A che punto siamo con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (PNRR) che l'Italia deve mandare a Bruxelles nell'ambito dei fondi Next Generation Eu? Lo sappiamo, gran parte degli investimenti pubblici vanno a rilento non per mancanza di risorse finanziarie, ma bensì per la lunghezza dei processi di approvazione delle opere. Pertanto, anche se il governo si sforzasse di modificare le procedure di autorizzazione, responsabilizzando maggiormente i singoli operatori pubblici, gli effetti economici delle riforme della burocrazia sarebbero comunque molto lunghi e non compatibili con le necessità di ripresa di breve termine che il PNRR deve garantire.

Le previsioni OCSE del 9 marzo 2021 mostrano la grande fatica dell’Italia nel raggiungere il livello di PIL pre-Covid, previsto nel 2023, e se aspettassimo gli effetti delle riforme e la ripartenza delle grandi opere pubbliche questo obiettivo potrebbe essere ulteriormente procrastinato.

Al contrario, dobbiamo implementare una strategia per la ripresa che lavori su due tavoli: il primo, e più importante, è la sfida (molto) ambiziosa di riformare la pubblica amministrazione; il secondo è invece quello che consente di rilanciare immediatamente l’economia puntando sugli investimenti privati. Questi ultimi hanno un processo decisionale molto breve e quindi una notevole efficacia congiunturale su produzione e occupazione (anche se quest’ultima aumenta con un ritardo temporale).

Il problema (che non c'è) delle risorse finanziarie

Tanto gli investimenti pubblici quanto quelli privati non hanno problemi di risorse finanziarie: i primi grazie al Recovery and Resiliance Fund dell’Europa; i secondi contano sull’impressionante ammontare delle risorse finanziarie parcheggiate nel corso del 2020 sui conti correnti delle famiglie e delle imprese. Sbloccare queste risorse nell’attività privata significa avvicinare il PIL effettivo a quello potenziale, come richiesto da anni dalle raccomandazioni UE: ci sarebbero grandi opportunità di crescita, se solo tali risorse fossero investite.

La componente riferita agli investimenti delle imprese è facilmente attivabile: abbiamo già un’ampia letteratura disponibile sugli effetti di miglioramento della produttività che generano gli incentivi di “industria 4.0” e gli altri programmi che spingono le imprese verso un modello di business più moderno. Con l’attuale stabilità politica, che rasserena gli orizzonti degli imprenditori, non ci saranno problemi a veder aumentare significativamente gli investimenti delle imprese già nel primo semestre del 2021, e soprattutto nel secondo, utilizzando gli incentivi già esistenti.

Del resto, la fiducia nel futuro è la principale determinante degli investimenti aziendali, e l’attuale Governo ha iniettato fiducia in tutti i livelli imprenditoriali.

Al contrario, gli investimenti delle famiglie sono di più difficile e lenta attivazione

Le famiglie generalmente investono in attività finanziarie (fondi pensione e i fondi comuni di investimento), beni di consumo durevole (automobili), immobili (prima casa e casa per le vacanze). Aggiungiamo la possibilità, presente nei manuali di economia e un po’ meno nella realtà, di  investire anche in istruzione (capitale umano).

Tra tutte le tipologie qui indicate, probabilmente gli immobili rappresentano l’oggetto di investimento più vicino alla tradizione patrimoniale della famiglia italiana, al cui interno il concetto di casa, sia prima casa che casa-vacanze, assurge a modello sociale, e possiede vari connotati positivi che vediamo chiaramente nei confronti internazionali: il parco immobiliare a disposizione delle famiglie italiane è nettamente superiore, in quantità e, molte volte anche in stile e bellezza, rispetto al resto dei paesi europei.

Pertanto, tenuto conto delle difficoltà di attivare immediati investimenti in istruzione (in assenza di riforme per le politiche attive per l’occupazione e per la formazione professionale) e di incrementare il parco di automobili elettriche (in assenza di investimenti pubblici sulle reti di ricarica), nonché delle scarse ricadute sul PIL che hanno gli investimenti finanziari, colpevolmente lontani dall’economia reale (i critici affermano: “produzione di carta per mezzo di carta”), le ristrutturazioni del patrimonio edilizio consentirebbero già nel breve termine il rilancio degli investimenti privati dal lato delle famiglie.

Gl investimenti immobiliari

Nell’ottica ambientalista in cui l’Europa e i nostri governi si sono posti, l’investimento immobiliare non significa più costruzione di nuove case, con nuova erosione del suolo, ma bensì ristrutturazione  del patrimonio esistente per renderlo compatibile con i nuovi vincoli ambientali. Se al discorso ambientale aggiungiamo il vincolo sismico, che tiene sotto scacco tutta la nostra Penisola, arriviamo all’attuale proposta di incentivi che vanno sotto il termine di “superbonus”, e cioè un credito di imposta che raggiunge ben il 110% della spesa in ristrutturazione con finalità ambientali (miglioramento del consumo energetico) e antisismiche.

Gli attuali incentivi a favore delle ristrutturazioni sono di primaria importanza per la ripresa dell’economia italiana, in quanto consentono la riattivazione di filiere produttive che tagliano orizzontalmente tutto il sistema economico.

Un robusto supporto a queste affermazioni arriva dall’economia industriale, che rileva come il settore dell’edilizia sia quello con i più alti coefficienti di attivazione diretta e indiretta (insieme al comparto automotive) all’interno delle tavole input-output, rilevate periodicamente dall’Istat. Queste ultime indicano gli stimoli che un aumento della produzione edile genera nel resto dell’economia, tramite gli acquisti che le imprese delle costruzioni rivolgono ai settori della metalmeccanica, del cemento, delle piastrelle, del vetro, dell’elettronica, dei mobili, dei servizi di progettazione, e così via.

Il cemento e la discontinuità

L’attuale incentivo rappresenta una forte discontinuità con i tradizionali programmi di rilancio dell’economia tramite l’uso del cemento: mentre nel passato si è assistito a molti impatti negativi in termini ambientali e paesaggistici, questa volta è possibile che il rilancio delle ristrutturazioni favorisca non solo la ripresa, ma anche la resilienza del sistema Italia nei confronti degli shock climatici e sismici. L’ecobonus e il sismabonus ci avvicinano ai modelli di sviluppo sostenibile caratterizzati dal risparmio energetico e dalla sicurezza antisismica, nonchè da una minore erosione del suolo ancora libero.

Purtroppo, una critica rivolta da molti economisti all’incentivo edilizio è che esso possegga intrinsecamente un impatto “regressivo” sul reddito dei cittadini, e cioè che favorisca soprattutto le famiglie “ricche”, che hanno a disposizione un ampio patrimonio immobiliare, a scapito delle famiglie “povere”, che possiedono solo la casa di proprietà o una modesta seconda casa per vacanze. Secondo questa ipotesi, i soldi pubblici, ottenuti dalle tasse di tutti i cittadini, ricchi e poveri, sarebbero impiegati per migliorare il patrimonio dei primi e quindi, per “sottrazione”, andrebbero a scapito dei secondi.

La cessione del credito d'imposta

L’ipotesi formulata non tiene conto dell’importante effetto generato dalla cessione del credito di imposta che il nuovo incentivo consente: grazie alla cessione del credito, anche i redditi bassi, che sono per definizione incapienti (non hanno un ammontare elevato di tasse da cui detrarre le notevoli spese di ristrutturazione), possono “permettersi il lusso” (che fino a ieri era riservato solo ai redditi medio-alti) di ristrutturare una unità immobiliare. Il vincolo di due unità immobiliari indipendenti ristrutturabili al massimo con il nuovo incentivo rappresenta un’ulteriore prova di equità, perché azzera i vantaggi delle famiglie con un elevato patrimonio immobiliare.

Pertanto, la principale novità inserita dal superbonus non è tanto l’elevato incentivo disponibile (110%) ma bensì la cessione del credito di imposta, che consente di attivare investimenti privati anche da parte di famiglie con reddito non elevato. Date queste caratteristiche, il superbonus 110% diventa un utile strumento per rinnovare i condomini della città, soprattutto a vantaggio per le famiglie residenti in periferia, proprio nel momento in cui il “decreto semplificazioni” li ha stranamente estromessi dai vantaggi della “demolizione/ricostruzione” del “DL semplificazioni”, riducendo le possibilità di recupero delle aree più bisognose di nuova “resilienza ambientale”.

Superbonus ed efficacia sociale

Indirizzare il PNRR verso la continuazione degli incentivi a favore delle ristrutturazioni energetiche e antisismiche, rendendole permanenti, non significa tuttavia mantenere rigidamente l’attuale formula, così come è stata concepita nel passato (anche perché il vantaggio economico che gli incentivi hanno apportato alla collettività non è netto, e dipende molto dalla valutazione dei legami indiretti dell’edilizia con il resto dell’economia).

Infatti, se si volesse estrarre il massimo dell’efficacia sociale dall’investimento del privato, si potrebbe focalizzare l’incentivo soltanto sulla componente ambientale e antisismica, eliminando invece il favore nei confronti della semplice tinteggiatura delle facciate (che ottiene, in modo inspiegabile, il 90% di contributo, ben più elevato del normale incentivo antisismico, fissato all’85%) o il tradizionale incentivo per la semplice ristrutturazione (50%), con il primo che fornisce soltanto un valore estetico, ma non ambientale, e il secondo  che possiede una componente “regressiva”.

L'effetto inflazionistico

Rendere permanente l’attuale superbonus eviterebbe anche l’effetto inflazionistico derivante dalla ridotta capacità produttiva delle imprese edili, risultato di fallimenti e chiusure che hanno decimato il settore nell’ultimo decennio. Conseguentemente, anche la forza lavoro disponibile è attualmente scarsa, soprattutto se consideriamo le maestranze con una qualificazione certificata per gestire i nuovi materiali e i nuovi processi legati alle innovazioni ambientali e sismiche (la certificazione ICMQ per gli addetti che posano il “cappotto termico”, per esempio).

Se poi fosse necessario ridurre il costo sulle finanze pubbliche si potrebbe, eventualmente, rendere permanente solo il superbonus ambientale (energetico + sismico) al 110%, ed eliminare gli altri bonus edilizi di secondaria importanza. Si manterrebbe comunque una grande opportunità per indirizzare il PNRR verso una immediata ripresa dell’economia italiana e verso un rafforzamento della sua resilienza agli shock ambientali di carattere sismico e energetico.