamo 'modello italiano di governo' che non esiste in altri Paesi».
Un modello italiano di Governo?
Lo spirito innovatore italiano sembra riguardare, infatti, anche il mondo della politica. «Negli ultimi 100 anni - spiega D'Alimonte - l'Italia è il Paese che ha prodotto le maggiori innovazioni politiche rispetto a qualunque altro paese al mondo. Il fascismo è stata una rilevante innovazione nella sfera della politica come anche la Democrazia Cristiana, il berlusconismo che ha anticipato per certi versi il trumpismo, il grillismo, primo partito internet di successo al mondo. Noi abbiamo innovato in maniera incredibile. E abbiamo innovato - aggiunge - anche inventandoci un modello di governo, che mette insieme elementi di presidenzialismo, l'elezione diretta del sindaco o del presidente della regione, con elementi di parlamentarismo, la sfiducia data ai Capi degli Esecutivi eletti direttamente dal popolo. Sindaci e presidenti di regione, infatti, scelti con l'elezione diretta possono essere mandati a casa dai consigli regionali o comunali. In questo caso però si torna a votare. L'asticella, quindi, è alta e questo è una condizione di stabilità».
Dunque, una legge che sia "una combinazione di tanti elementi": elezione diretta, sistemi elettorali che garantiscono la maggioranza dei seggi a chi viene eletto, possibilità di voto di sfiducia e automatismo di ritorno alle urne.
La stabilità condizione della responsabilità
Si tratta di modello «che ha consentito di stabilizzare i governi comunali e regionali. Durante la prima Repubblica i sindaci ed i presidenti di regione duravano in carica meno dei presidenti del Consiglio, oggi, nella stragrandissima maggioranza dei casi, durano cinque anni e sono in condizioni di dimostrare quello che sanno fare o meno». Stabilità dunque ma anche responsabilità del proprio operato su cui si deve rendere conto. «Se un sindaco dura 8 mesi come lo si può ritenere responsabile di qualcosa? Quando un Presidente del Consiglio dura in carica un anno e mezzo come gli si può chiedere conto di quanto ha fatto o non fatto. La stabilità è una condizione della responsabilità. Ti faccio stare al Governo 5 o 10 anni e in questo modo ti posso poi giudicare a ragion veduta per quello che hai fatto o meno. Questa è educazione alla democrazia. La stabilità, lo ripeto, è una delle condizioni dell'apprendimento democratico».
Se è questa la soluzione, perchè non si è fatto? La risposta del professor D'Alimonte è netta: «Domina la paura del tiranno, il timore della deriva autoritaria. Ci ricordiamo ai tempi di Renzi le affermazioni di Zagrebelsky, Settis e Montanari, tanto per citare alcuni, sulla deriva autoritaria?». Un pericolo reale? «Oggi per quanto mi riguarda, e nonostante tutto, ho più fiducia negli elettori che negli attuali partiti», conclude il professor D'Alimonte.
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