Che cosa può insegnarci la vicenda dell’ex presidente americano Trump rispetto ai social network? Il capitalismo contemporaneo sta vivendo un’altra ristrutturazione.
Quando l’Occidente è sopravvissuto all’autodistruzione del blocco socialista trent’anni fa, il Washington Consensus è diventato un modello egemonico per lo sviluppo onnicomprensivo delle nazioni del mondo. Questo modello, oltre all’economia neoliberale, alla cultura consumista e alla politica democratica, offre anche una struttura ideale del mondo vitale. Nella terminologia di questo modello, la nazione contemporanea ideale dovrebbe consistere in una buona società, una buona politica e una buona economia — come principi della coesistenza delle sfere sociali, politiche e private dell’esistenza umana.
Buona società e buona politica
Una Buona Società è una società di tipo ideale che si sforza di garantire ai suoi membri il raggiungimento di una vita felice in un processo di continuo dibattito sulle idee e le azioni politiche contro i suoi valori fondamentali: uguaglianza, democrazia e sostenibilità. Una Buona Politica è un altro tipo ideale (questa volta di sistema politico) che assicura che i gruppi e i centri di potere siano sotto il controllo democratico, che le autorità non possano controllare la libertà di espressione e comunicazione, e che il governo pubblico non sia corrotto. Ed entrambe — una buona società e una buona politica — hanno bisogno di una Buona Economia, il settore privato con l’equilibrio ideale di interesse privato e bene pubblico. Una buona economia rispetta la felicità delle persone, i buoni regolamenti del governo responsabile, e il settore privato che si comporta come un buon "cittadino d’impresa" (corporate citizen) — in cambio del rispetto della proprietà privata.
Le contraddizioni del sistema capitalistico
Questo modello ideale è di natura ideologica, il che significa che è reale in termini di intenzioni umane e di orientamenti delle pratiche collettive. Tuttavia, il sistema capitalista è noto per il suo sviluppo super-contraddittorio: qualunque sia la scuola di studiosi che prendiamo, tutti puntano sul fatto che l’evoluzione del capitalismo passa da una crisi all’altra. E la storia dell’economia politica mostra che queste crisi sono legate alla distruzione creativa che si manifesta prima nel disagio ideologico. L’attuale crisi del capitalismo può essere vista come il confronto delle forze motrici nella sfera sociale, pubblica e privata.
Quindi, come potete vedere, parto dal presupposto che una buona società, una buona politica e una buona economia possono esistere se tre sfere — pubblica, privata e sociale — cooperano, ma non interferiscono negli affari esclusivi delle altre. Il che significa che la ricerca individuale della felicità in una vivace diversità sociale coesiste pacificamente; l’uguaglianza pubblica di fronte alla legge e la libertà di comunicazione sono rispettate da tutti — il che è garantito da un governo efficace e rispettoso della legge; e che il legittimo perseguimento di guadagni privati con mezzi privati è garantito in modo indiscutibile.
E se si superano i confini?
Però, se gli attori di queste tre sfere non rispettano i loro confini, corrompono l’ordine e portano alla crisi: la distruzione creativa che può portare a un nuovo ordine, migliore o peggiore.
Joseph Schumpeter ha inventato il termine "distruzione creativa" per sviluppare l’idea di Marx di uno specifico sviluppo capitalista autocontraddittorio, per comprendere che la costante creazione di contraddizioni tra forme e processi economici vecchi, nuovi e più nuovi è il presupposto dell’esistenza del capitalismo: richiede "la perenne burrasca della Distruzione Creativa". Anche se Schumpeter ha definito questo concetto negli anni ‘40, in un contesto storico totalmente diverso, l’idea generale è ora testata in una situazione in cui il settore aziendale interviene nella sfera pubblica e sociale a livelli senza precedenti — livelli possono portare a un nuovo ordine con il nuovo capitalismo negando le libertà pubbliche, lo stato di diritto e l’autonomia sociale.
Censura e limitazione della libertà
Quindi, il caso delle reti sociali che vitano l’accesso al presidente Trump è in poche parole un divieto aziendale di comunicazione tra il legittimo capo dello Stato e i cittadini, che rappresenta un sintomo dell’attuale crisi capitalista. Questo divieto dei "social network" di proprietà aziendale ai danni del capo dello Stato — anche se si accetta la spiegazione che questo divieto è stato guidato dalla volontà di difesa dell’ordine e bene pubblico — dimostra che l’organizzazione privata può interferire nel cuore della politica pubblica: nella comunicazione del governo e dei cittadini.
Non sono d’accordo con coloro che lo chiamano un atto di censura. La censura è una politica del governo per controllare la competizione politica con gli strumenti pubblici abusando le istituzioni pubbliche. Anche il divieto al presidente da parte delle reti sociali è una forma di non-libertà, ma un’altra. Non è censura. La censura è lo strumento esclusivo della non-libertà e del male pubblico. Ecco perché non c’è giustificazione per il suo uso in qualsiasi altro modo.
La cittadinanza d’impresa
Nel caso del divieto dei "social network" al capo dello Stato, il settore privato entra nello spazio d’azione esclusivo della sfera pubblica. Se questa interferenza è guidata dal guadagno privato, allora è solo un’altra forma della corruzione. Se è davvero guidata da una comprensione estesa della "cittadinanza d’impresa", allora siamo testimoni di una nuova caratteristica dell’ordine in divenire.
La "cittadinanza d’impresa" da elemento di una buona economia e di una buona società si trasforma in una fonte di rischio per una buona politica e una buona società. La "cittadinanza d’impresa", che una volta era un fattore di legittimazione dei partecipanti al partenariato pubblico-privato, si è trasformata in una questione altamente discutibile a causa del processo che ha recentemente preso il sopravvento nel mondo.
Oggi una parte considerevole della comunicazione — di attori privati, sociali o politici — avviene attraverso le cosiddette "reti sociali", ma che in realtà sono canali di comunicazione privati dove le regole sono regole della sfera privata: riguardano il fornitore di servizi e l’utente di questi servizi. Finora, i tentativi dei governi di regolarizzare le "reti sociali", di proprietari privati, non hanno avuto successo. Questo settore aziendale è cresciuto in un enorme centro di potere che evita le limitazioni pubbliche, ma influenza enormemente il risultato dei processi pubblici, anche in termini di distribuzione del potere. Fondamentalmente, nessuno dei rami del potere può rimanere immune all’influenza corporativa.
Le libertà di espressione e di riunione
Per riequilibrare il sistema e garantire che le libertà civiche e la comunicazione politica rimangano libere, la proprietà delle "reti sociali" e dei nuovi media deve essere inserita in un contesto giuridico basato sullo "stato di diritto", dove né i proprietari privati, né i cittadini, né le istituzioni pubbliche legittime siano privati dei loro diritti. Tale legislazione — in forme internazionali e nazionali — dovrebbe occuparsi anche di altri aspetti politici e criminali della vita nelle "reti sociali", dove il bullismo e la disinformazione sono perseguiti in accordo con il diritto pubblico e attraverso un processo legale responsabile.
La libertà di espressione e di riunione deve rimanere intatta. Intoccata dai governi, dalle corporazioni e dai gruppi tossici di bulli.
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