Flat tax, un concetto che fa presa e per tanti ormai significa solo meno tasse da pagare. La proposta viene da “destra”, promette meno tasse per tutti e un fisco più semplice, ma l’applicazione concreta nel mondo si verifica solo a Est (Russia in testa, che ancora oggi tassa tutti al 13%). Se si guarda all’unico testo normativo esistente (una proposta di legge targata Lega), si trova non un’aliquota unica ma una vera e propria babele di scaglioni e detrazioni.

Ironia della sorte, poi,  la flat tax -  sistema fiscale caratterizzato da un’aliquota fissa, ossia non progressiva - tanto invocata da Matteo Salvini e dal centro destra tutto (e parallelamente osteggiata dal mondo politico di centro-sinistra) viene applicata soltanto in alcuni Paesi della galassia ex comunista. E prima di dire chi favorisce e chi penalizza occorre capire bene come funziona, senza pregiudizi o preconcetti.

Che la divisione quasi calcistica sul tema (la destra a favore la sinistra contro, a prescindere) di certo non aiuta a capire come stanno realmente le cose. E prima di dire, come ha fatto il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini che è una “boiata pazzesca”, occorre sapere di cosa si sta (si starebbe, perché di concreto c’è solo una proposta di legge datata 2020) effettivamente parlando.

Il punto della situazione

Partendo dall’oggi, in Italia la flat tax esiste già e si applica alle partite Iva in regime forfettario, nella misura del 5% per i primi 5 anni e poi del 15% a patto che registrino ricavi o compensi fino a 65mila euro. Questi contribuenti non pagano né Irpef né Iva o Irap e non sono soggetti agli Isa (gli Indici sintetici di affidabilità); di contro, non possono applicare detrazioni o deduzioni fiscali in dichiarazione dei redditi.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, non perde occasione di ribadire che se vince il centro-destra arriverà, progressivamente, la flat tax per tutti. Cioè aliquota unica e zero detrazioni (ad esempio per le spese sanitarie) di vecchia memoria. Ma che cosa dice esattamente la proposta di legge della Lega? Secondo il programma della Lega, la sua introduzione sarebbe parziale (perché limitata a certe fasce di reddito) e non attuabile subito, bensì in una fase 2 (è poi prevista una fase 3 in cui la flat tax si applicherebbe a tutti i soggetti).

Matteo Salvini, leader della Lega

Nell’immediato, poi, viene proposto di estendere da 65 mila a 100mila euro di fatturato la soglia del regime agevolativo per gli autonomi, in attesa  “di una ridefinizione complessiva del sistema di imposizione sul reddito”. Tanto che l’idea di flat tax si abbina a un sistema fiscale completamente rivisto e che parte dal concetto non più di singoli redditi ma di “famiglie fiscali”. Di fatto, il reddito di riferimento dell’imposta non sarebbe più quello individuale ma quello familiare, dato dalla somma dei redditi di tutti i membri del nucleo.

La proposta della Lega

L’aliquota, inoltre, non sarebbe fissa. Ma aumenterebbe all’aumentare del reddito tenendo conto di un complesso sistema di detrazioni che sarebbero fisse e non più legate alle spese (ad esempio quelle sanitarie) effettivamente sostenute. Superato il limite di 30mila euro per il single (o i limiti superiori per gli altri tipi di famiglie, 55 mila per le famiglie monoreddito con familiari a carico e 70 mila per quelle bireddito), si applicherebbe ancora il regime Irpef ordinario, quindi con le attuali quattro aliquote e le deduzioni e detrazioni oggi in vigore. Con l’ulteriore complicazione che l’unità impositiva tornerebbe a essere il singolo individuo e non più la famiglia. Se lo scopo è proporre una vera e semplice flat tax, non è sicuramente raggiunto.

Se, invece,  l’obiettivo, spiegano Massimo Baldini, Professore di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia "Marco Biagi" dell'Università di Modena e Reggio Emilia, e Simone Pellegrino, professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze Economico-sociali e Matematico-statistiche (Esomas) dell’Università di Torino, su Lavoce.info,  «è ridurre, ragionevolmente, le imposte per il ceto medio, si potrebbe facilmente ottenere lo stesso risultato modificando l’attuale struttura dell’Irpef». Anche se, come spiega bene Marco Miccinesi, ordinario di Diritto tributario alla Cattolica di Milano, in un intervento pubblicato dal Sole24Ore il 30 agosto scorso, un prelievo fiscale che metta al centro il reddito famigliare non violerebbe bensì applicherebbe in maniera diversa da quella attuale il principio di progressività dell’imposizione.

In compagnia dell'Europa dell'Est

D’altra parte, se mai l’Italia introducesse un sistema (di vera) flat tax sarebbe in compagnia non di Francia o Germania ma dei Paesi dell’Est Europa. In generale è stata adottata perché in precedenza questi paesi non avevano un vero e proprio sistema fiscale né un’amministrazione fiscale. L’esigenza di semplicità era quindi molto forte.

Negli ultimi anni – come si può leggere nel Osservatorio dei conti pubblici italiani edito dall’università Cattolica del Sacro cuore di Milano - diversi paesi l’hanno abbandonata: La Serbia è passata dall’aliquota unica del 14% introdotta nel 2003 a tre aliquote (10-20-25%) nel 2013; la Slovacchia dalla flat tax al 19% introdotta nel 2004 è passata a due aliquote (19 e 25%) nel 2013; la Repubblica Ceca dall’aliquota unica al 15% introdotta nel 2008 è passata a due aliquote (15 e 23%) nel 2013;  l’Albania da una tassa unica del 10% introdotta nel 2007 è passata a due aliquote (13 e 23%) nel 2014; la Lettonia dal 25% per tutti i contribuenti introdotta nel 1997 è passata a tre aliquote (20-23-31%) nel 2018;  la Lituania da una tassa unica del 15% introdotta nel 1994 è passata a un sistema  a tre aliquote (15-20-32%) nel 2019; infine, la Macedonia abbandonerà la flat tax al 10% introdotta nel 2007 a favore di un sistema fiscale a due aliquote (10-18%) il primo gennaio 2023.

Otto su quarantatre

Sono quindi rimasti otto i Paesi europei (su un totale di 43) che attualmente prevedono la flat tax come imposta sul reddito delle persone fisiche. Questi paesi sono la Russia (13%), l’Estonia (20%), la Romania (10%), la Bosnia-Erzegovina (10%), la Bielorussia (13%), la Bulgaria (10%), l’Ucraina (18%) e l’Ungheria (15%). Di questi, solo Ungheria e Bulgaria non prevedono un’area di esenzione fiscale.

Del resto, la scelta della flat tax per questi Paesi era di fatto obbligata.

Infatti, dopo la caduta dei regimi comunisti, i paesi dell’Est (sia quelli che erano prima formalmente indipendenti sia quelli che nacquero dalla disgregazione dell’Urss) hanno dovuto creare quasi da zero le proprie amministrazioni fiscali e doganali. In questi paesi non c’era un vero e proprio sistema fiscale dato la grande maggioranza della popolazione era occupata nel settore pubblico e le imprese erano di proprietà dello stato. Inoltre in tutti questi paesi l’economia sommersa era attorno al 30-40% sia in termini di occupati che di Pil.

Il contesto dell'Europa orientale

Era dunque molto forte l’esigenza di creare sistemi fiscali compatibili con un’economia di mercato e di farlo molto rapidamente. Inizialmente, quasi tutti adottarono il  sistema fiscale che fu adottato nell’Urss pochi giorni prima della disgregazione e che prevedeva come unica tassa l'imposta sul valore aggiunto. Successivamente, con l’accelerazione della transizione verso un'economia di mercato, questi paesi hanno introdotto varie forme di imposte sul reddito personale caratterizzate sempre da una forte semplicità: fatta eccezione per la Federazione Russa, tutti i nuovi paesi indipendenti adottarono la flat tax o un sistema a due scaglioni.

Verso la fine degli anni 90 altri paesi dell’est hanno modificato le proprie legge fiscali introducendo la flat tax.

Tuttavia, contrariamente a quello che si possa pensare, diversi di questi paesi, tra cui la Lituania e la Lettonia, l’hanno adottata con l’esplicito obiettivo di aumentare il gettito fiscale. Del resto, i tre argomenti chiave a favore dell'introduzione della flat tax sono: la semplicità, caratteristica che dovrebbe migliorare la trasparenza e ridurre i costi amministrativi; la riduzione delle distorsioni fiscali e quindi il miglioramento dell'efficienza economica; il contributo ad una maggiore crescita del Pil, il che induce alcuni a ritenere che tale riforma potrebbe  autofinanziarsi. «Eppure – si legge nel rapporto della Cattolica - la maggioranza degli studi empirici forniscono risultati non incoraggianti sull'impatto che la flat tax avrebbe sulla crescita economica».

Il caso della Russia 

Tra i paesi dell’Est che non hanno abbandonato la flat tax e che apparentemente hanno ottenuto i risultati migliori vi è la Russia. La riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, entrata in vigore nel 2001, comportò il passaggio da tre scaglioni (12-20-30%, con una aliquota media al 14%) ad un’unica aliquota del 13%, insieme ad un ampliamento della no-tax area.

Nello stesso anno e nei due anni successivi, le entrate fiscali aumentarono al netto dell’inflazione rispettivamente del 26%,  21% e del 12% a fronte di aumenti del Pil che, seppure molto elevati, erano notevolmente inferiori (5 4,7 e 7,3%). Tuttavia, gli economisti  tendono a negare che ci sia un nesso causale fra la questi risultati e l’introduzione di un’aliquota unica anche perché la riforma della imposta personale non fu una riforma isolata ma fu parte di un ampio pacchetto di riforme introdotte a seguito della crisi del debito sovrano del 1998, una crisi dovuta in larga misura proprio all’inefficacia del previgente sistema fiscale.

La riforma non introdusse una vera e propria flat tax, ma piuttosto ampliò la base imponibile, eliminò una serie di possibilità di elusione per i redditi da capitale, ridusse le aliquote massime. In realtà, l’accelerazione della crescita economica iniziò ben prima dell’introduzione della riforma e fu verosimilmente causata dall’aumento dei prezzi degli idrocarburi.

La mappa*
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* Le aliquote dei Paesi europei che hanno adottato la flat tax (valori in percentuale aggiornati al 2022)