Trilioni di dollari di investimenti nelle centrali elettriche tradizionali sono basati su un’erronea valutazione del valore attuale degli assets e della loro capacità futura di generare flussi di cassa.
Il report di RethinkX, think tank indipendente che ha condotto studi analitici e dirompenti su tecnologia, innovazione e dinamiche di mercato, dal titolo The Great Stranding: How Inaccurate Mainstream LCOE Estimates are Creating a Trillion-Dollar Bubble in Conventional Energy Assets, dimostra che la sopravvalutazione degli assets sopracitati è tale da costituire una “bolla” della stessa portata di quella dei mutui subprime che ha innescato la crisi economica mondiale nel 2008. Questo, a causa della metrica distorta normalmente impiegata per comparare il costo dell’elettricità prodotta da tecnologie concorrenti.
L’origine del problema
L’indicatore sotto la lente di ingrandimento è il Levelized Cost of Electricity (LCOE), che misura il costo medio per generare elettricità considerando i costi legati all’intero ciclo di vita dell’impianto, compresi i costi operativi e di costruzione. Si tratta di un indicatore ampiamente utilizzato dalle istituzioni (compresa la Banca Mondiale, l’Agenzia Internazionale dell’Energia e diversi uffici governativi), ma computato in modo opinabile. Gli autori del report accusano un errore di base: l’assunzione di un alto e costante fattore di capacità produttiva lungo l’intero ciclo di vita di ogni centrale elettrica. Cioè, si suppone che ogni impianto sia in grado di generare e vendere lo stesso numero di kwatt/ora in tutta la sua vita operativa.
Secondo lo studio, un fattore di capacità produttiva inalterato invece che decrescente sottostima significativamente il costo dell'elettricità generata da impianti a carbone o gas, idroelettrici e nucleari condizionando negativamente il confronto con le fonti rinnovabili SWB (dall’inglese solar, wind, and battery). Gli autori sostengono che la rivoluzione nel settore energetico sarà dettata da tre clean technologies: il solare fotovoltaico, l’eolico onshore e le batterie al litio per lo stoccaggio di energia, alle quali si riferiscono con la sigla SWB. Un dibattono approfondito sul loro avvento è contenuto in un report precedente (Rethinking Energy 2020-2030. 100% Solar, Wind, and Batteries is Just the Beginning).
L’esempio delle centrali a carbone
Il report si articola nel confronto tra le stime del LCOE quantificato dall’agenzia statistica del Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti (U.S. EIA) e i valori corretti dai ricercatori per l’energia prodotta da carbone o gas, impianti idroelettrici e nucleari. I risultati eclatanti vanno attribuiti al Dottor Adam Dorre e a Tony Seba, instancabile e visionario imprenditore, oltre che fondatore di RethinkX. Per dare un’idea della portata dello studio, riportiamo il caso del carbone, dal momento che i combustibili fossili rimangono una fonte primaria di produzione di energia anche in Europa.
Inoltre, poichè il LCOE rappresenta il prezzo di break-even per kwatt/ora (cioè il prezzo a cui si dovrebbe vendere l’unità di energia elettrica per coprire i costi sostenuti), si presuppone che l'impianto produttivo generi delle entrate future sufficienti a coprire i costi. In realtà, in un mercato competitivo è difficile considerare valida l’assunzione che la capacità produttiva dell’impianto, così come il suo livello di utilizzo, rimangano costanti e che il prezzo di vendita dell’energia continui a essere sufficientemente elevato nel lungo periodo. Le stime dei ricercatori di RethinkX correggono la falsa percezione della convenienza attesa di questi impianti incorporando la crescente competizione con le rinnovabili. È da ricordare che la trasformazione del mercato dell’elettricità legata alle rinnovabili sarà travolgente anche grazie alla decentralizzazione delle installazioni di SWB a scala commerciale e residenziale.
I rischi e i richiami alla bolla finanziaria del 2008
La conclusione di questo report è molto chiara: le fonti tradizionali di energia non sono più competitive rispetto al potenziale racchiuso nelle installazioni SWB.
Da quanto emerge, il solare e l’eolico hanno raggiunto la parità di costo rispetto alle fonti convenzionali diversi anni prima che gli analisti mainstream, compresi importanti agenzie ed enti pubblici del settore, lo riconoscessero (lo si nota sempre dalla figura sopra, ndr).
L’epilogo più preoccupante è la sopravvalutazione degli assets che sta creando una vera e propria bolla speculativa.
Queste due ultime considerazioni spingono a interrogarsi sul posizionamento di governi e istituzioni finanziarie. Siccome a possedere quote di società operanti nel settore dell’energia tradizionale sono in gran parte fondi pensione, fondi sovrani e assicurazioni, i risparmiatori sono esposti al potenziale rischio dello scoppio della bolla finanziaria. Il fatto che i regolatori abbiano delegato l’asset pricing ad analisti ed enti del settore energetico ricorda in modo allarmante il ruolo che le agenzie di rating avevano avuto nel garantire la solidità dei mutui subprime mentre si creava la bolla immobiliare che ha portato a drammatiche conseguenze nel 2008. Per proteggere i risparmiatori dal rischio finanziario legato alla transizione economica dovrebbero essere condotte imponenti operazioni di disinvestimento dalle attuali imprese incombenti nel settore energetico.
Secondo le stime degli autori questa bolla nel valore degli assets legata ai fattori di capacità produttiva e ai rendimenti attesi di centrali a carbone e gas, idroelettriche e nucleari potrebbe eccedere il trilione di dollari nel 2030. Mentre in realtà, dato il reale aumento del LCOE per le fonti energetiche convenzionali e il costo in calo delle installazioni SWB, ci si potrebbe aspettare che la rivoluzione energetica stia arrivando e che si possa raggiungere la carbon neutrality più rapidamente ed economicamente rispetto a quanto previsto.
Liberarsi dalle imposizioni
Quanto contenuto nel report è destinato a far discutere. Sicuramente è controverso che il nucleare non sia necessario per la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile, e non bisogna dimenticare che il solare e le batterie al litio sono associati a costi in termini di materie prime e smaltimento. Quello su cui si vuole spostare l’attenzione però è come un indicatore, il LCOE in questo caso, venga considerato in maniera quasi dogmatica. Ma gli investitori, i policymakers, gli altri operatori del settore e gli attivisti possono scegliere di rifiutare questo “dogma” e chiedere che il modello di calcolo LCOE venga rivisto in maniera dinamica riflettendo le condizioni di mercato attuali e attese in maniera più realistica. Il diritto a decisioni di acquisto e di investimento più informate è un diritto da reclamare.
La stima ufficiale del LCOE (in grigio nella figura) assume per le centrali a carbone, anche di nuova costruzione, un fattore di capacità produttiva dell’85% e predice, nel 2020, un costo di 7.6 cents per kwatt/ora. La correzione che, invece che tenerlo come parametro fisso, fa variare il fattore di capacità produttiva in base ai dati storici verificati (linea blu scuro), stima nel 2020 un costo quasi quattro volte superiore (32.4 cents).
È da notare quanto si discostino tra loro le proiezioni nel decennio successivo (linee grigia e rossa), dove, partendo dall’attuale valore medio reale del 40%, il fattore di capacità produttiva decresce fino al 10% nel 2035. L'errore verrebbe ulteriormente amplificato se si considerassero interamente i costi sociali e ambientali legati agli investimenti nel carbone.
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