Il commercio marittimo mondiale aumenterà dell'1,8% nel 2023 portandosi a 12,2 miliardi di tonnellate per poi crescere ancora del 3,1% al 2024 e vale circa il 12% del Pil  globale. E L’Italia continua a giocare un ruolo rilevante sul mare, considerando che la cosiddetta Blue economy ha superato i 52,4 miliardi di euro crescendo di oltre 10 miliardi in 10 anni ed è una volta e mezzo quello dell’agricoltura e quasi l’80% del valore aggiunto dell’edilizia, con una base imprenditoriale di oltre 228 mila aziende e una occupazione di 914 mila addetti.

I dati del settore sono stati presentati oggi a Napoli da Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) in occasione del decimo Rapporto annuale Italian Maritime Economy, intitolato quest’anno “Porti, shipping e logistica al centro dei nuovi scenari del Mediterraneo: 10 anni di analisi, dati e riflessioni sulla competitività del settore e sul ruolo dell’Italia”.

Il rilievo della Blue economy in Italia parte dal fatto che i porti svolgono un ruolo fondamentale di supporto all’internazionalizzazione dato che in Italia circa il 40% degli scambi di import-export avviene via mare per 377 miliardi di euro a fine 2022, con un aumento del 66% nel decennio. L’Italia importa via mare prevalentemente dalla Cina ed esporta soprattutto verso gli Usa. In particolare, l’industria italiana è posizionata via mare sui mercati esteri soprattutto nei settori macchinari, raffinati, prodotti chimici e mezzi di trasporto, che valgono circa il 60% del import-export marittimo totale. Complessivamente, i porti italiani nel 2022 hanno movimentato oltre 490 milioni di tonnellate di merci, con un incremento dell’1,9% sul 2021 e dello 0,2% sul 2019. Nel corso degli ultimi 10 anni la movimentazione dei porti italiani (+7%) si è mantenuta costante ma a cambiare è stata soprattutto la composizione della tipologia di merce che viaggia sul mare con il sorpasso del segmento Ro-Ro sui container, segmento che dal 2013, il settore è cresciuto di circa il 55% (contro una crescita del totale delle merci di circa il 7%). Tale traffico si configura come vera e propria autostrade del mare e ha permesso di garantire sostenibilità al Paese attraverso il connubio intelligente con la strada e il ferro. Tant’è che il risparmio in termini di CO2 eliminata, solo nel trasferire traffico dalla strada al mare,  è stato nel 2022 di circa 2,2 milioni tonnellate su un percorso medio di 800 km e se ne stimano 2,4 milioni abbattuti nel 2023. Inoltre, il 56% del Ro-Ro avviene nell’ambito dei porti italiani mentre il restante 44% è scambiato con l’estero e prevalentemente con Grecia, Turchia e Spagna.

«Come evidenzia il Rapporto di quest’anno,  le imprese italiane – spiega Massimo Deandreis, direttore generale Srm - esportano ed importano con le navi il 40% delle loro produzioni e  il valore aggiunto dell’economia marittima nel nostro Paese supera i 50 miliardi di euro. Un settore che nel Sud trova un’espressione di eccellenza nei settori portuale e armatoriale. Le nuove sfide della sostenibilità della digitalizzazione e dei carburanti alternativi avanzano in modo impetuoso e dobbiamo farci trovare pronti per mantenere ed accrescere la nostra competitività».

L’energia viaggia per mare

Proprio in tema energetico, sempre più centrale per l’economia e la società civile italiana, la sicurezza e la diversità dell'approvvigionamento energetico sono ora una priorità per l’Italia. Il nostro paese, dunque, è stato spinto a trovare nuovi fornitori di Oil&Gas nell’area del Mediterraneo allargato (dall’Algeria ai Paesi Arabi) e nelle Americhe (Venezuela) e quindi vi è stato un maggior trasporto soprattutto di gas via mare. L’incremento notevole si è registrato nel trasporto di Gnl (34,7%). La nuova sfida dei porti italiani è dunque quella di diventare hub della transizione energetica, integrati con le aree produttive.  Si stimano 5 anni per fare dell’Italia il ponte Mediterraneo del gas attraverso 7 rigassificatori in prossimità dei porti e 5 gasdotti da sud volti a far transitare circa 50 miliardi di metri cubi di Gnl e fino a 90 miliardi di gas (a pieno regime) per un totale di 140 mld di metri cubi.

«Le tematiche presentate oggi - ha spiegato Gian Maria Gros-Pietro, Presidente Intesa Sanpaolo - rivestono un ruolo fondamentale per il futuro del nostro Paese e dell’Europa, così come per i nuovi assetti di una manifattura alle prese con forme di riorganizzazione logistica delle catene del valore, bisognose di una capacità di analisi ad altissimo livello di specializzazione, come quella garantita da un Gruppo come il nostro».

Mezzogiorno in gran spolvero

In questo contesto, i porti del Mezzogiorno si confermano leva strategica per la crescita del territorio. Infatti, con un contributo al traffico merci del 46% anche nel 2022 (invariato rispetto al 2013) pari a 226 milioni di tonnellate, il Mezzogiorno esprime in tutti i comparti del marittimo valori di peso percentuale molto superiori a quelli di PIL (22%), di numero di imprese e di addetti. Infatti, il traffico via mare nel Mezzogiorno ha più valore per il territorio: l’import-export via mare ha raggiunto 84,4 miliardi di euro con un balzo del 41% sull’anno precedente su totale del traffico è pari al 69% contro una quota quasi del 40% dell’Italia. I dati del 2022 segnano poi “una conferma degli scali meridionali” sempre presenti tra i primi posti in classifica nelle diverse tipologie merceologiche; Cagliari, Augusta e Milazzo rispettivamente 2°, 3° e 4° porto in Italia nel segmento energy, Taranto 2° nelle solide e nel general cargo, Brindisi 4° nelle solide, Salerno e Catania 4° e 5° per il Ro-Ro, e benissimo Gioia Tauro che con le performance del segmento container, 1° in Italia, tiene in alto i numeri del Paese. I porti del Mezzogiorno giocano, poi,  un ruolo chiave sul comparto “Energy” (petrolio greggio e raffinato) rappresentando il 48% dei rifornimenti e delle esportazioni petrolifere via mare del Paese ed essendo il terminale di importanti pipeline dal Nord Africa e dall’Asia.

Il ruolo crescente dell’Asia

Ma se il business cresce, l’area che più approfitta della congiuntura positiva è l’Asia; infatti, dei primi 20 porti container mondiali, che nel 2022 hanno movimentato 383 milioni di TEU (44% del totale mondiale),  8 sono cinesi e altri 6 asiatici. Ciò tuttavia non impedisce al Mediterraneo di essere sempre più centrale con la spinta di Suez. Infatti, oltre 23.400 navi sono transitate nel 2022 con entrate per l’Egitto pari a 8 miliardi di dollari (+ 25% rispetto al 2021). Ma Suez è anche un importante checkpoint nel commercio alimentare dato che vi transita il 14,6% delle importazioni mondiali di cereali e il 14,5% delle importazioni mondiali di fertilizzanti. Prosegue, intanto, la corsa al gigantismo navale: la flotta di containership di dimensioni superiori ai 15mila Teu, si stima aumenterà del 26%, del 22% e del 12% rispettivamente nel 2023, 2024 e 2025.

E che il mercato si stia regolarizzando, lo dimostrano i prezzi dei noli che sono tornati quasi in linea con i valori pre-pandemia. Lo Shanghai Containerized Freight Index (Scfi), infatti, dopo aver sfondato il picco storico dei 5.000 punti a gennaio 2022, è sceso sotto quota 1.000 a giugno 2023. Intanto, avanzano gli Alternative Fuels. Il 47,7% di tutti gli ordini nei cantieri a luglio 2023 è relativo a navi che utilizzano combustibili alternativi (nel 2017 questa quota era solo del 10,7%) e le navi a Gnl rappresentano il 39% e quelle a metanolo il 5,4%.