Una riforma mal fatta che non risolve i problemi della giustizia tributaria (essenzialmente concentrati nel giudizio di Cassazione) né fa bene al contribuente. Anzi, farà fare notevoli passi indietro al sistema normativo, attraverso norme di dubbia costituzionalità, che comunque comportano un depauperamento delle garanzie del contribuente. Tutto l’opposto di quel che ci voleva. Non ha dubbi Angelo Gargani, Garante del contribuente del Lazio e presidente dell’Associazione nazionale garanti del contribuente: la riforma proposta dalla legge 130/2022 è tutta da riscrivere.
Dottor Gargani, qual è il primo limite della legge 130/2022?
«La prima cosa che colpisce è che non fa alcun richiamo allo Statuto del contribuente, che dovrebbe essere la stella polare per ogni legislatore nel disciplinare la materia fiscale. Anzi il testo è un continuo richiamo ad abrogazioni, modifiche e sostituzioni di articoli e commi di precedenti leggi, che creano confusioni e disorientamento anche agli addetti ai lavori. Tutto ciò in dispregio dell’art.2 dello Statuto che impone chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie. Ignorato, ovviamente, anche il Garante del contribuente, la cui scarsa conoscenza da parte dei cittadini ed il suo limitato potere, gli impedisce di svolgere a pieno il ruolo che lo stesso Statuto gli assegna e che consiste principalmente nel sorvegliare affinché i rapporti tra fisco e contribuente siano improntati al principio della buona fede e collaborazione. Una legge di tale portata approvata a camere sciolte non ha precedenti nella storia parlamentare».
Però debutta il giudice professionale tributario. Sulla carta sembra una buona idea…
«Non credo proprio. E’ stato messo in campo un giudice professionale a tempo pieno, vincitore di concorso, ma di serie B. Infatti non gli vengono attribuite tutte le guarentigie che la Costituzione e la legge assicura agli altri magistrati. Prima si pongono i presupposti per avere un giudice indipendente e poi si decidono le modalità di accesso. Gerarchia di principi di ordine costituzionale oltre che di ordine logico e temporale. Le “vecchie” Commissioni tributarie avevano una composizione eterogenea con la presenza di giudici ordinari e speciali nonché di esponenti di varie professioni. L’incontro o lo scontro tra diversi saperi è stata la felice intuizione che ha dato indiscutibilmente risultati positivi. Negli ultimi venti anni è stato eliminato un arretrato di cinque milioni di ricorsi e soltanto il 10% circa delle sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali vengono impugnate in Cassazione, il che vuol dire che il 90% del contenzioso di merito viene accettato dalle parti, pubblica e privata».
E allora dove stava la patologia da correggere?
«La più grave è proprio quella cui accennavo. La giustizia tributaria continua ad essere gestita, ed ora in maniera più incisiva, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, pur essendo parte sostanziale in ogni ricorso, fornisce mezzi e personale per il suo funzionamento. Questa, nella realtà e nell’apparenza non si chiama indipendenza dei giudici. Con la legge in esame ci si aspettava un massiccio intervento volto ad eliminare questa vera e propria anomalia che, anche sul piano dell’apparenza, condiziona l’immagine della terzietà del giudice».
Che tipo di giudice o di giurisdizione le sarebbe piaciuto?
«Una giurisdizione tributaria che, con il suo inserimento nell’art.103 della Costituzione, sarebbe stata accostata alle altre giurisdizioni speciali (amministrativa, contabile e militare), con le stesse garanzie, come quella ad es. di raccordo con la presidenza del Consiglio dei ministri. Ma sul giudice professionale, tenuto conto della sua specificità e del fatto che c’era già un sistema misto che funzionava e che comunque andava migliorato, le mie perplessità sarebbero rimaste tutte. Sembra che vi sia una larga condivisione su questa inversione di rotta, ma nessuno ne ha spiegato le ragioni vere. Anzi, nei vari scritti e convegni persino i proponenti la riforma, dopo essersi sempre ed ampiamente dilungati nel tessere gli elogi di questi giudici tributari (in particolare i non togati), del funzionamento delle Commissioni tributarie, dei tempi brevi di durata dei ricorsi di primo e secondo grado, concludevano dando per scontata la ineluttabilità di questa riforma».
Un giudice professionale appare la scelta migliore…
«Non condivido la filosofia di fondo, basata sul principio che il giudice professionale sia la soluzione ottimale per dare un assetto istituzionale a tutte le giurisdizioni perché appare superata specie se si guarda alla situazione attuale in cui versa soprattutto la giustizia ordinaria. Il giudice che gode in maniera impropria di una persistente e permanente autoreferenzialità ha finito per ergersi a moralizzatore della società al fine di far prevalere il bene sul male in base anche ad una sua visione politica. Ora avvia addirittura indagini che si prefiggono accertamenti anche di natura scientifica, sociale e sociologica ecc. indagini che esorbitano dal suo potere, senza che tutto ciò possa comportare una qualche responsabilità. Peraltro, gli esperti ed i consulenti, che pure forniscono valutazioni scientifiche, finiscono spesso per lavorare invano, poiché il giudice essendo peritus peritorum, può sempre prescindere nella decisione dalle soluzioni tecniche proposte. Insomma si avverte sempre di più l’esigenza di una partecipazione nell’amministrazione della giustizia di altre componenti professionali e sociali, come peraltro prevedono gli artt.102 e 104 Cost. La prevista introduzione del giudice monocratico che avrà la competenza sui ricorsi di valore fino a 5000 euro non contribuirà certo a mitigare questa autoreferenzialità né a rafforzare la certezza del diritto, oggi in crisi. Sembra che i contribuenti meno benestanti, perché mediamente sono loro che propongono liti di valore modesto, non abbiano diritto alle stesse garanzie degli altri come quella della camera di consiglio in cui c’è comunque un confronto, un dibattito».
Che fine fanno i giudici non togati?
«Sono proprio loro le vere vittime di questa riforma. Giudici che hanno svolto la loro attività giurisdizionale, anche per diversi anni, pronunciando sentenze in nome del popolo italiano, ipotizzando la illegittimità costituzionale di alcune norme, con rinvio alla Corte Costituzionale, potere attribuito solo ai giudici ed al Governo, e che ora si vedono ridimensionati ad aspiranti candidati dei primi tre concorsi, per i quali è prevista per loro la riserva del 15% dei posti. La norma transitoria inoltre prevede la copertura immediata di 100 posti riservati soltanto ai giudici provenienti dalle altre magistrature, con esclusione quindi di quelli non togati. A seguito di interpello hanno fatto istanza e sono entrati nel ruolo di giudici tributari (è prevista anche la possibilità di rientro nel ruolo di provenienza) soltanto 36 magistrati, di cui 32 provengono dalla giustizia ordinaria, 2 da quella amministrativa ed 1 rispettivamente dalla contabile e militare. Quindi 64 posti sono rimasti scoperti e, se non ci sarà una modifica legislativa che consenta l’interpello anche ai non togati, andrà in sofferenza tutto il funzionamento della giustizia tributaria, tenuto anche conto che è prevista l’anticipazione, sia pure poi graduata, a 70 anni per la cessazione dell’attività del giudice tributario».
Ma qualcosa potrebbe cambiare…
«Si. Una notizia giunta da poco fa sperare in una parziale resipiscenza del legislatore. Pare che in un decreto legge in fase di conversione sia stato introdotto un emendamento che prevede la pubblicazione di altri 100 posti riservati ai giudici non togati, per i quali è previsto, però, il possesso di particolari requisiti. E’ pur sempre un intervento discriminatorio, ma è meglio di niente».
Sotto la lente
L'articolato programma del convegno che si terrà il 31 marzo al Palazzo di Giustizia di Torino al quale parteciperà anche il dottor Angelo Gargani.
© Riproduzione riservata