Da qualche giorno è tornato a riscaldarsi il tema dell’inflazione. Il gas è tornato, al mercato di Amsterdam, ai prezzi pre-guerra, nonostante la riduzione delle consegne russe. È cresciuta l’offerta di gal liquefatto e non è così florida la domanda. In Europa l’inverno sta avendo una evoluzione tanto mite quanto severa è quella nel nord-America. Inoltre la congiuntura del paese maggiormente energivoro, ossia la Germania, sta flettendo.
Il 6 gennaio la Befana ha portato un sacco di carbone (figurato) all’industria tedesca, con dati nuovissimi congiunturali di questo tenore: vendite al dettaglio in calo (anno su anno) del 5,9% contro una aspettativa di -2,9% e ordinativi manifatturieri in calo (anno su anno) dell’11% contro una aspettativa di -7%. Insomma, sembra che almeno in Germania la recessione non sia proprio evitabile, quanto meno nella prima parte del 2023. Poi dipenderà dall’evoluzione della guerra.
Quanto al petrolio, la quotazione del brent ha chiuso la prima settimana dell’anno a 76 dollari a barile, vicino al minimo da un anno, e molto al di sotto del massimo collocato a 122 quando iniziò il conflitto. Gli investitori, visto il calo delle Borse conseguente al rialzo dei tassi, stanno diventando insofferenti verso le banche centrali, e qualche uscita poco composta è toccata anche al nostro governo. Non dovrebbero forse i banchieri centrali fermare il rialzo dei tassi? Sì, se l’ondata inflattiva si fosse esaurita con il rientro dei prezzi energetici, ma purtroppo non è così. La prudenza, è d’obbligo.
Gli indici trascurati dagli organi di informazione
Per cercare di comprendere meglio cosa sta accadendo dobbiamo introdurre due diversi concetti di tasso di inflazione. Tra l’altro, né l’uno né l’altro sono quelli più comunemente utilizzati dagli organi di informazione. Di solito, infatti, l’inflazione viene espressa come inflazione tendenziale, ossia quella che deriva dal calcolo della variazione percentuale dell’indice dei prezzi mensile rispetto allo stesso mese di un anno fa. Misurata così, l’inflazione tendenziale italiana è piuttosto alta (+11,6%) e la doppia cifra è decisamente preoccupante. Tuttavia, proprio in questo anno è accaduto che ciò che ha impresso velocità ai prezzi sono state le componenti volatili (in primis l’energia) e ha poco senso misurare l’inflazione generale con un indice che cambia molto e un calcolo che ha solo 13 mesi di storia.
Assai meglio considerare l’inflazione media (anziché quella tendenziale), che considera la media dell’indice degli ultimi dodici mesi e la paragona alla media dei dodici precedenti. Con questo calcolo, l’inflazione media resta alta (+8,1%), ma scompare la sindrome della “doppia cifra”. Ora, l’indice che è cresciuto dell’8,1% a che condizione e in che tempi potrebbe tornare indietro? Si possono fare due ordini di conteggi. Entrambi si vedono dal grafico 1, qui sotto.
Partiamo dalla considerazione più semplice, se dovessimo mai ammettere che l’inflazione possa scendere alla stessa velocità con cui è salita e se avessero ragione quelli che dicono che le condizioni di inversione si sono già verificate (non è così, lo vedremo dopo), allora l’inflazione media generale ha impiegato 11 mesi per passare dal 2 all’8%, quindi ci vuole come minimo un altro anno, per tornare alla base. Tuttavia, il calcolo è esageratamente ottimistico per due ragioni: la prima è che storicamente i prezzi sono più vischiosi a scendere che a salire. La seconda, che la condizione di inversione della dinamica dell’inflazione media è che l’inflazione istantanea annualizzata sia inferiore alla media.
Ora, l’inflazione istantanea annualizzata che abbiamo calcolato ha toccato il picco tre mesi fa (+19,6%) ed è scesa (+18,2% l’ultimo dato), ma siamo lontani da un target inferiore alla media (dovrebbe essere inferiore a 8,1% per fare scendere quest’ultimo). Nel nostro grafico, tra l’altro, l’inflazione istantanea è calcolata mensilmente ma sull’ultimo trimestre di dati. Quindi, anche se l’inflazione tendenziale (quella solita, ma inadatta) il mese prossimo scenderà, quella media continuerà a salire, speriamo per poco.
Dietro l'exploit dell'inflazione istantanea
Qui si innesta un secondo argomento. Ci arriviamo. Perché mai l’inflazione istantanea è così alta? Nel secondo grafico proponiamo l’inflazione istantanea annualizzata calcolata sull’indice generale (quella del grafico 1), paragonandola con quella calcolata sull’indice generale al netto dei prodotti energetici e con quella dei prodotti energetici. Quest’ultima si legge sull’asse di destra, se no andrebbe fuori scala, tale è stata la fiammata shock del 2022.
Ora, come si vede l’inflazione generale istantanea dall’inizio della crisi energetica ricalca (in misura proporzionata al peso energetico) quella dei proditti energetici. Quelli che entrano nell’indice dei prezzi non sono quelli primari, come il Gas di Amsterdam e il petrolio brent, perché i consumatori acquistano prodotti finali dalle società distributrici, che riflettono solo con ritardo (e qualche volta non compiutamente) le variazioni dei prodotti primari. Quindi, anche se i prezzi primari sono tornati a livelli prebellici, i prezzi finali non ancora. Così, l’inflazione energetica istantanea per i consumatori è stata, nell’ultimo trimestre (in termini annuali) del 50,8% ed è questa che ha comportato che l’inflazione istantanea generale sia ancora al 18,2%.
Ma c’è di più. I prezzi energetici si sono trasmessi a tutti gli altri, cosicché l’inflazione istantanea calcolata sull’indice generale, ma al netto dell’energia è ancora del 5,3% e non è in discesa. Che cosa vuol dire? Vuol dire che se anche i prodotti energetici azzerassero il loro contributo all’inflazione, l’inflazione media scenderebbe (perché 5,3% è inferiore a 8,3%), ma non punterebbe al 2%, ma intorno al 4-5%. Che è il probabile target del 2023, se i prezzi energetici tornassero dove erano, o pressapoco.
L'effetto path dependency
L’inflazione non energetica è di certo la conseguenza del rialzo energetico, ma non solo. Quando i prezzi prendono il volo, si innesta la path dependency, guidata dalle aspettative. Inoltre è noto che negli ultimi venti anni in Italia i margini aziendali siano stati mediamente bassi (per via della dinamica piatta della produttività) e molte aziende potrebbero aver colto l’occasione dell’inflazione per una chiamata generale di adeguamento dei listini. Produttività e concorrenza potranno ridimensionare i margini, ma non avverrà istantaneamente: sono processi che richiedono tempo.
Per concludere, la battaglia delle banche centrali non è finita, almeno fino a quando il tasso istantaneo generale non scenderà sotto la media, ma potrebbe rallentare per dare tempo all’economia di adeguarsi al nuovo livello dei tassi di interesse. L’obiettivo del 2% non è alla portata del 2023, e tutti dovrebbero considerarlo, per evitare di sorprendersi ad ogni rilascio di dati mensili. L’inflazione energetica potrebbe riaccendersi, se la guerra dovesse inasprirsi, ma l’offerta energetica si sta adattando, così come la domanda, quindi una fiammata della stessa intensità di quella del 2022 è improbabile.
Torneremo tra qualche mese a valutare la dinamica dell’inflazione istantanea e media, per informare i lettori in modo completo.
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