La neutralità non è una parola magica, eppure è diventato un termine di attualità sotto molte dimensioni. Ne parlava il piano di pace di pace italiano alla ricerca di una soluzione dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, un piano che prevedeva la neutralità di Kiev assicurata da una “garanzia” politica internazionale. Così come nelle stesse proposte del Governo di Kiev l’ipotesi della neutralità era stata avanzata in più occasioni soprattutto nell’ottica di garanzia di non adesione ad alleanze militari e in particolare alla Nato.

Il presidente svizzero Cassis: «Neutralità non è indifferenza»

Ma fin dai primi giorni di guerra il tema ha fatto scorrere fiumi di inchiostro e di polemiche nel paese che è il simbolo storico della neutralità, la Svizzera. Polemiche legate all’immediata adesione del Governo di Berna alle sanzioni annunciate dall'Unione europea. Anche per evitare che la Svizzera potesse essere usata come piattaforma per aggirare i blocchi degli altri paesi.

“Neutralità non vuol dire indifferenza”. Così il presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, ha sintetizzato la posizione svizzera dopo l’aggressione russa e difeso la strategia delle sanzioni. "La Svizzera – ha sottolineato - mette la sua neutralità al servizio della diplomazia internazionale per evitare che si ricorra alla peggior soluzione, cioè le armi per risolvere i conflitti”.

L’Udc: «Le sanzioni annullano la neutralità»

Tra gli oppositori in prima fila l’Udc, l’Unione democratica di centro, il partito nazionalista, conservatore e con qualche venatura populista, che si è affermato negli ultimi anni come primo partito con un quarto dei deputati e due membri (su sette) del Consiglio federale, cioè del Governo.

“È deplorevole – ha affermato il presidente dell’Udc, Mario Chiesa – che il Consiglio federale, avendo adottato le sanzioni Ue contro la Russia, non possa più portare avanti la sua neutralità”. E nel recente congresso di Coira all’inizio di aprile l’Udc ha chiesto con forza un aumento delle spese militari schierandosi apertamente in sostegno dell’acquisto dei 36 caccia F35 (dal costo di cento milioni di dollari ciascuno) per la difesa aerea del paese. Un acquisto contestato duramente dai partiti di sinistra, con in primo piano il Partito socialista e i Verdi uniti in un gruppo “Per una Svizzera senza esercito”.

Settecento anni al di fuori dalle guerre

Per settecento anni dalla sconfitta nella battaglia di Marignano nel 1515, la Svizzera è riuscita mantenere la propria neutralità superando praticamente indenne le due guerre mondiali che hanno insanguinato l’Europa nel Novecento. Una neutralità sancita dalla pace di Vestfalia nel 1648 che pose fine alla Guerra dei trent’anni e riconosciuta dal Congresso di Vienna del 1815 che definì i nuovi assetti di potere in Europa dopo la caduta di Napoleone e stabilì che “la neutralità e l’inviolabilità della Svizzera e la sua indipendenza da qualsiasi influenza straniera sono nell’interesse di tutta l’Europa”. Pochi mesi dopo, con il Trattato di Parigi, veniva dichiarata la neutralità “perpetua” attraverso un’intesa con cui la Confederazione si impegnava a non partecipare a conflitti armati in cambio dell’inviolabilità del suo territorio.

«Armata, attiva, operativa, solidale, partecipata»

La parola neutralità è spesso accompagnata in Svizzera con aggettivi come “armata” (con un esercito dotato delle armi più moderne, con la leva obbligatoria e frequenti richiami), “attiva” (per la presenza nelle istituzioni internazionali come l’Onu e l’Osce), “operativa” (per le iniziative nel campo del dialogo internazionale come il vertice di Lugano che all’inizio di luglio riunirà più di 40 paesi che intendono impegnarsi per la ricostruzione dell’Ucraina), “solidale” (per la partecipazione ad iniziative umanitarie senza dimenticare che proprio in Svizzera vi è la sede del Comitato internazionale della Croce rossa), “partecipata” (per indicare la collaborazione con gli altri paesi soprattutto per le politiche per il mantenimento della pace comprese le operazioni militari sotto l’egida dell’Onu).

Anche in questa prospettiva la Svizzera ha aderito nel 1996 al programma Partenariato per la Pace (PfP) e un anno più tardi è diventata membro del Consiglio di partenariato euro-atlantico (organismo per il dialogo e la consultazione tra membri dell’Alleanza atlantica e partner esterni). Unità dell’esercito svizzero possono partecipare a operazioni di mantenimento della pace solo nell’ambito dell’Onu o dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). È stato questo il caso del sostegno alla Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo dal 1999, e dell’operazione in Afghanistan dal 2004 al 2007.

Le scelte di Finlandia, Svezia e Irlanda

Dalla Seconda guerra mondiale a oggi, altri cinque paesi europei oltre alla Svizzera si sono dichiarati neutrali, sebbene con modalità differenti: Finlandia, Svezia, Austria, Irlanda e Malta. Tutti sono entrati a far parte dell’Unione europea, mentre la Svizzera ha firmato una serie di accordi bilaterali con cui si è realizzato di fatto un mercato unico, escludendo, ovviamente, la partecipazione alle istituzioni comunitarie. Una pattuglia di paesi destinata a ridursi dato che Finlandia e Svezia hanno già fatto domanda di adesione alla Nato rinunciando quindi esplicitamente alla loro neutralità. Il ministro degli Esteri e della Difesa irlandese Simon Coveney ha peraltro dichiarato nei giorni scorsi, con una chiara allusione al conflitto in Ucraina, che "eticamente, moralmente e politicamente" il suo Paese "non è neutrale".

Fonte: worldpopulationreview.com

L’inutile neutralità integrale del Belgio (1914 e 1940)

La neutralità è una garanzia se è riconosciuta e rispettata dagli altri paesi. Il caso più drammaticamente emblematico è, per esempio, quello del Belgio la cui neutralità era stata garantita dal Trattato di Londra (1839) firmato anche dalla Prussia, trattato ribadito alla Conferenza dell'Aja nel 1907 da parte dell'Impero tedesco, che aveva ereditato e confermato gran parte degli obblighi diplomatici della Prussia. Ebbene nel 1914 le armate tedesche invasero il Belgio nel tentativo di aggirare la resistenza dei francesi. Il cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg disse di considerare il trattato del 1839 come un "pezzo di carta". La stessa vicenda sarà destinata a ripetersi nel 1940. Con re Leopoldo III che riaffermò in più occasioni la “neutralità integrale” e con Hitler che diede ordine alla Wehrmacht di bombardare Bruxelles e Anversa e di occupare il paese per “salvaguardare la neutralità del Belgio”. 

Una neutralità ad assetto variabile

In pratica la storia insegna che la neutralità non può essere un dogma, ma è un’opzione di politica internazionale, tanto più a assetto variabile, quanto più complessi diventano gli equilibri internazionali. E soprattutto in una situazione come l’attuale pensare di poter fare come Ponzio Pilato vorrebbe dire stare dalla parte dei più forti e chiudere gli occhi di fronte ai drammi umani oltre che alle violazioni del diritto internazionale.