Brutta giornata quella di venerdì 10 giugno per le Borse mondiali. La seduta non era partita bene già in Asia, con il Nikkei in calo del -1,49%. La discesa era continuata in India (-1,84%), un mercato che raccorda l’Asia con le aperture europee dove infatti l’eurostoxx50 apre in negativo e conclude la giornata a -3,3%, guidato dal Dax (-3%).

Il Dax, pur essendo l’indice della maggiore economia del continente, esprime una volatilità sempre notevole, perché è l’indice più liquido e quindi più speculato, anche sui futures. La giornata prosegue all’insegna delle flessioni durante la seduta americana. A New York il Dow  Jones lascia sul terreno addirittura il 2,73%, e questo rappresenta davvero una variazione anomala per un mercato nel quale le variazioni abituali sono dello zero-virgola.

Il punto della situazione

Che cosa è realmente accaduto? E, in secondo luogo, rischiamo un evento analogo a quello del 2009, ossia una crisi finanziaria?

Andiamo con ordine. Come sempre, sui mercati non c’è una sola causa per un fenomeno di questo tipo. Le giornate nere si sono sempre verificate e non tutte sono il presagio di crisi, crash o collassi. Sopratutto, appunto, se si sono accavallate più cause, tutte nello stesso giorno. Quanto alla trasmissione del rosso da un mercato all’altro, è normale. I mercati che scendono insieme in rosso si concatenano più robustamente di quanto non avvenga quando crescono. Inoltre, la distribuzione statistica delle variazione giornaliere è parecchio strana. I cali sono relativamente poco frequenti ma profondi. Gli operatori di Borsa si affidano all’immagine della Borsa che sale usando le scale, ma che, quando scende, prende l’ascensore.

Il cambio di passo della BCE

La pura statistica storica però non basta. Venerdì sono accaduti due fatti ulteriori. In Europa è stata rilasciata la dichiarazione di cambiamento della postura di politica monetaria da parte della Bce. Questa ha annunciato il prossimo aumento di 25 centesimi dei tassi nella riunione di luglio. Ne seguirà probabilmente uno simile (o più ampio) a settembre, e poi altri ancora, per perseguire l’obiettivo di riportare l’inflazione sotto il 2%. Inoltre, dal 1° luglio cesseranno gli acquisti dei titoli obbligazionari del programma pandemico, che resteranno in portafoglio e verranno rinnovati.

I dubbi dei mercati

Uno statement di per sé accomodante, se non fosse che i mercati dubitano che l’inflazione europea (8,1% a maggio, +4,1% quella core, ossia al netto della componente del cibo e dell’energia) possa essere domata a colpi di aumenti dei tassi di interesse. Nella dichiarazione della Bce il legame tra i rialzi dei tassi e il target di inflazione invece viene citato espressamente ed aprirebbe la strada a molti più aumenti dei tassi di quelli che ci si attendeva prima di leggere il comunicato . La seconda sorpresa è stata leggere una data di possibile scadenza del rinnovo automatico dei titoli pubblici detenuti dalla Bce. E’ vero che tutti gli statement possono cambiare, ma anche qui il mercato si era fatto l’opinione che, tacendo la scadenza, quelle obbligazioni non sarebbero mai più tornate nelle mani del pubblico. Questo avrebbe avuto due effetti: diminuire il debito pubblico effettivo degli Stati nelle mani del mercato e di conseguenza rendere meno rischioso il debito di nuova emissione. Ma se il nuovo debito torna ad essere più rischioso, il mercato lo fa subito diventare più costoso.

L'avvertimento 

È  altamente probabile che questo effetto sia stato desiderato e voluto dalla Bce, quasi come avvertimento nei confronti di governi parecchio indebitati e con condizioni di onerosità del debito calmierate dalla politica monetaria di questi anni. Una specie di monito. Facendo quindi i conti con questa situazione, non nuova nelle cifre per i tecnici addetti ai lavori, ma nuova e per certi versi sorprendente quanto alla postura austera della Bce, è ovvio che i primi tassi (o rendimenti) ad essere schizzati verso l’alto siano stati in giornata quelli dei titoli di Stato Italiano (+3,83% il rendimento del benchmark decennale raggiunto in giornata).

Elaborazione Mondo Economico

Per conseguenza, lo spread misurato sulla differenza del benchmark italiano dal tedesco, quello più noto e tradizionale, è salito a 233 punti base (+66 punti rispetto al giorno precedente), e così i 2 punti percentuali di differenza di costo del debito tra Italia e Germania sono stati ripristinati, e sono due punti che peseranno parecchio, perché paradossalmente ridurranno lo spazio di manovra fiscale proprio del paese (l’Italia) che avrebbe bisogno di meno austerità e più espansione per un periodo più lungo, almeno fino a quando il Pnrr non sarà “entrato nelle vene”.

 

Elaborazione Mondo Economico

Il sistema del credito

E qui sta infatti un altro cardine del racconto. Una volta che lo spread si è impennato, si è tirato dietro la crisi delle quotazioni non solo di tutta la Borsa, ma in particolare delle banche, che hanno perso tutte tra il 7 e l’8% in un solo giorno, compresa Intesa Sanpaolo, nonostante la politica di alleggerimento del portafoglio di titoli pubblici eseguita negli ultimi anni. Cosa capita? Una sorta di violento repricing, perché se cambia lo spread, cambia sia il profilo di rischio degli attivi delle banche, sia il tasso di attualizzazione degli utili futuri. Le obbligazioni, essendo l’architrave dei mercati finanziari, producono scossoni anche nei mercati azionari e quando si muovono parecchio i primi a patire sono i titoli bancari.

Oltre Oceano 

Mentre la giornata borsistica si chiudeva male in Europa, quella americana non cambiava segno. Dopo l’apertura in rosso, tutti i mercati nordamericani hanno approfondito le perdite e peggio di tutti ha fatto il Nasdaq (-3,5%), dove sono quotati i soliti titoli tecnologici. Cosa è capitato qui? È stato pubblicato il dato di maggio sull’inflazione (8,6%), il peggiore dal 1981, ossia erano 41 anni che non si vedeva un numero di questo tipo. Invece, le aspettative erano proprio diverse, da un mese all’altro l’inflazione avrebbe dovuto fare marcia indietro, perché il colpo dato all’energia e alle materie prime, nonché al cibo, avrebbe dovuto essere assorbito e non amplificato.

Ma non è accaduto, anche perché la disoccupazione ufficiale negli Stati Uniti è del 3,6% e il passaggio dell’inflazione importata al resto dell’economia era quasi inevitabile. A questo punto, per fermare l’inflazione non resta che la Fed prema sull’acceleratore con decisione, ma facendolo danneggerebbe non poco sia il bilancio pubblico sia la crescita economica, proprio nell’anno delle elezioni di medio termine. Inoltre, le Borse stavano cercando di rilanciarsi, dopo 4 mesi di cali dall’inizio dell’anno, puntando sulla fine della guerra in Ucraina, ma i giorni di guerra si susseguono senza notizie che possano far presagire una fine imminente, cosa del resto che molti osservatori strategici reputano improbabile, per lo stallo della situazione sul terreno, o comunque per l’evoluzione estremamente rallentata.

Se per domare l’inflazione si dovesse cadere in recessione, la correzione delle Borse non sarebbe finita qui e dovrebbe riprendere.

 

Fonte: Financial Times

Potrebbe accadere una recessione anche in Europa? E in Italia?

Forse i mercati è quello che hanno a un certo punto pensato oggi, perché tra le altre cose sono usciti i dati di aprile sull’andamento dei depositi (+5,4% nei dodici mesi) e sugli impieghi delle banche verso le imprese (+1,8% nei dodici mesi). In altri termini, nonostante tutto il cavallo “beve ancora poco” e famiglie e imprese continuano ad alzare la guardia, accrescendo il risparmio precauzionale, date le condizioni di estrema incertezza. La mancanza di fiducia e il dilagare dell’incertezza sono responsabili del fatto che nel 2022 la crescita del Pil ci sarà, ma secondo la Banca d’Italia a questo punto non andrà oltre il 3%: veramente poco, siccome siamo entrati nel 2022 con una crescita acquisita (pari al Pil di fine anno sulla media 2021) del 2,2 percento. Inoltre, nella classifica dell’Eurozona, l’Italia è stata il terz’ultimo paese per crescita nel primo trimestre del 2022, un record negativo da parte del paese che ha ricevuto più fondi sul programma Next Generation EU / PNRR.  

Ottimisti o pessimisti? 

L’insieme di queste condizioni ha esacerbato le condizioni sui mercati di venerdì 10 giugno. E’ possibile essere ottimisti? Diciamo che è possibile escludere il peggiore degli scenari, ossia quello di crisi finanziaria che nasca nel settore bancario privato. Questo perché le condizioni dei bilanci delle istituzioni finanziarie, in Italia e all’estero, sono davvero migliori di quelle del 2009. Allora molti crediti dubbi erano in poste invisibili fuori bilancio e il leverage medio era molto alto.

Oggi i rischi si sono ridotti, i patrimoni si sono rafforzati e i leverage sono più equilibrati, dopo anni di politiche monetarie favorevoli ai bilanci delle banche. Il punto più debole dei sistemi economici è l’incognita sul grado di severità della politica monetaria per controllare l’inflazione, sia in Usa che in Europa, e particolarmente in Europa l’impatto di questo sulle condizioni fiscali dei bilanci dei paesi più indebitati (come l’Italia, che non a caso ha visto il suo spread salire a 233, mentre quello spagnolo per dire è rimasto a 123, quello portoghese a 125. L’Italia invece è vicina allo spread della Grecia di 288).

La situazione va certo attentamente monitorata, ma crediamo che l’allarme dei mercati sia stato eccessivo.

Possono sembrare molti 3,8 punti di tasso di interesse decennale sui titoli di Stato, ma negli ultimi anni il ministero dell’Economia ha lavorato alacremente per allungare a 7,6 anni la vita media residua del debito italiano, quindi gli aumenti dei tassi di interesse si riflettono con molta lentezza sullo stock di debito, dando tempo al Pil di prendere la sua rincorsa e riassorbirlo, per quanto possa. Questi erano i piani con il PNRR, che non sono cambiati e sono ancora possibili, pur di calare a terra gli investimenti del PNRR appena possibile e pur di ripristinare un po’ di fiducia nel sistema, perché i risparmi si scongelino e si impieghino finalmente nell’economia.

Le notizie giornaliere di guerra e i rincari dei generi necessari non rappresentano un contesto favorevole, ma la situazione non è da crisi né da collasso. Semmai, il momento di darsi da fare.