Si è rivelato tutto un po’ strano in questa Italia post-pandemica del voto anticipato e dalla campagna elettorale estiva. Guccini che vota Casini, per dire: costretto dall’orrendo Rosatellum, certo, eppure mai avremmo immaginato. Adesso, però, che ci sono i dati sostanzialmente definitivi bisogna pedalare in fretta per il bene dell’Italia. Questa volta i sondaggi avevano azzeccato le previsioni. L’Italia ha svoltato a destra, con un successo personale e di partito per Giorgia Meloni. Non è una sorpresa. E le tecniche degli istituti demoscopici hanno funzionato ed è un primo dato.
Bene per la democrazia, dunque, anche se la percentuale degli astenuti è sempre più preoccupante (cliccando qui i risultati aggiornati in progress dal ministero dell'Interno). L'atteggiamento di chi non si presenta alle urne, pur se comprensibile, non è un segnale giusto: perché i prossimi cinque anni non «saranno la stessa solfa come sempre». La maggioranza che è emersa potrebbe cambiare in modo significativo il nostro assetto repubblicano, a partire dal presidenzialismo. Non deraglieremo, gli antidoti costituzionali ci sono, anche se rispetto all’Europa e all’alleanza atlantica bisognerà monitorare con attenzione l’evoluzione. Madame Le Pen, Orban e Vox sono molto eccitati, non bisognerà compiacerli (riusciranno?).
La stampa e l’informazione, pur se molto frammentate, avranno una responsabilità in più (riusciranno?).
Le priorità invernali
Ecco, la responsabilità civica. Dovremmo spegnere in fretta il vociare dei dibattiti. Ogni forza politica si ritiri per le analisi, specie gli sconfitti (Letta e il Pd, in particolare, ma anche Salvini e la Lega, e, in parte, il cosiddetto Terzo Polo). Ma ripartiamo subito, scegliendo figure adatte a guidare Camera e Senato e formando un Governo adeguato. A scanso di equivoci, per non ritrovarci come nel 2011 quando arrivò Mario Monti con tutto ciò che ne seguì. Se non fosse caduto Draghi, adesso staremmo ragionando sulla legge di bilancio. Ma tant’è. Bisogna impostare gli anni a venire, affrontare la crisi internazionale, l'inflazione, la guerra alle porte dell'Europa, l'emergenza climatica.
Sempre più vecchi
La nostra economia – quindi, il nostro futuro – non può permettersi dilettanti allo sbaraglio. Proviamo a mettere in fila alcuni elementi che dovrebbero diventare dirimenti. Il primo è l’inverno demografico. Pochi giorni fa l’Istat ha diffuso il report sulle previsioni della popolazione residente e delle famiglie. Nulla di nuovo, ma non possiamo far finta di nulla. Siamo in decrescita pesante: da 59,2 milioni di residenti al primo gennaio 2021 a 57,9 milioni nel 2030, per diventare 54,2 milioni nel 2050 e 47,7 milioni nel 2070. Soprattutto, saremo sempre più vecchi. Non nascono più bambini ed entro il 2050 le persone over 65 anni potrebbero rappresentare quasi il 35% della popolazione.
Le conseguenze
Servono politiche per la famiglia. Avremo da prevedere fin d’ora come assistere i nostri anziani, con un welfare che non ha più risorse come nel secolo scorso, una sanità da rimettere in sesto fin da subito (per non portarla all’implosione) e famiglie che non sono in grado, se non sostenute, di reggere l’urto del caregiving. Sentiamo già ora, inoltre, l’affanno per il sistema pensionistico. E i giovani non sono dell’idea di dover restare in un’Italia che fa pagare loro l’assegno mensile per chi non lavora più sapendo che, alla fine, non ci sarà per loro lo stesso trattamento.
Le nuove generazioni
La destra che guiderà l’Italia dovrà dunque prestare molta attenzione al tema dell’immigrazione. Con la testa, non con la pancia (riusciranno?). Vigilanza e attenzione sugli sbarchi sono necessarie, ma lo sono altrettanto le politiche di integrazione che consentano alla nostra società di poter contare su nuove generazioni disposte a costruirsi un avvenire nelle nostre città.
Siamo un Paese migliore di quello che sembra. Consiglio a tutti di ascoltare “Storia del mio nome”, un podcast che racconta la vicenda di Sabrina Efionayi, che si può trovare anche nel volume pubblicato questa primavera dallo Struzzo (Sabrina Efionayi, «Addio, a domani». La mia incredibile storia vera, Einaudi, Torino, 2022). C’è tutto per capire ciò che serve. Per non essere indifferenti, per diventare civili, per guardare lontano.
I banchi di scuola
L’istruzione è l’altro fronte del futuro che va subito affrontato (riusciranno?). Con intelligenza e con un sindacato che deve scendere dalle barricate costruite su posizioni di retroguardia. È molto interessante il report di pochi giorni fa della Fondazione Agnelli: non è vero, dice, che spendiamo poco per la scuola, spendiamo male. «Investire sull’istruzione in Italia è decisivo per il nostro futuro e la scuola dovrà essere al centro dell’attenzione del nuovo Governo – raccomanda il direttore della Fondazione Agnelli, l’economista Andrea Gavosto –. La percezione diffusa che l’Italia per la scuola spenda meno degli altri paesi europei non è corretta. La nostra percentuale di spesa pubblica sul Pil è, infatti, allineata alla media europea, per quanto riguarda scuola dell’infanzia, primaria e secondarie. Anzi, se guardiamo alla spesa per ogni singolo studente dai 6 ai 15 anni, si scopre che l’Italia supera la media europea e paesi come Francia e Spagna. È piuttosto sull’università che spendiamo meno».
Economia e populismo
Ce n’è da fare, lo sappiamo bene. Ma adesso dobbiamo metterci a pedalare tutti, spegnendo il più in fretta possibile le chiacchiere da bar. Convincendoci che, pur nella diversità delle idee, se non si lavora insieme non costruiamo un bel niente per i nostri figli. Volevo citare il discorso di Papa Bergoglio ad Assisi, nell’evento del fine settimana in cui ha riunito giovani economisti e imprenditori per discutere sul futuro del pianeta e del paradigma economico da cambiare. Bello il suo argomentare, tuttavia – confesso – sono rimasto molto deluso dal passaggio fuori registro in cui invita a guardare le «facce tristi» dei giovani e delle giovani che studiano «nelle università ultra-specializzate in economia liberale», per dire che sono volti cupi, pessimisti, cinici. Non credo che siano così. Semmai, giusto per non creare muri, vanno invitati a ragionare insieme di futuro, no?
L'economia deve ispirare una seria politica industriale, monetaria e fiscale. Riusciranno a parlarne con Bruxelles?
Qui il punto è che dobbiamo bandire i populismi e l’ignoranza ovunque si annidino. Marco Revelli, nel suo saggio «La politica senza politica. Perché la crisi ha fatto entrare il populismo nelle nostre vite» (Einaudi, 2019), ha scritto che «Non è facile spezzare la spirale che dall’emulazione competitiva degenera in invidia sociale e rancore». Bisognerà farlo se si vuole guardare l’Italia di domani con gli occhi di chi ha bisogno e, soprattutto, dei nostri figli.
Mettiamoci tutti a pedalare. Subito.
Ps: dimenticavo, rimettete mano tutti voi nuovi parlamentari, tutti, a una legge elettorale che sia decente, grazie
© Riproduzione riservata