La pandemia da Covid-19 ha fatto registrare forti ripercussioni negative sul mercato del lavoro Italiano, con un tasso di occupazione che nel mese di ottobre 2020 è risultato inferiore di circa un punto percentuale rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato corrisponde a circa 473mila persone occupate in meno, prevalentemente concentrate nella fascia giovanile della forza lavoro e tra gli occupati come lavoratori dipendenti.
Nonostante un contesto di perdurante incertezza, il trimestre agosto-ottobre 2020 è stato invece caratterizzato da un leggero aumento degli occupati – mezzo punto percentuale in più rispetto al trimestre precedente – e da un aumento delle persone che sono uscite dall’inattività, trovando un lavoro o tornando a cercarne uno.
Effetto Coronavirus
La seconda ondata della pandemia ha nuovamente peggiorato il già fragile contesto economico. Con il vaccino ormai alle porte è ora più che mai opportuno cominciare a programmare la ripartenza. In questo contesto, la Legge di Bilancio 2021 – che verrà approvata nella sua forma definitiva durante gli ultimi giorni del mese di dicembre – sembra fare affidamento in larga misura su forme di incentivazione, come già ne abbiamo conosciute in passato. In particolare, tra le altre forme di intervento, nel biennio 2021-2022 viene previsto un incremento dello sgravio contributivo già introdotto nel 2018 e diretto alle assunzioni stabili di giovani lavoratori – o alle conversioni di contratti a tempo determinato. L’ammontare della decontribuzione sale dal 50 al 100 per cento, con un tetto massimo di 6mila euro su un periodo di tre anni. Vengono inoltre previste nuove forme di incentivazione alle assunzioni nelle aree meridionali del Paese, e a favore dell’occupazione femminile.
Effetto incentivi
In un contesto recessivo è lecito attendersi effetti positivi dall’introduzione di forti misure di incentivazione all’occupazione, in quanto strumenti utili sia per anticipare assunzioni che verrebbero realizzate anche in assenza dello sgravio, ma successivamente, sia, in misura più contenuta, per stimolare nuova domanda di lavoro. La bontà di questo tipo di politiche in contesti di crisi economia, oltre che da casi di successo registrati in passato, sembra inoltre essere confermata anche dalle dinamiche che governano l’andamento della disoccupazione, in Italia. Occorre infatti tenere presente come durante i periodi di recessione il numero di persone senza una occupazione può aumentare sia perché un maggior numero di persone perde il proprio lavoro, sia perché un maggior numero di persone senza lavoro riscontra invece più difficoltà a trovarne uno. O per un uguale contributo dei due diversi meccanismi.
Alcuni studi preliminari, in relazione al caso italiano, mostrano come, in media, il tasso di disoccupazione nel nostro Paese aumenti principalmente a causa del fatto che la probabilità di trovare un lavoro diminuisce durante i periodi di recessione. La probabilità di perdere un lavoro spiega invece una frazione residuale delle variazioni che si osservano nel tasso di disoccupazione. In questo contesto, sembra quindi particolarmente opportuno mettere in campo politiche pubbliche che abbiano come obiettivo quello di aiutare le persone disoccupate a trovare una occupazione – come gli incentivi di cui sopra – piuttosto che interventi che abbiano il solo obiettivo di favorire la conservazione del posto di lavoro – come attraverso l’utilizzo della cassa integrazione o il blocco dei licenziamenti, interventi straordinari in un contesto di forte emergenza.
Gli incentivi all’occupazione non sono però le uniche forme di intervento possibili per favorire l’ingresso nel mondo lavorativo, dopo un periodo di disoccupazione.
In generale, queste tipologie di intervento nel mercato del lavoro vengono comunemente indicate come politiche attive, al contrario delle politiche passive che hanno invece come obiettivo principale quello di sostenere il reddito in momenti di difficoltà – come appunto la cassa integrazione. Oltre agli incentivi, tra le forme di politiche attive rientrano infatti, per esempio, i servizi per incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, o il grande capitolo della formazione. Rimanendo però ancora sulla distinzione tra politiche attive e passive, la figura 1 (qui sopra) mostra la percentuale di spesa rivolta a politiche passive – in particolare a politiche di sostegno al reddito e a forme di pre-pensionamento – sul totale della spesa pubblica indirizzata al mercato del lavoro.
Prendendo a confronto quattro paesi Europei, emerge come in Italia circa i due terzi della spesa pubblica rivolta al mercato del lavoro venga rivolta a politiche passive, una percentuale che durante gli anni della crisi economica ha raggiunto livelli ancora più alti.
Focalizzando invece l’attenzione sulla parte di spesa rivolta alle sole politiche attive, la figura 2 mostra con quali ordini di grandezza gli interventi pubblici in questo ambito vengono ripartiti tra diversi misure, in termini di spesa. In particolare, dal grafico emerge come durante il 2018 l’Italia abbia speso più del 60% della spesa pubblica rivolta a politiche attive a favore di incentivi per l’occupazione. Al contrario, la stessa percentuale in Germania è stata indirizzata al rafforzamento dei servizi legati al mercato del lavoro. Inoltre, se da un lato la percentuale di spesa rivolta alla formazione resta in linea, in termini relativi, con quella degli altri Paesi europei considerati, la quota che il nostro Paese investe in servizi risulta invece essere irrisoria. Al contrario, le risorse investite in incentivi occupazionali risultano nettamente superiori, in termini relativi, a quelle investite nello stesso ambito da altri partner europei.
Benché, come anticipato, forme di investimento in politiche attive siano più che auspicabili, in un’ottica di lungo periodo i capitoli di spesa relativi a formazione e a servizi sono quelli che rafforzano maggiormente un mercato del lavoro, non solo in termini occupazionali ma anche in termini di produttività – si pensi a titolo di esempio alle ripercussioni negative del fenomeno dello skill-mismatch. Gli inventivi occupazionali sembrano invece essere particolarmente efficaci come strumento di stimolo temporaneo.
Quando queste forme emergenziali diventano invece uno dei principali strumenti di intervento pubblico nel mercato del lavoro, la loro azione perde di efficacia.
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