In termini biomedici, la demenza non è una malattia, ma una sindrome prodotta in larga misura da patologie cliniche quali Alzheimer, Parkinson, e affezioni vascolari, per menzionare solo le più note. Si tratta di una serie di sintomi e di segnali legati al deteriorarsi delle abilità e competenze cognitive, che più spesso, non sempre, colpisce soggetti in età anziana. L’etimo stesso – dal latino de-mens - suggerisce peraltro una deprivazione e, se si segue l’orientamento del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders IV (Dsm-IV), una forma di demenza può essere causata o caratterizzata dallo “sviluppo di molteplici deficit, che possono manifestarsi in disturbi della memoria, e in uno o più dei seguenti disturbi cognitivi: afasia, aprassia, agnosia, disturbi delle capacità esecutive".
La parola “demenza”, dunque, raccoglie e contiene una serie di caratteristiche rappresentative di un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive, il cui resoconto non può essere catturato in modo inequivocabile e esaustivo da un ordinario processo di invecchiamento, e che può avere un impatto decisivo sulle attività quotidiane delle persone. È sicuramente questa condizione di eccezionalità la prima ragione che giustifica l’esistenza di un modello di realtà urbana come quello del Paese ritrovato, uno spazio riservato all’accoglienza di persone affette da varie forme di demenza o da Alzheimer pensato, progettato e realizzato nel giugno 2018 dalla Cooperativa “La Meridiana”, con sede a Monza. Ma da dove nasce l’idea?
All'inizio fu Amsterdam
L’idea nasce nei paesi del Nord Europa: negli ultimi venti anni di questo secolo si sono infatti evoluti approcci e modelli di cura nuovi, più specialistici e person-centred: nel 2009 a Weesp, nei pressi di Amsterdam, venne inaugurato “De Hogewyek”, il primo e (allora) unico villaggio per residenti affetti da una forma di demenza. De Hogewyek e Weesp sono riusciti a dar forma, nel corso di pochi anni, a un nuovo paradigma organizzativo capace di tradurre efficacemente nella pratica l’obiettivo di ridurre quanto più possibile la medicalizzazione nella cura delle persone colpite da Alzheimer e da altre forme di demenza. Weesp è stato il primo “villaggio-Alzheimer” pilota; seguito, nel giugno 2018, da un secondo villaggio nei pressi di Dax, cittadina di 20 mila abitanti situata nella parte sud-occidentale della Francia, nelle Landes francesi, e da un progetto simile in cantiere per Oslo, Norvegia. Ispirandosi anche a questi modelli, la Cooperativa la Meridiana, nata nel 1976 con sede a Monza, ha messo a punto un progetto finalizzato alla realizzazione di un centro riservato all’accoglienza di persone affette da varie forme di demenza o da Alzheimer. Il centro è stato pensato come un piccolo paese, così da permettere agli ospiti di condurre una vita quotidiana e di sentirsi a casa, ricevendo nel contempo le cure necessarie. L’idea, anche in questo caso, è stata quella di realizzare un vero e proprio villaggio, con appartamenti e servizi comuni quali teatro, bar, market, chiesa, parrucchiere, laboratorio, palestra, orto, spazi verdi comuni. In tutti gli spazi sono previsti controlli non invasivi, allo scopo di monitorare i soggetti, mentre il personale clinico in servizio, grazie a una formazione specifica e continua, è in grado di riconoscere ogni bisogno, e garantire adeguati interventi, mirati e nel contempo rispettosi dell’autonomia residua delle persone.
Cinque anni fa il primo ingresso
Dal momento della definizione del progetto – giugno 2015 – all’ingresso del primo ospite – giugno 2018 – sono trascorsi solo tre anni, nei quali il Paese Ritrovato, insieme a Roberto Mauri (già direttore generale della cooperativa La Meridiana, titolare del progetto, della sua realizzazione, della gestione e implementazione del villaggio, oggi presidente del cda) si è mosso tra percorsi autorizzativi, ricerca di sostenitori, e lavori. Il Paese Ritrovato è anche il prodotto di sinergie con gli enti pubblici quali Regione Lombardia, il Comune di Monza e l'Ats Brianza, enti che hanno proficuamente collaborato nella definizione del progetto. «Troveranno una forma di integrità, sociale, umana. Faranno i loro acquisti, andranno dal parrucchiere, al bistrò, al ristorante, a teatro. Si divertiranno. Ciò che costituisce una forma di terapia straordinaria» Il neurologo Jean-François Dartigues sintetizza così gli effetti auspicati dal modello rappresentato dal Paese Ritrovato, un villaggio che rivoluziona il modo di intendere la cura e l’assistenza, che offre alle persone malate la possibilità di vivere in libertà e al tempo stesso di usufruire della necessaria assistenza e protezione.
Dentro "Il Paese Ritrovato"
Ad un primo sguardo sembra tutto ‘normale’: il “Paese Ritrovato” è in grado di ospitare 64 persone e sorge su un un’area di oltre 14 mila mq, di cui 5.350 mq calpestabili (la parte costruita). Mettendo l’architettura e l’innovazione tecnologica in sinergia insieme alle nuove strade di cura e gestione della malattia, il Paese Ritrovato riproduce gli elementi di un piccolo pezzo di città, internamente libero per gli ospiti ma chiuso e protetto verso l’esterno, in cui i residenti possono ritrovare luoghi e funzioni della vita quotidiana. Mentre il personale sanitario e gli assistenti (più di 50, selezionati secondo criteri che prevedono adeguata e specifica formazione) sono presenti senza indossare camici bianchi né divise da lavoro, i malati vivono in residenze distribuite all’interno di piccoli edifici (in tutto otto appartamenti di 420 mq ciascuno – per un totale di 3.360 mq - con otto camere singole ciascuno, e ogni appartamento servito da spazi comuni come cucina, sala da pranzo, terrazzi e porticati). Gli spazi comuni esterni occupano un’area di 450 mq, suddivisi da vie, piazze, giardinetti, negozi, e luoghi pubblici, di incontro, lavoro, svago, attività fisica.
Tra domotica e sensori
All’interno del perimetro del “villaggio”, gli anziani sono liberi di muoversi come meglio credono. Possono anche uscire ma, per la loro sicurezza, solo se accompagnati. Gli abitanti del Paese Ritrovato sono costantemente supportati da personale specializzato e seguiti attraverso dispositivi non invasivi sia di tipo ambientale (domotica avanzata) sia di tipo fisiologico (sensori indossabili), affinchè sia garantito contemporaneamente un adeguato sostegno all’autonomia residua e un aiuto nelle difficoltà quotidiane. Il progetto percettivo legato alle luci, per fare solo un esempio, è il segnale della prospettiva person-centered più sopra menzionata: l’organizzazione degli ambienti luminosi si è sviluppata in relazione alle qualità percettive riferite al colore di ambienti, degli arredi e delle componenti segnaletiche. È l’aspetto fisico di un oggetto che permette alla persona di dedurne le funzionalità o i meccanismi di funzionamento, la cosiddetta affordance. Più alta è l’affordance, più sarà automatico e intuitivo l’utilizzo di un dispositivo, di uno strumento, di un oggetto. Essendo la componente percettiva fortemente influenzata dalla luce, ogni attività di progetto è stata svolta in coordinamento con il progetto della luce artificiale. La luce aiuta ad identificare confini visivi, la luce aiuta a percepire profondità, la luce aiuta a comprendere planarità. Il suo progetto aiuta la comprensione anche locativa e direzionale di persone, oggetti, ambienti. Da anni ormai risulta comprovato che l’illuminazione artificiale, in coesistenza, o meno, con l’illuminazione naturale è un fattore importante nella gestione delle persone con demenza, ove si consideri la necessità di compensazione del ritmo circadiano.
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