New York. C’è una contraddizione insita nel mercato del lavoro statunitense post-pandemia della quale si parla poco, ma che avrà ripercussioni importanti. E sta già cominciando a riprodursi in alcuni angoli d’Europa.

Da un lato, il tasso di disoccupazione resta attorno al 6%, storicamente alto per gli Stati Uniti. Inoltre, stentano a svuotarsi le sacche di lavoratori scoraggiati che hanno smesso di cercare un impiego. La partecipazione al lavoro si rifiuta ostinatamente di superare il 62%, un livello per lo più scongiurato da quando le donne hanno fatto il loro ingresso in massa nel mondo del lavoro.

Lo spettro dell’automazione

Dal lato opposto, fabbriche e ristoranti non trovano il personale necessario per riaprire e ricominciare a produrre ai ritmi pre-coronavirus, rispondendo a una robusta domanda di beni e servizi. Su questo scenario apparentemente inspiegabile, inoltre, aleggia lo spettro dell’automazione, che minaccia di mangiarsi milioni di posti di lavoro, ma in modo selettivo. Secondo il recente sondaggio “Future of Jobs” del World Economic Forum, per esempio, il 43% delle aziende Usa prevede di ridurre la propria forza lavoro a causa delle nuove tecnologie.

È una situazione complessa che sindacati, associazioni patronali e il governo Usa tentano di comprendere da mesi, spesso incapaci di trovare una risposta che soddisfi aziende e famiglie.

La società di consulenza Deloitte ha analizzato il mondo della produzione manifatturiera e fotografato una situazione preoccupante. I dirigenti aziendali intervistati ritengono che trovare manodopera qualificata sia ora del 36% più difficile rispetto al 2018, anche se il numero di lavoratori disponibili è quasi raddoppiato. Il 77% è anche convinto che avrà difficoltà ad attrarre e trattenere addetti nel 2021 e oltre.

Il divario delle competenze

Secondo lo studio, restano più di 500mila posti vacanti, soprattutto in ruoli specializzati. Il centro studi dell’associazione di categoria, il Manufacturing Institute, aggiunge che il divario di competenze lascerà 2,1 milioni di lavori vacanti entro il 2030 e potrebbe costare all'economia degli Stati Uniti fino a mille miliardi di dollari. Deloitte indica alcuni motivi della penuria di braccia: i lavoratori hanno aspettative diverse rispetto a quelle che pensano di trovare in fabbrica (38%), e, in generale, i giovani hanno poco interesse per il settore (36%).

«Di fatto, molti lavoratori, soprattutto giovani, hanno un’opinione negativa del lavoro in fabbrica. Lo vedono come sporco, poco remunerativo e poco flessibile, e che non porta ad avanzamenti rapidi di carriera», spiega Neil Bradley, responsabile delle politiche per il lavoro alla Camera di Commercio americana, precisando che le aziende devono fare uno sforzo per comunicare e “vendere” meglio quello che possono offrire, compresi stipendi che sono generalmente aumentati nell’ultimo anno. È così? In effetti le fabbriche hanno aumentato i salari, di circa 1 dollaro l’ora in media, per attirare più manodopera. Ma non abbastanza. «Molti aziende produttrici sono vittime dell’effetto Amazon», aggiunge Bradley. Durante la pandemia, infatti, quando la vendita online è esplosa, i magazzini hanno aggiunto più di 125.000 posti di lavoro. E Amazon ha aumentato i salari di oltre un dollaro l’ora, e ora paga in media 26 dollari l’ora.

Il lavoro in fabbrica fa paura?

Certo, non sono posti sicuri, ma per molti lavoratori, in questo momento, sono la soluzione ideale: una sorta di parcheggio temporaneo dove guadagnarsi la vita in attesa di vedere in che direzione soffia il vento dell’occupazione e dell’automazione. È questo atteggiamento attendista, che risponde a trasformazioni rapide nel mondo della produzione, il maggiore responsabile della penuria di manodopera sperimentata da molte aziende. «Un lavoro in fabbrica adesso fa paura — sostiene Andy Van Kleunen, CEO della National Skills Coalition, un gruppo di ricerca politica che promuove la formazione della forza lavoro —. I lavoratori hanno compreso che è vulnerabile. Le interruzioni nella catena degli approvvigionamenti visti durante la pandemia, i lockdown, e il balzo in avanti verso l’automazione fatto da molte fabbriche, rendono i lavoratori esitanti a investire nella formazione necessaria per entrare in una fabbrica con un ruolo qualificato, dal quale hanno paura di non potersi riciclare rapidamente se le cose cambiano».

La contraddizione del mercato

È vero che le aziende, in tutti i settori, stanno effettuando una rivalutazione di quanti lavoratori hanno bisogno e in quali capacità. Gli economisti avvertono da mesi che alcuni lavori persi durante la pandemia non torneranno più, in particolare gli addetti al check-in degli hotel, i parcheggiatori, gli esattori dei caselli autostradali e molti posti nei fast food, che possono essere automatizzati. C'è anche un continuo calo dell'occupazione del personale di supporto amministrativo. Gli aiuti agli uffici temporanei sono diminuiti di 115mila solo ad aprile. «Abbiamo accelerato 10 anni di cambiamenti nell'arco di meno di 10 mesi», continua Van Kleunen.

Il principale responsabile della contraddizione del mercato del lavoro Usa e di una pericolosa penuria di manodopera qualificata sembra dunque un fenomeno che gli economisti descrivono come “attrito per la riallocazione”. È l'idea che i tipi di lavoro nell'economia stanno cambiando e che i lavoratori prendono tempo (aiutati da sussidi di disoccupazione e da incarichi temporanei) per capire quali nuovi impieghi vale la pena cercare e come trovare le competenze per poterli ottenere.

Si tratta di una grande rivalutazione che può essere incoraggiata e accelerata da un’offerta importante di corsi di formazione professionale. Che invece, oggi, negli Stati Uniti, mancano o sono obsoleti.