E se provassimo a guardare al risultato delle elezioni amministrative facendoci prestare gli occhiali dall’economia? Non con l’economia dei grandi classici o dei raffinati modelli quantitativi, ma con gli esempi che hanno portato nelle scorse settimane gli economisti David Card, Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens a conquistare il premio Nobel. Con loro è stata premiata la capacità di rispondere a domande complesse attraverso l'uso di quelli che sono stati chiamati esperimenti naturali, cioè l’osservazione dal basso delle realtà.
Le elezioni possono essere considerate un esperimento naturale. Soprattutto se si osservano in questa occasione le città che possono essere emblematiche delle tendenze di fondo e dove si possono intrecciare i giudizi sulle scelte dei partiti con i risultati delle sezioni.
Il post-moderno prealpino
Sperimentiamo allora questo metodo con quanto avvenuto a Varese, una realtà per tanti aspetti particolare, un esempio concreto di post-moderno, una dimensione per molti aspetti anticipatrice di tendenze di lungo periodo. Una città un tempo operaia e manifatturiera: il Calzaturificio era naturalmente quello di Varese; l’Aermacchi era un’industria di punta nel campo aeronautico con lo stabilimento quasi in centro città; cartiere, concerie e maglierie erano esempi di imprese familiari cresciute rapidamente prima e dopo la Guerra. Una città ora di commercio e di terziario avanzato senza più grandi eccellenze e molto dipendente da Milano per le iniziative sociali e culturali.
Dalla Dc alle ampolline di Bossi
Saldamente governata dalla Democrazia cristiana fino ai sussulti di Tangentopoli, Varese è stata poi la culla della Lega di Umberto Bossi, una Lega che ha espresso nel 1993 il suo primo sindaco, Raimondo Fassa, a cui è seguito Aldo Fumagalli e poi, dal 2006 al 2016 l’attuale presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, per dieci anni nello storico e prestigioso ufficio di Palazzo Estense.
Fino a che un giovane avvocato, fino ad allora quasi sconosciuto (anche in città) non è riuscito nella missione da molti ritenuta impossibile di sconfiggere una Lega peraltro appesantita da un sostanziale immobilismo e dalla debolezza delle decisioni strategiche sul futuro della città. È stato così che Davide Galimberti (Pd) ha dapprima vinto a sorpresa le primarie del suo partito, sconfiggendo Daniele Marantelli, un nome storico della sinistra varesina, e poi ribaltando al ballottaggio il risultato del primo turno favorevole al centrodestra rappresentato in quell’occasione da Paolo Orrigoni, molto conosciuto perché illustre figlio del fondatore di una catena locale di supermercati.
Quest’anno già nel primo turno Galimberti era in vantaggio con il 48% dei voti e al ballottaggio ha ottenuto il 53,2% delle preferenze, mentre il rivale Matteo Bianchi del centrodestra si è fermato al 46,8%. Alle urne si è recato solo il 48,36% degli elettori, meno di un varesino su due, confermando tuttavia una tendenza nazionale.
Che cosa si può cogliere guardando oltre ai risultati da questo esperimento naturale?
- La concretezza. Galimberti, pur da outsider, aveva vinto nel 2016 grazie ad un giudizio sostanzialmente critico verso l’amministrazione precedente. Era stato un voto “contro”. In queste elezioni ha prevalso al contrario la considerazione positiva di quanto è stato fatto e soprattutto di quanto è stato avviato. Un voto “per”. Un esempio per tutti. A Varese c’è proprio in centro città una grande caserma costruita nel 1861 e abbandonata dai militari nel 1970. Per cinquant’anni è rimasta esposta al degrado, alle intemperie e alle polemiche. Acquistata infine dal Comune nel 2007 è rimasta per altri dieci anni al centro delle discussioni sul che cosa farne. Ebbene la giunta Galimberti è riuscita nel difficile compito di varare un progetto esecutivo ed iniziare i lavori per farne un polo culturale. A questo punto i varesini non devono aver preso molto bene la proposta della Lega, nel programma elettorale del candidato Matteo Bianchi, di fermare ancora una volta tutto e rimettersi a tavolino e studiare un nuovo progetto per spostare nell’ormai ex-caserma gli uffici comunali. Un classico autogol.
- La vicinanza. Galimberti ha vinto le primarie del 2016 e le successive elezioni grazie ad un’immagine di competente semplicità. Come già nelle primarie e nel voto di cinque anni, Galimberti è salito sui sette colli di Varese (sì, sette come quelli di Roma), ha partecipato ad iniziative nelle castellanze (a Varese i quartieri si chiamano così), ha cercato di tenere insieme una coalizione larga con la partecipazione di piccoli gruppi di area cattolica e sostanzialmente moderata. Sabato 9 ottobre in contemporanea nei venti rioni di Varese c’erano altrettanti gazebo “galimbertiani” per ascoltare le richieste dei cittadini.
- La politica locale. Al contrario della Lega il centro-sinistra non ha fatto venire a Varese i grandi nomi della politica. Tra i due turni il segretario della Lega, Matteo Salvini, è stato invece a Varese quattro volte incentrando i propri discorsi sulla necessità del cambiamento. Ma l’appello a cambiare per cambiare non ha raccolto molti favori. Ecco il giudizio del leghista (ormai ex) Raimondo Fassa: «Il tentativo di Salvini di stare contemporaneamente al governo e all’opposizione ha generato un certo clima di sfiducia nella sua persona che non poteva non riverberarsi sul Partito da lui capitanato. Un’operazione del genere sarebbe potuta riuscire (forse…) soltanto al Bossi di una volta!». La stessa scelta di Matteo Bianchi, come sfidante, è apparsa catapultata dall’alto per dovere di partito, all’ultimo momento utile. E pur con tutta la sua buona volontà e uno spirito giovane e dinamico Bianchi, peraltro non varesino doc perché residente in un comune vicino, non è riuscito a stare al passo con le iniziative dell’avversario.
- La varesinità. Galimberti ha vinto in gran parte dei seggi del centro e dell’immediata periferia. È stato superato solamente in alcune piccoli agglomerati che fanno ovviamente parte del Comune, ma che hanno una loro identità di paese. Come la Rasa, alle pendici del Sacro Monte, o Capolago, come dice il nome sulle rive del lago. Quasi come se la Lega rappresentasse una immagine specifica di autonomia e di protesta verso il “centro” sia esso Roma o il Municipio del proprio comune.
- La visione. Nei suoi primi cinque anni il sindaco ha dato il via ad un progetto particolarmente importante: il piano per le stazioni per fare della città un hub delle comunicazioni per l’area prealpina. Un progetto che mira ad unificare le due stazioni ferroviarie con quelle degli autobus urbani ed extraurbani. Con l’obiettivo di rendere più fluidi e competitivi i collegamenti con Milano, Lugano, l’aeroporto della Malpensa, il lago Maggiore. Un progetto la cui realizzazione si è avviata grazie ai fondi governativi e ,
- La fiducia. Dopo i mesi dell’emergenza sanitaria, è apparsa chiara la volontà di riprendere un cammino interrotto, di ricostruire relazioni e prospettive di vita. E a livello locale questo punto è stato ancora più forte perché la città ha perso il 10% dei suoi abitanti negli ultimi vent’anni. Come una bella addormentata in cerca di risveglio.
Quali conclusioni dal bilancio di questo esperimento naturale varesino?
Innanzitutto, che la politica può essere vincente se affronta i problemi e non solo se propone soluzioni.
In secondo luogo, che la logica dell’alternanza non è un postulato. Che i grandi slogan vanno bene (e nemmeno troppo) per i talk show, ma non per consolidare i consensi.
E infine che la politica si può fare con i social e il culto dell’immagine, ma soprattutto a livello locale quello che può fare la differenza è l’unità delle idee con le azioni. Con un ruolo fondamentale al dialogo e all’incontro: consumando la suola delle scarpe.
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