Imponenti mobilitazioni di uomini e mezzi terrestri, marini e aerei hanno luogo in queste ore nei ranghi delle forze armate statunitensi ed in quelle russe. La pandemia fa da sfondo ad una situazione tragica dai tratti farseschi. Gli Stati Uniti sembrano nient’affatto disposti a rinunciare alla logica della guerra fredda e della tensione permanente: una scelta che tiene l’Europa in ostaggio.
Le manovre si svolgono contemporaneamente in un’area vastissima che va dall’Artico al Mediterraneo passando per il Mar Nero: da un lato le aree “di pertinenza” statunitense, dall’altro il territorio russo e la sua area di influenza. A dividerle i contrasti che attraversano l’area baltica, la Bielorussia, la Crimea, il Donbass.
Sull’Ucraina sembrano infatti concentrarsi nuovamente le principali attenzioni degli Stati Uniti: oltre i Carpazi prosegue ormai da sette lunghi anni una guerra a bassa intensità in cui l’esercito ucraino e i paramilitari ultranazionalisti - sostenuti dall’Occidente - si contrappongono agli insorti di Lugansk e Donetsk - sostenuti da Mosca.
I formati Minsk e Normandia
L’Ucraina è oggi un paese economicamente al collasso, dipendente pressoché in toto dai sistematici prestiti occidentali: già prima dell’emergenza Covid, i dati del Fondo monetario internazionale avevano confermato il fatto che l’Ucraina fosse diventata il paese più povero d’Europa, con un reddito pro capite medio inferiore ai 3.000 dollari annui. Il conflitto, già costato oltre 13mila vittime, è proseguito in questi anni senza suscitare grandi attenzioni da parte dell’Occidente, trasformandosi in una lunga guerra di nervi di logoramento.
Le periodiche discussioni nel “formato Minsk” e nel “formato Normandia” non hanno, di fatto, prodotto alcuna soluzione concreta del conflitto, riuscendo al massimo a stemperarlo. Non dissimile, il risultato della cosiddetta “formula Steinmeier”.
Dopo aver ripreso possesso della Crimea – 2014 – ed una prima fase di appoggio attivo agli insorti del Donbass, negli ultimi anni il Cremlino ha evitato in Ucraina ogni genere forzatura, tanto da suscitare l’insofferenza di non pochi dei propri militari. Le forze armate ucraine stanno movimentando e concentrando centinaia di carri armati e pezzi d’artiglieria a ridosso del fronte del Donbass, suscitando la medesima reazione russa oltre il confine poco distante. Gli Stati Uniti, dopo aver portato al massimo il livello di allerta del proprio comando europeo, riforniscono di armi l’Ucraina e sorvolano lo spazio aereo dell’est del paese con droni da ricognizione: di risposta, gli insorti di Donetsk e Lugansk hanno mobilitato in preallerta migliaia di giovani. Il portavoce di Vladimir Putin ha descritto come “spaventosa” la situazione sul fronte ucraino: Mosca sembra decisa a rispondere colpo su colpo alle mosse degli Stati Uniti.
I nuovi venti di guerra
Non dissimile la situazione nei territori ucraini a ridosso della Crimea, e nella stessa penisola, benché descritti come “temporaneamente occupati” né la Crimea né il Donbass hanno una concreta possibilità di ritornare sotto controllo ucraino, meno che mai con l’uso della forza. Malgrado l’oltranzismo ostentato, né a Kiev né a Washington sembra mancare la consapevolezza di ciò. Né, forse paradossalmente, sembra mancare la volontà di mantenere vivo il conflitto “sine die”: per gli Stati Uniti una spina nel fianco del Cremlino, per gli oligarchi ucraini una lucrosa opportunità.
I nuovi venti di guerra contro la Russia prendono forza a pochi mesi dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca e mentre sono ormai poche le settimane necessarie per ultimare i lavori finali del gasdotto North Stream 2.
Il gasdotto North Stream
Una volta operativo, il raddoppio del gasdotto North Stream permetterà al gas russo di arrivare in Germania senza attraversare né l’area baltica, né la Polonia, né l’Ucraina, alfieri della strategia statunitense in Europa centrorientale. In una situazione che nel 2020 ha visto il Pil italiano calare di oltre undici punti - quasi il doppio della media dell’Eurozona - le sanzioni antirusse costituiscono uno degli elementi della strategia sostenuta dagli Stati Uniti e della Gran Bretagna: il sanzionamento economico è infatti uno dei principali strumenti per mantenere l’Europa divisa, e quanto più lontana da Mosca e Pechino.
Dal 2014 ad oggi le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Federazione Russa – con il sostegno di Roma – e le controsanzioni russe sono valse all’Italia un danno economico pari ad almeno quattro miliardi di euro l’anno. A questi danni, già ingenti, si deve sommare il danno economico delle sanzioni – primarie e secondarie – sostenute attivamente o passivamente dall’Italia contro Siria, Venezuela, Nicaragua, Cuba ed Iran. Una politica poco auspicabile sia per le conseguenze di carattere umanitario nei paesi colpiti - e tanto più nel bel mezzo di una pandemia - sia per l’impatto economico sull’economia italiana.
La visione che manca
La pandemia con cui il mondo fa i conti da un anno continua a porre la necessità di ricostruire una visione del sistema-paese e della sua politica estera.
L’assenza di una visione di profondo respiro costituisce infatti per l’Italia il principale elemento di debolezza. Questa grave mancanza dovrebbe essere ragionevolmente considerata, insieme alla mancanza di una politica industriale adeguata, tra le principali minacce alla sicurezza nazionale, così come gli inquietanti livelli disoccupazione giovanile ed i preoccupanti indici di povertà: per l’ISTAT sono stati un milione i posti di lavoro persi in Italia nel 2020.
La "conventio ad escludendum"
Quanto più l’Europa si trova ad essere ostaggio della tensione permanente impressa da Washington, tanto meno consistente appare la politica estera italiana, ridotta a sistematiche dichiarazioni di fedeltà incondizionata. Persino l’ex capo del Sisde Mario Mori ha descritto l’arresto di un ufficiale della Marina Militare - per spionaggio a favore di Mosca - come un episodio di scarsa rilevanza sostanziale ma sovraesposto con l’evidente l’intento di compiacere Washington. La scorsa estate, dopo l’arresto per motivi analoghi di un ufficiale francese in servizio presso la base Nato di Napoli, l’Eliseo non aveva sentito alcuna necessità di dare clamore al fatto.
Nel tentativo di imporre una “conventio ad escludendum” - antirussa e anticinese - anche sul tema vaccini si riverbera la strategia degli Stati Uniti e la debolezza di un’Unione Europea burocratica e corporativa. Piaccia o non piaccia, anche la pandemia in corso ha dato conferma di come il perimetro nazionale non possa in alcun modo venire trascurato, né in materia sanitaria, né in materia economica.
Riscoprire l’identità mediterranea e di paese-cerniera scrollandosi di dosso quel “complesso d’inferiorità” descritta da Enrico Mattei è oggi per l’Italia una priorità inderogabile, necessaria per gettare le basi di una nuova fase politica e di un reale rilancio economico.
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