«Come è giunto l’oro ad avere il massimo valore?». Coì s'i interrogava Nietzsche, nel Così parlò Zarathustra per trovare questa risposta. «Perché non è volgare, non è utile e luccica di mite splendore, sempre esso dona se stesso».

Ad un attento lettore, queste poche righe possono raccontare molto sull’oro, un elemento praticamente indistruttibile e corrodibile soltanto dall’acqua regia, dallo ione cianuro e dal mercurio, che l’uomo è riuscito a lavorare sin dall’antichità, grazie ad una temperatura di fusione relativamente bassa, di poco superiore ai mille gradi.  L’oro, però, non ha certo assunto il ruolo attuale soltanto grazie al suo uso in gioielleria o nell’industria.

In altre parole, riprendendo Nietzsche, non è certamente l’elemento più utile in natura, ma “sempre dona se stesso”. Il suo valore, infatti, è intrinseco. Si tratta infatti di un bene che, a differenza della cartamoneta, non può essere stampato dalle banche centrali. E qui ci colleghiamo a tematiche di scottante attualità. La crisi legata al Coronavirus ha fatto lievitare a dismisura i bilanci delle banche centrali, che hanno tentato con ogni mezzo di tamponare gli effetti dei prolungati lockdown e le varie conseguenze economiche della pandemia. 

Gli ETF aurei e la lunga discesa avviata nel 2012

È quindi emerso, ancora una volta, il ruolo dell’oro come bene rifugio, con una corsa al lingotto soprattutto da parte del settore degli ETF, i fondi a replica passiva. La domanda degli Exchange Traded Funds, stando ai computi del World Gold Council, è salita ai massimi storici. La detenzione complessiva degli ETF aurei nel settembre 2020 si attestava a 3.843 tonnellate, di cui quasi mille aggiunte nei primi otto mesi dell’anno. Il rally derivante da questo settore - e maggiormente in generale dalla domanda di oro per investimento - ha più che compensato la frenata della gioielleria e della domanda industriale, mentre la quotazione volava verso nuovi record. Ma il ritorno di interesse degli investitori verso l’oro non è certo una novità del 2020. La lunga discesa iniziata nel 2012, infatti, aveva spinto le quotazioni a dei minimi in area 1.060 dollari l’oncia sul finire del 2015. Fra il 2016 ed il 2018 abbiamo assistito ad una lenta fase di accumulo, che ha riportato il prezzo sui 1.200/1.300$, per poi proseguire al rialzo nel 2019. La generale esplosione di volatilità registrata nel marzo 2020, con il primo vistoso calo dei mercati azionari americani da un decennio, ha fatto il resto.

Politiche monetarie al microscopio

La vera novità è arrivata nei mesi seguenti: l’oro era in grado di “luccicare di mite splendore” anche in una fase di forte ripresa dei listini azionari. In altre parole, il prezzo del metallo giallo si è mosso al rialzo contestualmente al rally dei listini americani. Questo, come detto, è da un lato il frutto delle politiche monetarie delle banche centrali, chiamate ancora una volta a mosse iper-espansive. Ma deriva anche dal fattore di rischio percepito dagli investitori, che hanno sentito una crescente necessità di aumentare la quota di oro in portafoglio. 

Dal punto di vista operativo, i massimi storici dell’oro si trovavano in area 1.920 dollari l’oncia e risalivano al 2011. Le quotazioni auree hanno aggiornato tali valori ad agosto, arrivando a varcare la soglia dei 2.000 dollari per la prima volta, con un nuovo record a 2.075$. Ne è seguita una discesa, che si è però arrestata in area 1.860$, generando un canale laterale (appunto fra 1.860 e 2070$). Il superamento al rialzo o al ribasso di tali soglie potrebbe fornire nuovi spunti direzionali per chi guarda un orizzonte temporale relativamente breve, mentre in un’ottica di lungo termine la tendenza di fondo appare ancora positiva, con le banche centrali che potrebbero essere costrette ad armare nuovamente i loro bazooka. Eventuali nuovi scossoni in borsa ma – soprattutto – crisi valutarie o una perdita di fiducia nelle banche centrali stesse o nel dollaro, potrebbero essere elementi in grado di determinare nuove corse all’oro.

Il green che fa bene all'argento

In conclusione, va segnalata anche la performance dell’argento, in grado di riprendersi con forza e più che raddoppiare il suo valore dai minimi di marzo. La salita da 12 fino a ridosso dei 30 dollari dell’argento, per poi stornare sui 25$, è in gran parte correlata con il rally dell’oro. Ma è stata anche accentuata dalle nuove politiche di vari paesi (fra cui i recovery funds) che guardano con grande interesse all’economia green. Un fattore non da poco per l’argento, che vede provenire una discreta fetta della sua domanda dal settore dei pannelli fotovoltaici.