New York. L'America ha un nuovo presidente (che indossa la mascherina ad ogni evento pubblico) e sta vaccinando a un ritmo più spedito rispetto all’Europa. Ma un ritorno a una parvenza di normalità negli Usa è lontano e non solo a causa delle nuove varianti del virus. Gli Stati Uniti stanno pagando il prezzo di una strategia di comunicazione sulla pandemia improvvisata e contraddittoria o, secondo molti esperti, semplicemente inesistente.
«Vediamo oggi le ramificazioni di una lunga serie di decisioni sbagliate sul fronte del messaggio inviato al pubblico», riassume Richard Carmona, la principale autorità sanitaria dell’Amministrazione di George W. Bush. Per cominciare agli americani, al contrario dei vicini canadesi e di altri Paesi, spiega, è mancata una figura di riferimento e di fiducia che li tenesse al corrente degli sviluppi della pandemia. Ci ha provato l’immunologo Anthony Fauci, ma si è trovato spesso contraddetto, o palesemente attaccato, da Donald Trump. Assente anche una coerenza nei messaggi che le autorità inviavano al pubblico. Il governo federale ha delegato infatti le decisioni agli Stati e questi spesso alle contee, creando un mosaico di regole e principi-guida che possono cambiare radicalmente da una città all’altra.
I sondaggi e l’idea di Peter Sandman
Il risultato più tragico di questa confusione sono le migliaia di morti in più — se calcolate rispetto alla popolazione totale — rispetto a tutti gli altri Paesi sviluppati. Secondo un recente sondaggio Gallup, inoltre, solo 65% degli americani è disposto a farsi vaccinare. E la Pew Research fotografa che fino al 25% vede del vero nelle teorie del complotto che teorizzano una pianificazione deliberata dell'epidemia per motivi politici o economici.
È per questo che Peter Sandman, guru di riferimento negli Stati Uniti per la comunicazione in momenti di crisi, propone un’inversione a U del messaggio sulla pandemia, che cominci con un cessate il fuoco: «La risposta alla pandemia negli Usa è stata politicizzata e polarizzata oltre ogni aspettativa. Occorre una tregua. Cominciamo con una tregua unilaterale: smettiamo di attaccare chi non la pensa come noi. Non si tratta solo di politica. Un elemento chiave della tregua è incoraggiare i cittadini a smettere di incolpare i loro vicini dell’aumento dei contagi».
La reticenza e il mea culpa
Secondo Sandman, oltre alla politicizzazione, un altro grosso errore della comunicazione sulla pandemia negli Usa è stata la reticenza nell’ammettere gli errori. È stata una grossa sorpresa per tutti quando Gustave Perna, il generale che coordina la distribuzione del vaccino negli Stati Uniti, si è assunto la responsabilità delle mancate consegne di migliaia di dosi in alcuni Stati e si è scusato pubblicamente. «La notizia non è stata che abbia sbagliato — sottolinea Sandman —. Ma che l’ha riconosciuto». Eppure, secondo, l’esperto, quel tipo di mea culpa è la chiave per costruire la fiducia del pubblico, insieme all’ammissione che le autorità sono chiamate a prendere delle decisioni difficili su una malattia della quale non si sa ancora tutto. Entrambi sono stati eventi rari negli Stati Uniti nell’ultimo anno.
I messaggi contrastanti
Aggiunge Sandman: «E sul vaccino stiamo ripetendo gli stessi errori: troppi esperti, ad esempio, hanno inviato messaggi contrastanti sulle seconde dosi. Da un lato dicono che dobbiamo fare tutto il possibile per vaccinare rapidamente quante più persone possibile. Allo stesso tempo sostengono che tutti riceveranno la seconda dose nei tempi previsti, dalla profilassi. È come se promettessero al pubblico di poter iniettare la stessa dose in due braccia diverse”.
Certo, fa notare il consulente di crisis management Richard Levick, può essere destabilizzante vedere che le autorità pubbliche sono indecise sul da farsi, soprattutto durante una crisi di salute pubblica: «Per creare fiducia, mostrarsi candidamente indeciso è molto meglio che mostrarsi decisionista e rivelarsi incoerente».
Il paper
È la stessa conclusione alla quale giunge un paper del Center for Infectious Disease Research and Policy (Cidrap) dell’Università del Minnesota che indica la via da seguire nei prossimi mesi. Prima di tutto, recita, non bisogna rassicurare il pubblico a tutti i costi, perché l’ottimismo eccessivo non è credibile, oppure finisce col generare una sottovalutazione del problema. Allo stesso tempo, occorre mostrare dell’empatia: i sentimenti negativi sono più sopportabili quando sono convalidati e condivisi. «Si è tentati di apparire ottimisti, ma la spavalderia ha l’effetto collaterale di far sentire le persone sole nella loro infelicità — si legge nel paper —. Inoltre, occorre includere tutti. È un momento difficile anche per le persone che pensano che stiamo reagendo in modo eccessivo alla pandemia. E non è una buona idea rimproverare amici e familiari che esitano a farsi vaccinare».
Ma il messaggio più importante, in questo momento, è trovare un equilibrio fra il sollievo per la buona notizia della luce in fondo al tunnel rappresentata dai vaccini e il fatto che siamo ancora nel tunnel, e stanchi di brancolare nel buio. Il documento conclude riconoscendo che la fiducia nelle autorità di governo ha subito un duro colpo a causa di una comunicazione raffazzonata, tanto che molti americani ora si affidano più al loro buon senso che alle regole imposte dall’alto.
È una realtà che va accettata nella strategia di comunicazione.
Che vi sia qualcosa da imparare anche in Italia?
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