La siccità stringe nella sua morsa l’Italia ma non solo; infatti, molti Paesi europei (Spagna e Grecia in primis) sono di fronte a una delle maggiori crisi idriche mai registrate. Colpa delle “nuove” circolazioni atmosferiche - forse causate dal riscaldamento globale (anche se il fisico Antonino Zichichi, come i suoi colleghi Steven Koonin e Franco Prodi, continuano ad affermare che sono le tempeste solari il motore del nostro clima e l’attività umana incide solo per il 5% sul totale degli effetti) – e dall’assenza di nubi su buona parte dell’Europa.

Ma non dobbiamo nasconderci il fatto che la carenza di acqua è figlia di un uso dissennato della risorsa idrica.

Una rete che fa acqua da tutte le parti

A partire dalla mancanza di invasi, da una parte, e dalla qualità della nostra rete idrica che su 100 litri immessi ne perde per strada mediamente 40 (che diventano 51 in Sicilia e si fermano a 30 in Emilia-Romagna, ma sono sempre tanti). Nel 2018 sono stati immessi in rete 8,2 miliardi di metri cubi e, di questi, solo 4,7 hanno effettivamente raggiunto gli utenti finali - il che equivale ad una perdita annua di 3,4 miliardi di metri cubi pari a 156 litri al giorno per abitante. Se prendiamo come riferimento un valore pro capite di 215 litri, le perdite potrebbero soddisfare le esigenze idriche di 44 milioni di persone in un anno.

«Sicuramente la siccità – spiega Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Bologna – è uno degli effetti dei cambiamenti climatici ma noi in Italia facciamo ben poco per preservare la poca o tanta risorsa idrica che la natura ci dona. A cominciare da una rete di acquedotti tra le più scadenti d’Europa. Poi certo, si può pensare a dissalare l’acqua del mare, ma a costi notevoli, oppure a inseminare le nubi, una pratica relativamente alla quale vi sono poche certezze nel senso che non è chiaro se sia l’inseminazione con lo ioduro d’argento a far piovere o se pioverebbe in ogni caso lo stesso. Da altre parti, specie in prossimità delle coste del Cile, sono state issate delle reti su cui le nubi si infrangono e fanno piovere acqua a terra che poi viene raccolta. Ma siamo sempre di fronte a rimedi problematici. La prima strada, ripeto, è quella di usare con buon senso la risorsa che mettiamo nelle nostre reti acquedottistiche e soprattutto farla arrivare tutta a destinazione senza lasciarne metà per strada».  

Invasi: il caso Emilia-Romagna

Sul fronte degli invasi è positiva l’esperienza in Emilia-Romagna di Ridracoli (tra le province di Forlì-Cesena e Arezzo) che con uno stoccaggio di oltre 33 milioni di metri cubi garantisce acqua potabile a tutta la Romagna. Ad oggi ne sono presenti circa 28 milioni e secondo il presidente di Romagna Acque Tonino Bernabé “si tratta di un livello che ci garantisce la possibilità di erogare acqua fino all’autunno. Ma questo non impedisce di valutare la possibilità di realizzare nuovi invasi”. 

Siccità in Europa a fine maggio 2022
Siccità in Europa a fine maggio 2022
Fonte: European Drought Observatory
 

La strada della dissalazione

Sul nostro pianeta sono presenti 1,4 miliardi di chilometri cubi di acqua tra salata è dolce. Il 79% dell’acqua dolce totale si trova intrappolata nelle calotte e nei ghiacci, il 20% nelle acque sotterranee e meno dell’1% è l’acqua dolce presente in superficie facilmente accessibile. L’acqua dolce in superficie, che rappresenta una piccolissima parte, è distribuita per il 4% nei laghi, per il 76% nell’umidità del suolo, per il 16% nel vapore acqueo, per il 2% nei fiumi e per il 2% nell’acqua degli organismi viventi. Attualmente oltre un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile. Quindi poter ottenere acqua dolce da quella salata in modo sicuro e veloce è una delle sfide più importanti.

L'esempio del Cile

Per esempio, la sete del Cile potrebbe essere placata dall’Oceano Pacifico. In Cile sono già funzionanti una ventina di dissalatori che forniscono acqua a comunità di pescatori e tre più grandi che servono gli abitanti di diversi municipi. Otto grandi dissalatori forniscono acqua alle compagnie minerarie nell’arido nord del Cile. Lo sviluppo e la disponibilità di energia solare ed eolica ha abbassato i costi operativi della dissalazione e purificazione dell’acqua di mare, rendendo possibile un approvvigionamento idrico stabile in questo Paese sudamericano, lungo e stretto che si estende su 4.270 chilometri di costa.

Così il presidente cileno Gabriel Boric ha annunciato l’obiettivo di andare avanti con la desalinizzazione, facendosi carico anche delle esternalità che genera. Minera Escondida, la più grande miniera e di rame del mondo di proprietà della società anglo-australiana BHP, a 3.200 metri sul livello del mare, utilizza l’acqua prodotta a 180 chilometri di distanza da un impianto di desalinizzazione sulla costa che la pompa fino alla regione di Antofagasta. Alla fine del 2019 è stata installata l’Escondida Water Supply Expansion (EWS), che ha permesso di smettere di attingere acqua dal pozzo e di utilizzare il 100% di acqua di mare, un fatto unico a livello mondiale.

La domanda, in Cile come altrove, è sempre la stessa: cosa fare della salamoia prodotta dal processo di dissalazione? Alcune associazioni ambientaliste temono che sversamenti troppo grandi di salamoia in mare possano avere un impatto sugli ecosistemi costieri e l’attenzione è rivolta soprattutto alle compagnie minerarie e alle imprese idriche.

Impianti di desalinizzazione in Cile
Impianti di desalinizzazione in Cile
Fonte: Sebastián Herrera León e altri (2019 - ResearchGate)

I risultati di Israele

Guardare al caso di Israele può essere interessante anche per l’Italia. Attraverso la desalinizzazione, Israele ottiene l'80% dell'acqua impiegata per uso domestico e municipale e circa il 33% dell’acqua potabile. Israele punta su desalinizzazione e abbattimento di sprechi e perdite per far quadrare l’equazione dell’acqua, tra crescente domanda e risorse sempre più scarse, tema sempre più serio vista l’emergenza climatica in atto.

Per desalinizzare serve tanta energia

Desalinizzare, però, è un’attività che richiede un forte consumo di energia, ma le scoperte di gas nel Mediterraneo, nelle acque israeliane, come i giacimenti Leviathan e Tamar e non solo, garantiscono al Paese una forte riduzione dei prezzi. Israele è un Paese semiarido situato, come altri nell’area, al limitare del deserto, e nelle età passate, come oggi, la mancanza di acqua è stato un catalizzatore per lo sviluppo di progetti. In particolare, c’è molta attenzione verso gli impianti di desalinizzazione, la cui costruzione può costare circa 2-300 milioni dollari per ciascuno. I dissalatori sono impianti ad alta intensità energetica, ma ecco il ruolo delle scoperte di gas. Desalinizzare un metro cubo di acqua richiede 3,5 kiloWatt di elettricità e al costo di 70 cent di dollaro per kW, significa 1,2 dollari per mc, un numero importante ma ora che Israele ha trovato il gas nell’area del Mediterraneo il costo è molto più conveniente. Se poi si aggiunge lo sviluppo del fotovoltaico i conti possono tornare ancora meglio. Di fatto Israele sta progettando il futuro puntando sulla desalinizzazione ma anche sull’efficienza: infatti, non si riconosce alle compagnie più del 7% di perdite sulla rete, se la perdita è maggiore questo valore incide sui loro profitti e questo è un potente incentivo all’efficienza. D’altra parte per i consumatori, poi, c’è un prezzo crescente dell’acqua. Si parte da un prezzo sociale, calmierato, per i primi 3,5 metri cubi poi c’è un prezzo maggiore, che riflette il costo vivo, per ogni metro cubo successivo, circa 3 dollari a mc, e questo spinge la gente a consumare meno.

La via italiana alla dissalazione passa da Torino

Dissalare può essere una prospettiva per l’Italia? Ne parliamo con Matteo Fasano, a breve professore associato di Fisica tecnica presso il Dipartimento di Energia del Politecnico di Torino.  «Certo che può esserlo – spiega Fasano – ma il problema principale non è la salamoia prodotta ma il consumo di energia. Siamo di fronte a un doppio legame tra acqua ed energia: per fare energia usiamo acqua, ma anche per fare acqua potabile serve energia. Noi al Politecnico di Torino stiamo lavorando a piccoli impianti di dissalazione cosiddetta passiva che non hanno bisogno di pompe o valvole ma sfruttano i principi naturali,  come traspirazione  e filtrazione. E per filtrare l’acqua usiamo una tecnologia a membrana. Il vantaggio è che i nostri sistemi funzionano a bassa temperatura e possiamo creare impianti che soddisfano le necessità di piccole comunità; abbassando le prestazioni, abbassiamo i costi di esercizio».

L’industria italiana nel mondo: il caso di Fisia Italimpianti

Anche l’industria segue la ricerca. In Italia uno dei principali player del settore è Fisia Italimpianti (gruppo Webuild) i cui impianti di dissalazione servono ogni giorno 20 milioni di persone. L’impianto di maggiore dimensione adibito alla dissalazione si trova nello stabilimento di Jebel Ali M, il più grande degli Emirati Arabi Uniti, costruito con il contributo di Fisia Italimpianti. L’impianto ha dimensioni enormi ed è un'icona del settore con una capacità di 140 milioni di litri d'acqua al giorno. Ciascuna delle sue otto unità di dissalazione può produrre 80.000 metri cubi di acqua al giorno.  Fornendo oltre il 90% dell'acqua potabile della città, lo stabilimento di Jebel Ali M è fondamentale per supportare l’ambizione di Dubai di diventare un hub internazionale per il commercio e il turismo.

Stabilimento di Jebel Ali M a Dubai - Fonte: Fisla Italinpianti

La burocrazia rischia di bloccare i dissalatori

In Italia ci si limita a piccoli impianti prevalentemente sulle isole ma ora ci si mette di mezzo la burocrazia. Infatti, contemporaneamente con l'esplodere dell'emergenza idrica, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno scorso la legge 17 maggio 2022, n. 60, recante “Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell'economia circolare”. La cosiddetta legge salva-mare che si occupa tra le altre cose della desalinizzazione dell'acqua marina. La novità è che gli impianti di desalinizzazione destinati alla produzione di acqua per il consumo umano sono ammessi solo in casi eccezionali.

Recita infatti l'articolo 12 della legge che sono ammissibili soltanto:

  • a) in situazioni di comprovata carenza idrica e in mancanza di fonti idrico-potabili alternative economicamente sostenibili;
  • b) qualora sia dimostrato che siano stati effettuati gli opportuni interventi per ridurre significativamente le perdite della rete degli acquedotti e per la razionalizzazione dell'uso della risorsa idrica prevista dalla pianificazione di settore;
  • c) nei casi in cui gli impianti siano previsti nei piani di settore in materia di acque e in particolare nel piano d'ambito anche sulla base di un'analisi costi benefici.

Insomma una bella frenata ai dissalatori di acqua marina, ribadito dal severissimo comma 1 dell'articolo: al fine di tutelare l'ambiente marino e costiero, tutti gli impianti di desalinizzazione sono sottoposti a preventiva valutazione di impatto ambientale, di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Fonte: droughtCentral