Stanno arrivando le scorie radioattive, si salvi chi può. Questo, il riassunto. Se invece si dovesse descrivere con un minimo di accuratezza cosa sta succedendo, ci vorrebbero almeno tre paragrafi. Eccoli.
La società Sogin SpA, interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha pubblicato il 30 Dicembre 2020 la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) per la realizzazione del futuro Deposito Nazionale per lo smaltimento e lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi.
Si tratta di un passo al quale l’Italia arriva con diversi anni di ritardo: risale infatti al 2011 la direttiva del Consiglio Europeo che richiedeva a tutti i paesi di dotarsi di una infrastruttura di questo tipo, e le decisioni dei singoli paesi avrebbero dovuto essere prese entro il 2015.
Il documento pubblicato individua 67 aree "potenzialmente idonee", e ha aperto una fase di consultazione pubblica della durata di sessanta giorni, a cui seguiranno ulteriori deliberazioni, fino all’individuazione del sito unico per il Deposito Nazionale. Possiamo ragionevolmente sperare che l’iter riesca a concludersi in tempo per contenere il nostro ritardo in `soli’ dieci anni, ed evitare sanzioni europee.
Scenari apocalittici?
La mera menzione del problema sui quotidiani nazionali e sui media digitali ha già provocato una diffusa levata di scudi: si è parlato di "rivolta dei sindaci" e di "piano irricevibile", si sono registrate le critiche delle associazioni ambientaliste, e, naturalmente, sulle reti sociali hanno iniziato a germogliare scenari cupi e apocalittici.
Vale la pena allora di mettere alcuni punti fermi, ricordando una serie di fatti ben consolidati, che tendono a essere dimenticati nell’ansia dei posizionamenti politici, e che sono oggettivamente difficili da comunicare efficacemente in un contesto molto polarizzato.
Fatto numero uno
Le scorie radioattive ci sono già, e continueremo a produrne, per ottime ragioni.
Non si tratta soltanto dei residui del combustibile delle nostre dismesse centrali nucleari, che giacciono in depositi "temporanei" ormai da decenni. Materiale radioattivo viene impiegato in molti settori dell’economia. In particolare in medicina, dove serve per esempio per molti esami diagnostici di alto livello, come la tomografia a emissione di positroni (PET), oltre che naturalmente nelle terapie contro molti tipi di tumori per mezzo di radiazioni. Nessuno potrebbe seriamente argomentare che potenti tecniche diagnostiche e terapeutiche dovrebbero essere abbandonate perché producono scorie.
La domanda allora non è come evitare di avere a che fare con materiali radioattivi dismessi.
La domanda è come occuparsene responsabilmente, minimizzando i rischi per la comunità.
Fatto numero due
Un deposito costruito secondo le norme vigenti e nella forma dell’attuale progetto presenta rischi verificabilmente bassi.
Cerchiamo di fare l’anatomia di questa sorprendente affermazione.
Sappiamo che il "rischio zero" non esiste. Tutte le infrastrutture comportano elementi di rischio per gli esseri umani: le linee dell’alta tensione, le strade e le autostrade, le centrali elettriche di ogni tipo, le discariche, gli inceneritori, persino le pale eoliche. Questi rischi vanno studiati, e adeguate misure di protezione messe in campo: le linee dell’alta tensione non sono a terra, le autostrade sono protette da barriere, gli inceneritori vanno dotati di filtri. Se le misure di sicurezza sono adeguate, il rischio non diventa zero, ma diciamo (un po’ genericamente) che è "basso": significa che è ragionevole convivere con l’infrastruttura senza modificare i nostri comportamenti e le nostre scelte, e che non è necessario dislocare attività economiche e culturali per tenere conto del rischio.
Questo criterio è certamente soddisfatto dalle regole imposte per il trattamento dei materiali radioattivi: un deposito costruito secondo le regole infatti non aumenta il livello di radiazioni a cui sono esposti l’ambiente circostante e la popolazione delle zone vicine. Va sottolineato che non si tratta di una affermazione puramente "teorica": depositi di questo tipo infatti sono già attivi e costantemente monitorati nella maggior parte dei paesi europei. Soprattutto, va sottolineato che i rischi residui connessi alla costruzione del deposito sono ampiamente inferiori ai rischi legati al mantenimento della situazione attuale, che vede materiali pericolosi sparpagliati in un gran numero di siti su tutto il territorio nazionale, con potenziali serie disparità in termini di sicurezza e monitoraggio.
Ora, non è questa la sede per analizzare in dettaglio le barriere multiple di protezione che isolerebbero le scorie nel futuro deposito dall’ambiente circostante, giustificando la valutazione di rischio basso.
Conviene invece ricordare che abbiamo detto: "verificabilmente".
Il punto è questo: siamo in grado di misurare il livello di radioattività ambientale in modi molto semplici, e con precisione spettacolare. Possiamo accertare la presenza e persino la provenienza di materiali radioattivi, anche in quantità che sono migliaia di volte inferiori ai livelli di pericolo, e ben al di sotto del livello della radioattività naturale, nella quale siamo tutti immersi nella nostra vita di tutti i giorni. Chi fosse preoccupato della presenza di materiali radioattivi nel proprio ambiente, potrebbe assicurarsene personalmente, comprando un contatore Geiger su internet per meno di cento euro, ed effettuando semplici misure non dissimili da quelle che farebbe un esperto. In altre parole: il monitoraggio del previsto deposito potrebbe essere effettuato, e certamente lo sarà, con mezzi semplicissimi, poco costosi, e alla portata di tutti.
Infine, abbiamo detto: "un deposito costruito secondo le norme vigenti".
Giustamente, dedichiamo ai materiali radioattivi una misura straordinaria di attenzione e prudenza, e questo fa sì che le misure di sicurezza previste siano straordinarie e ridondanti. Questa attenzione e questa prudenza non dovranno essere mai allentate nelle fasi di costruzione e di monitoraggio: certamente, non si tratta di un problema che ammette scorciatoie e negligenze. Piuttosto, dovremmo abituarci ad essere altrettanto esigenti quando si decide dell’impiego e della gestione di altre sostanze inquinanti e pericolose, a cominciare dalle scorie dei combustibili fossili, che da più di un secolo provocano danni immensi alla salute degli individui e a quella del pianeta, nella nostra sostanziale indifferenza.
Fatto numero tre
Il problema più serio delle scorie radioattive è che, nel caso delle scorie di `alto livello’, occorre immaginare una soluzione che sia sicura sostanzialmente `per sempre’, dato che il tempo necessario perché decadano a livelli non pericolosi eccede di gran lunga la scala dei tempi della vita umana. Tuttavia, questo non è il problema che stiamo affrontando ora. Il materiale che dovrà essere permanentemente immagazzinato nel deposito è costituito da scorie di livello basso o medio, che raggiungeranno un livello di radioattività pari o inferiore a quello ambientale in circa trecento anni. Temporaneamente, il deposito conterrà anche scorie di alto livello, ma queste dovranno poi essere trasferite in un deposito geologico profondo stabilito dall’Unione Europea (un deposito di questo tipo è attualmente in costruzione in Finlandia).
Certamente, trecento anni sono tanti, ma non si tratta di un’era geologica: la facciata barocca di Palazzo Madama a Torino ha trecento anni, come gli edifici di Piazza Sant’Ignazio a Roma, e innumerevoli altri manufatti del nostro patrimonio storico e culturale.
Abbiamo fatto attenzione, e questi edifici sono ancora, intatti, tra di noi. Siamo in grado, quando vogliamo, di costruire solidamente per il futuro, e certamente non è una sfida tecnologica proibitiva costruire una struttura di sicurezza passiva in grado di mantenersi per alcuni secoli.
Occuparsi in modo razionale dei rifiuti pericolosi, sia radioattivi sia convenzionali, che abbiamo prodotto in passato, e che continueremo a produrre, è un dovere civile che deve farsi azione politica.
Il dibattito sulla collocazione del Deposito deve quindi essere serio, trasparente, e di alto livello scientifico. La trasparenza è un ingrediente essenziale per evitare una inutile polarizzazione: nelle zone identificate dalla CNAPI, la discussione con la popolazione dovrebbe iniziare ora, accompagnata da una informazione diffusa, con il coinvolgimento di esperti autentici. Il tema è tecnico, e le paure e le domande di chi tecnico non è sono naturali e legittime, e devono ricevere risposte chiare, corrette e dettagliate. Il dibattito deve, soprattutto, essere fondato sui fatti. Possiamo dire con serenità che i peperoni di Carmagnola e i vigneti di Alcamo non sarebbero messi a rischio dall’eventuale presenza del deposito nelle loro vicinanze, se non, purtroppo, per i possibili effetti di paure ingiustificate, ma alimentate dalle leggende urbane e dalla facile politica del "Not In My Backyard" (Nimby).
Trovare - insieme - il posto migliore per la doverosa messa in sicurezza delle scorie, e fare un lavoro trasparente e di eccellente qualità nell’allestimento del sito, saranno gli esercizi di un altro esame di maturità per il nostro Paese.
Per chi volesse saperne di più sulla radioattività, qui sotto una mia riflessione, nell'ambito del progetto Science4Dem, Science for democracy.
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