Le famiglie italiane sono come un’azienda con quasi un milione di dipendenti, ovvero colf, badanti e babysitter in possesso di un regolare contratto. Questa è la dimensione del lavoro domestico, ma si stima che un altro milione sia “in nero”. Un mondo articolato e in evoluzione, spesso snobbato dallo Stato, che da anni non concede misure per la piena defiscalizzazione o la detraibilità del costo sostenuto. Un problema sempre più urgente, con la popolazione anziana in aumento e bisognosa di assistenza.
I numeri
Il lavoro domestico, dunque. Risulta in forte crescita, soprattutto nell’ultimo anno. E lo è a motivo delle regolarizzazioni degli stranieri che sono state sospinte dalla pandemia anche se i tempi di completamento burocratico delle pratiche, che arrivano a superare l’anno, sono eccessivi.
Nel 2020 i lavoratori domestici per i quali sono stati registrati versamenti contributivi all’Inps – come mette in luce il Rapporto redatto dall’istituto di previdenza – sono a quota 920.722, con un incremento rispetto al 2019 pari a +7,5% che significa 64.529 lavoratori in più. Un andamento che fa registrare per questa categoria livelli occupazionali che interrompono una tendenza costantemente decrescente iniziata nel 2013.
Il 22 maggio 1974 venne firmato il primo Contratto collettivo nazionale sulla disciplina del lavoro domestico. L’ultimo rinnovo – il decimo da allora – è stato siglato l’8 settembre 2020. Prevede una serie di garanzie e di tutele sia per colf, badanti e babysitter, sia per i datori di lavoro. Chi è regolarmente assunto, tra l’altro, può beneficiare della assistenza integrativa di Cas.Sa.Colf, organismo paritetico composto per il 50% dalla Fidaldo (Federazione italiana datori di lavoro domestico) e Domina e per l’altro 50% dalle organizzazioni sindacali Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, UilTuCs e Federcolf.
Sono due gli elementi che hanno maggiormente influenzato l’incremento del 2020: il lockdown seguito alla prima ondata di diffusione del Covid-19, che ha reso necessario instaurare rapporti di lavoro regolari per consentire al lavoratore di spostarsi liberamente per motivi di lavoro; successivamente, è intervenuta la norma che ha regolamentato l’emersione di rapporti di lavoro irregolari contenuta nel D.L. n.34 del 19/05/2020 (decreto “Rilancio”), che ha interessato prevalentemente i lavoratori stranieri e i cui effetti probabilmente si estenderanno anche al 2021.
Più contratti in regola
«Certamente l’impennata è dovuta al lockdown», spiega l’avvocato Alfredo Savia, presidente di Nuova Collaborazione, la storica associazione nazionale dei datori di lavoro domestici fondata nel 1969. Savia è anche presidente della Fidaldo, la federazione che riunisce, oltra a Nuova Collaborazione, anche le altre datoriali Assindatcolf, A.D.L.D. e da A.D.L.C.
«La ragione è semplice – prosegue –: senza un regolare contratto i lavoratori non potevano muoversi da casa loro e raggiungere il posto di lavoro. Quindi la messa in regola era lo strumento inevitabile per consentire ai collaboratori la mobilità e questo ha fatto sparire parte del “nero” presente nel comparto».
Però, aggiunge Savia, «c’è stato il fenomeno della regolarizzazione dei rapporti di lavoro preesistenti e qui, nonostante la buona risposta dei datori di lavoro con circa 170mila richieste, i tempi burocratici sono davvero eccessivi e si arriva a superare l’anno e nel frattempo molti lavoratori domestici hanno scelto altre strade o di vita o di lavoro».
Che la regolarizzazione stia andando molto a rilento lo conferma anche il segretario generale di Domina Lorenzo Gasparrini. «Il numero dei contratti indicato dall’Inps è calcolato per difetto, non tiene conto delle migliaia di regolarizzazioni dei rapporti irregolari: peraltro, vista la fortissima presenza di lavoratori stranieri sarebbe utile fornire dei permessi di soggiorno temporanei che favorirebbero la regolarità del rapporto stesso».
Sul territorio: la percentuale dei lavoratori domestici per aree (anno 2020)
Dalla serie storica degli ultimi sei anni elaborata dall’Inps, si nota che la diminuzione del numero di lavoratori domestici riscontrata fino al 2019 è simile tra uomini e donne, anche se la composizione per genere evidenzia una netta prevalenza di donne, il cui peso sul totale è aumentato nel corso del tempo, fino a raggiungere nel 2019 il valore massimo degli ultimi sei anni, pari all’88,6%. Nel 2020 la distribuzione territoriale dei lavoratori domestici in base al luogo di lavoro rivela che il Nord-Ovest è l’area geografica con il maggior numero di presenze (30,2%), seguita dal Centro con il 27,3%, dal Nord-Est con il 20,3%, dal Sud con il 12,7% e dalle Isole con l’9,5%. La regione che presenta il maggior numero di lavoratori domestici è la Lombardia, con 172.092 lavoratori nel 2020, pari al 18,7%, seguita da Lazio (13,8%), Emilia-Romagna (8,7%) e Toscana (8,6%); nelle 4 regioni appena citate si concentra quasi la metà dei lavoratori domestici in Italia.
La composizione dei lavoratori per nazionalità mostra una forte prevalenza di lavoratori stranieri, che nel 2020 sono il 68,8% del totale, quota che però continua la tendenza decrescente iniziata dal 2013. Rispetto all’area geografica di provenienza nel 2020 l’Europa dell’Est continua ad essere la zona di origine della maggior parte dei lavoratori domestici con 351.684 lavoratori pari al 38,2% del totale dei lavoratori domestici, seguiti dai 287.610 lavoratori di cittadinanza italiana (31,2%) e dai lavoratori delle Isole Filippine (7,3%) e del Sud America (7,29). Cresce il peso dei lavoratori italiani e i dati del triennio 2018-2020 mostrano una tendenza più dinamica e generalizzata su tutte le Regioni per i lavoratori domestici italiani, con una crescita del 14,9%. La maggior parte dei lavoratori domestici italiani lavora in Sardegna (13,7%). A livello regionale nell’ultimo anno i lavoratori domestici italiani aumentano in tutte le regioni con tassi di variazione generalmente tra il 10% e il 20% ad eccezione di Sardegna (+2,8%), Trentino-Alto Adige (+5,8%) e Lazio (+8,9%). Gli incrementi più consistenti dei lavoratori domestici italiani tra il 2019 e il 2020 si registrano in Basilicata (+31,8%), Sicilia:, Puglia (+23,9%) e Abruzzo (+21,1%).
Obiettivo: la detrazione fiscale dei costi del lavoro
Il mondo dei datori di lavoro ha un obiettivo ben preciso che insegue con grande fatica da anni e su cui i vari Governi non hanno mai avuto una grande capacità di visione, come spesso sui temi della famiglia. Anche allo scopo di far emergere il lavoro nero, attualmente ancora molto diffuso, la proposta è quella di poter detrarre dalle tasse, o dedurre dal reddito, il costo sostenuto per le retribuzioni del lavoro familiare, deduzioni ora consentite soltanto per i contributi previdenziali a favore delle colf. «Sarebbe una strada per far emergere lavoro nero – spiega Lorenzo Gasparrini – e allo stesso tempo far pagare le imposte a un settore del lavoro che resta ai margini del prelievo fiscale. Sono anni che sottoponiamo la questione alle forze politiche e sappiamo che il ministro del Lavoro Andrea Orlando ne è al corrente. Non disperiamo di poter far entrare la questione nel novero della riforma fiscale».
Una richiesta condivisa anche da Nuova Collaborazione che da tempo sollecita il Governo in questa direzione.
«Continueremo su questa strada con determinazione – conclude Alfredo Savia, presidente di Nuova Collaborazione e della Fidaldo –, convinti che il sostegno al nostro settore e alle famiglie sia un modo per migliorare il Paese».
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