Mentre l’inflazione ha fatto segnare un picco in ottobre dell’11,9% annuo, il prezzo gas del mercato tutelato è sceso del 13%. È una buona notizia, anche perché è un indizio che scenderà anche per gli altri utenti. L’inflazione è salita perché i prezzi si aggiornano con ritardo, quindi passata l’onda inflazionistica del gas, quella dei prezzi generali sta ancora montando. Dovrebbe tuttavia durare poco. Sempre che gli allarmi sulla perdita di potere di acquisto della moneta e del reddito non siano così strillati da indurre le imprese ad anticiparli, gettando benzina sul fuoco.
Questo è il motivo del rigore dei banchieri centrali, nel cercare di orientare le aspettative nel senso di un ritorno sotto controllo della dinamica dei prezzi, per spegnere l’auto-inflazione, una volta estinto l’innesco dell’energia. E veniamo a quest’ultima. C’è stato un momento, durante l’estate, in cui sembrava che i prezzi dei future di Amsterdam (il famigerato TTF) gonfiassero le bollette sia del gas che dell’elettricità in una rincorsa senza fine.
Il governo scriveva che il costo di importazione delle fonti di energia primaria dall’estero era valutato in crescita annuale da 43 a 100 miliardi di euro (ma finiremo sperabilmente piuttosto sotto, forse sotto i 90 miliardi). Spalmare 47 o 57 miliardi su 25 milioni di famiglie avrebbe fatto emergere un maggior costo nazionale per l’energia di 1700-2000 euro a famiglia (tra quello pagato direttamente e quello incorporato in tutti i beni e servizi). Decisamente un ammontare alto e non fiscalizzabile.
Capricci finanziari ed extraprofitti
Ciò che però bisognerebbe evitare è che gli aumenti risparmino alcuni e danneggino altri – famiglie e/o imprese – fino all’orlo dell’insolvenza. E questo non è dovuto alla dinamica dei prezzi all’origine, ma alla selva di regole contrattuali e di indicizzazioni dei contratti. A questo, in effetti, le autorità di regolazione dovrebbero badare, perché proprio a queste regole di indicizzazione potrebbero essere dovuti gli extraprofitti. Tali extra profitti sono poco accettabili nelle condizioni attuali, perché non retribuiscono particolari e maggiori rischi degli operatori, ma sono l’esito di capricci finanziari non ricorrenti: per questo dovrebbero essere evitati o restituiti ai bilanci da dove vengono. Non bisogna però criminalizzare le regole di indicizzazione scritte in un altro periodo storico.
Un'indicizzazione da non condannare
In realtà, indicizzare l’elettricità al gas era un corretto incentivo per gli investitori nelle rinnovabili, senza necessità di pagare i loro investimenti con i soldi dello Stato. Inoltre, i prezzi del TTF erano stati per più di dieci anni molto buoni, perché l’Europa godeva di una condizione di eccesso di offerta di gas, che manteneva bassi i prezzi, pur superiori a quelli nordamericani, dove si era accettato il fracking. Ora, il prezzo di luglio e di agosto sul TTF (222€/MWh contro 44€ un anno prima) ha sicuramente attratto qualche speculatore, come sempre accade quando c’è volatilità. Ma non è stata la speculazione a far crescere il gas. Il prezzo TTF si è impennato perché l’eccesso di offerta decennale di gas si è ribaltato a causa della riduzione del flusso russo (che costituiva il 40% del venduto europeo). Peraltro, i paesi europei, impegnati individualmente e non in concerto, nella strategia di anticipare il riempimento degli stoccaggi per far fronte all’inverno, si facevano concorrenza per comprare quantità che non erano disponibili e quel poco che poteva essere ceduto saliva di prezzo come accade in questi casi. Tra l’altro, questo è stato reso iperbolico da operatori che avevano venduto a termine la materia prima senza poterla consegnare e hanno dovuto ricomprarla a qualunque costo prima dello spirare contrattuale.
Anche qualche speculatore piange
Questi operatori, speculatori al ribasso, non hanno però davvero fatto una buona fine, avendo venduto il gas subito dopo l’inizio della guerra, scommettendo sulla breve durata e puntando a guadagnare una differenza al ribasso con la pace; invece, ci hanno rimesso una grande differenza al rialzo. L’onda di scarsità congiunturale e speculativa però è terminata. È terminata perché i regolatori stanno disconnettendo le regole di calcolo dei prezzi al dettaglio dai prezzi TTF, come ha fatto Arera. È terminata perché con l’inverno in ritardo e gli stoccaggi pieni la domanda è rientrata nei binari dell’offerta, nonostante la interruzione dei flussi attraverso Nord Stream 1.
Ovviamente è presto per cantare vittoria. Ci sono tre osservazioni di cui tenere conto. Primo, il 2023 inizierà tra pochissime settimane e, stante la mancanza definitiva dell’offerta russa, per approfittare del mercato globale del gas liquefatto occorre che chi non li ha – come l’Italia – si doti di terminali rigassificatori cui fare attraccare le navi. Altrimenti la crisi tornerà. Secondo, bisogna aspettarsi che il prezzo del gas e dell’elettricità non torneranno mai più quelli di prima. Il nuovo mix industriale per ottenere gas ed elettricità costerà di più nell’immediato, ma in compenso darà più sicurezza e certezza di medio termine con la diversificazione.
Dunque, dovremo abituarci a convivere con prezzi energetici più cari. Terzo, i prezzi di mercato hanno un senso, perché indicano se e quando un bene è scarso. Ebbene, l’energia lo è. È scarsa. Per questo, nei panni del governo non metteremmo tutte le risorse del decreto bollette sull’abbattimento delle stesse, perché non sarebbe una buona idea.
Dopo aver indirizzato alcune risorse alle famiglie e alle imprese in più grave e reale difficoltà, sarebbe meglio sparare le ultime cartucce fiscali della politica energetica del 2022 con misure strutturali, come gli incentivi al risparmio energetico, a sostituire apparecchi e strumenti energivori nelle case e nelle fabbriche, nonché alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
Nell’immediato, non abbatteremmo le bollette di tutti, ma nel medio e lungo periodo sì, perché avremmo meno domanda e più offerta, oltre tutto non per un solo anno fiscale, ma per sempre.
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