Nel secolo scorso hanno avuto momenti di grande successo i meridionalisti, una categoria particolare di esperti, a metà strada tra politica ed economia. Persone per bene, interessate alla crescita del Paese, preoccupate per il crescente divario tra Nord e Sud, persone perennemente alla ricerca della ricetta giusta per far decollare un territorio il cui declino tuttavia andava di pari passo con la profondità intellettuale delle analisi che venivano compiute.
Perché il Sud è la dimostrazione della validità della teoria dell’eterogenesi dei fini attribuita a fine Ottocento al filosofo tedesco Wilhelm Wundt, ma in realtà già presente nelle opere di inizio Settecento di Gianbattista Vico. Una teoria secondo cui le azioni umane possono provocare conseguenze inintenzionali che conseguono obiettivi che sono all’opposto rispetto ai fini perseguiti intenzionalmente. Un assioma che vale anche per il Sud.
La pretesa di smuovere lo sviluppo attraverso gli aiuti, le sovvenzioni, gli interventi straordinari, le agevolazioni finanziarie non ha posto rimedio ai grandi mali della disoccupazione, in particolare giovanile, e dell’emigrazione, soprattutto di laureati.
E allora forse varrebbe la pena di sentire la voce di chi meridionalista non è, almeno nel senso tradizionale del termine, ma è un economista d’impresa lombardo che in cinquant’anni di impegno professionale ha dedicato energie e competenza per molte iniziative anche nel Mezzogiorno, una terra che conosce molto bene anche perché, come racconta, l’ha percorsa in lungo e in largo non solo per incontri e consulenze, ma anche pedalando in bicicletta. E quindi frequentando i palazzi del potere, così come le botteghe artigiane e i circoli dei piccoli paesi.
Si tratta di Marco Vitale che ha raccolto in un libro (“Il Sud esiste”, marcoserratarantoleeditore, Brescia, 2021, pagine 386, euro 18) le sue esperienze così come molti interventi nei convegni e congressi che si sono susseguiti nel corso degli anni in particolare a cavallo del secolo. Con un filo rosso: «Alcuni principi e convinzioni profonde – sottolinea Vitale - che non sono nate nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno, ma in un contesto molto più ampio, dallo studio della storia e dell’economia e dall’esperienza professionale internazionale». Interventi che Vitale chiama einaudianamente “prediche inutili”, perché contraddette dalla realtà attuale, ma che, si augura, possono “diventare utili con il passare del tempo”. Richiami che non si lasciano fermare dalle delusioni: così come nel pensiero di Vitale risuona il monito di Luigi Sturzo contro le tre “male bestie”, lo statalismo, la partitocrazia, lo sperpero di denaro pubblico.
L’analisi è ampia e documentata con infinite osservazioni di clamorosa concretezza e attualità. Ma si possono, sommariamente, sottolineare cinque punti in questo percorso.
- La questione meridionale non esiste più, perché esiste ormai una sola, grande questione nazionale. Ormai “siamo tutti Meridione” perché le baronie, il feudalesimo, le mafie, gli intrecci perversi del potere si sono estesi a tutta Italia.
- Non esiste il Mezzogiorno, esistono tante diverse realtà territoriali, ognuna delle quali ha le sue caratteristiche, le sue originalità, il suo capitale umano che aspetta di essere valorizzato.
- Non è una questione (solo) di capitali. «L’industria – sottolinea Vitale - non nasce dalle sovvenzioni, ma dai progetti, dalla gente, dall’istruzione, dai buoni ordinamenti, dall’amministrazione onesta». È questo un monito di grande attualità nel momento in cui discute dei fondi europei.
- È importante ripartire dalle condizioni di base dell’agire economico e quindi la sicurezza, lo stato di diritto, un’amministrazione al servizio dei cittadini, banche che sappiano fare il loro mestiere, una formazione professionale altamente qualificata. Una nuova politica di sviluppo deve puntare sull’imprenditorialità diffusa, sull’artigianato, sul turismo, sul rilancio dei beni culturali e su pochi, grandi, progetti veramente strategici.
- Nel nuovo mondo dell’economia della conoscenza è necessario lasciare spazio all’innovazione, alla creatività, al capitale di rischio, alla prospettiva internazionale superando «gli schemi collettivisti, socialistoidi, pianificatori» in modo da «liberare le energie umane».
Un vasto programma, si potrebbe dire, ma con alla base una convinzione: il fatto che, se è vero che il Sud è stato e rimane nella morsa di un circolo vizioso di inefficienze, corruzione e malavita, è altrettanto vero che ci sono esempi di persone e realtà che possono muovere un circolo virtuoso con «istituzioni che incoraggiano la prosperità».
Ed è significativo che il libro si concluda raccontando l’esperienza di Marco Maffeis, bergamasco, portato per salvargli la vita, come è avvenuto, nella primavera dello scorso anno nel reparto rianimazione dell’Ospedale di Palermo per mancanza di posti in Lombardia. «Dunque il Sud esiste – scrive Vitale – e da qui devono nascere nuove forme di collaborazione e di reciproco, consapevole aiuto tra Nord e Sud. Non attraverso il Governo, ma direttamente tra università ospedali, imprese, sindaci. Tra il popolo del Sud e il popolo del Nord».
Con un ruolo fondamentale per il Terzo Settore considerato un «pilastro della nuova economia».
In questa particolare fase politica il Sud, come tutta l’Italia, ha quindi bisogno di buone scelte e di buoni investimenti per esaltare la dignità del lavoro e dell’impegno economico e sociale.
Il Sud ha bisogno di qualcosa di profondamente diverso dalla ricerca del consenso, dalle logiche feudali dell’appartenenza e delle relazioni, dall’assistenzialismo indiscriminato che umilia l’impegno delle persone di buona volontà e apre grandi spazi al lavoro nero, all’evasione fiscale fino alla criminalità.
Ha bisogno di qualcosa di diverso in fondo da quello che si è fatto, in gran parte, fino a ora.
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